I cittadini keniani stanno votando Si o No per la nuova Costituzione. Le operazioni di voto sono iniziate alle 6, e secondo tutte le fonti alle 9 stanno procedendo regolarmente e pacificamente in tutto il paese. I seggi chiuderanno stassera e si ci si aspetta di conoscere i risultati dopo 24 ore.
Stamattina alla sei c’era già una lunga fila di gente fuori dal cancello di Kivuli, per venire a votare nel seggio che la commissione elettorale ci ha chiesto di ospitare nel nosto salone. Appena c’è stata luce sufficiente ho scattato questa foto dalla mia finestra.
Referendum 2
Referendum
Mercoledì 4 agosto i keniani potranno votare in un referendum pro o contro una nuova costituzione. Il processo per la revisione della costituzione è iniziato quasi vent’anni fa, ed è importante che si arrivi ad una migliore distribuzione dei poteri, che nelle presente costituzione sono concentrati nel Presidente.
Già nel 2005 c’è stato un referendum e la costituzione proposta non era molto diversa da quella proposta adesso. Ma allora Mwai Kibaki, il Presidente, e Raila Odinga, attuale Primo Ministro, erano ai ferri corti perché Odinga voleva far pagare a Kibaki il non aver mantenuto la promessa di creare il posto di Primo Ministro, pensato solo per lui, dopo le elezioni del 2002. La proposta del 2005 fu bocciata, e i due andarono alle elezioni del 2008 l’un contro l’altro armati, letteralmente, causando la disastrosa violenza post-elettorale, con oltre mille morti documentati. Poi venne elaborata una proposta che prevedeva la presenza di un primo ministro, ed era estremamente farraginosa nel tentare di attribuire le competenze ad un esecutivo diviso in due. Tale era la proposta fino a pochi mesi fa. Poi i due hanno capito che conveniva ad entrambi accordarsi. A Kibaki per lasciare comunque un’eredità storica positiva, visto che non potrà essere rieletto per la terza volta, e a Odinga perché finalmente il sogno della sua vita di diventare Presidente del Kenya sembra a portata di mano, e quindi non gli interessa più una costituzione che preveda la figura del Primo Ministro.
Una serie di consultazione frenetiche, più o meno manovrate anche dalla “comunità internazionale”, hanno quindi portato a che i due protagonisti di questa vicenda si accordassero per interposti partiti, a cambiamenti sostanziali, come appunto la cancellazione del posto di Primo Ministro, a quella che ci era stato fatto credere fosse una costituzione frutto di una consultazione popolare.
Fra gli elementi nuovi che sono entrati c’è una cauta apertura all’aborto e l’accettazione dei tribunali islamici (Kadhi) da estendere a tutto il territorio del Kenya. Le corti Kadhi nella costituzione vigente erano ammesse solo sulla costa, per una striscia di 30 chilometri, ed erano state pensate al momento dell’indipendenza, come un compromesso, che sarebbe sparito nel tempo, per convincere le popolazione islamiche della costa di far parte del nascente paese.
Per aggravare la cosa, all’ultimo momento, nella notte prima che la nuova versione ufficiale della nuova costituzione venisse stampata, qualcuno ha inserito due paroline nel capitolo sui diritti umani che di fatto li limitano se ci fosse in gico la sicurezza nazionale. Investigazioni sono in corso, ma ancora nessun responsabile è stato trovato. Così questa bozza costituzionale che è stata ritoccata da un ignoto tipografo è quella che sarà sottoposta a referendum.
I leaders cristiani del Kenya l’altro ieri hanno firmato una dichiarazione (la metto integralmente nella versione inglese di questo stesso post) sottolineando che per molti aspetti la nuova proposta è migliore rispetto alla costituzione vigente, ma chiedendo ai cittadini di votare contro perché la nuova proposta non salvaguardia la sacralità della vita umana, l’educazione morale dai giovani e il principio dell’uguaglianza religiosa. Contemporaneamente invitano alla pace e comunque ad accettare il risultato.
Che la posizione dei leader religiosi cristiani, vescovi cattolici inclusi, sia discutibile è fuori di dubbio, ma è pure fuori di dubbio che sarebbe bastato un po di buona volontà da parte di tutti per arrivare ad una proposta costituzionale che avrebbe messo d’accordo almeno il 90 per cento dei keniani. Invece adesso si va al voto col rischio che la nuova costituzione passi, e che passerà mi sembra certo, con un margine di voti poco convincente, intorno al 60 per cento. Che per una nuova carta per cui ci si è battuti per vent’anni non è una gran bella cosa.
Un altro elemento causa di grande tensione è la pessima compagnia in cui si ritrovano i leader religiosi: l’ex-Presidente Daniel Arap Moi e William Ruto. Per ragioni diverse da quelle dei leader cristiani, sostanzialmente per evitare che i latifondi di cui si sono impadroniti in passato vengano rimessi in discussione, entrambi sono contrari alla nuova proposta, ma non hanno proprio nessuna credibilità e autorità morale. Si fanno forti solo del supporto della loro etnia. Il primo ha gestito il paese come un dittatore per 24 anni, arraffando tutto ciò che c’era a disposizione, incluso una bella parte dei migliore terreni del Kenya. Inoltre alimentando la corruzione è arrivato a controllare un buon quarto dell’economia del paese. Il secondo è notoriamente fra i principali indiziati come responsabile delle violenze post-elettorali del 2008.
La tensione fra i Verdi (il colore assegnato dalla commissione elettorale al Si) e i Rossi (il colore del No) è grande. Ci sono stati già alcuni morti fra le vittime di due bombe rudimentali esplose durante una manifestazione per il No, e un vescovo di un piccola chiesa protestante è stato ucciso sembra in connessione con una sua focosa omelia per il No.
Un buon segno per Nairobi è che Kibera, negli ultimi decenni il focolaio di ogni violenza esplosa in città, è tranquilla. Tutti sembrano d’accordo per votare Si. La maggioranza perché Luo sostenitori di Raila, più i Kikuyu sostenitori di Kibaki e i musulmani, i cosiddetti Nuba che hanno fatto delle corti Kadhi una questione di principio. Quindi non ci dovrebbero essere ragioni di conflitto.
Kivuli, a Riruta Satellite, sarà sede elettorale. Anche qui non ci aspettiamo problemi, come non ne abbiamo avuti nel 2008, anche se è vero che sia a Kibera come a Riruta o qualsiasi altro quartiere di Nairobi basta che qualcuno paghi 3 euro al giorno ad un centinaio di giovani disperati per innescare il caos.
La possibilità di violenza per una vittoria del Si invece è molto concreta nella Rift Valley, che è il feudo di Moi e di Ruto.
Chiunque vinca, è inutile illuderci, siamo in un tempo di crisi. La crisi economica internazionale, i cambiamenti sociali; il venir meno della tradizione; le pesanti interferenze degli americani, i quali se sono riusciti a dimostrare qualcosa negli ultimi venti anni è che dell’Africa non capiscono niente, causando, dove sono intervenuti come in Somalia e Congo, solo disastri peggiori di quelli che erano in corso. I keniani sono stanchi e sfiduciati, hanno ascoltato troppe grandi promesse non mantenute, si sentono incapaci di cambiare il loro paese, vittime piuttosto che cittadini partecipi. Sentono dire che sono solo il primo esperimento di un programma americano che intende imporre a tutti i paesi “amici” una costituzione sul modello keniano.
In questa situazione c’è il pericolo di seguire sogni e illusioni senza nessuna consistenza, solo perché un leader che sa parlare bene li fa balenare davanti. Gli uomini politici keniani hanno un’abilità straordinaria, mi vien quasi da dire diabolica, a sfruttare le fragilità della loro gente. I piazzisti di sogni vedono un futuro radioso, sopratutto per se stessi.
Noi cristiani abbiamo fatto dire a Dio tante cose diverse, e anche noi abbiamo seminato illusioni, quindi dobbiamo essere umili e stare coi piedi in terra, favorendo i migliorami possibili, invece di sognare la perfezione.
Io continuo a credere che la desacralizzazione di tutti i poteri, anche quello della chiesa, che ci ha insegnato Gesù e la forza del suo Spirito, ci hanno avviato su una strada di umanizzazione che non possiamo più abbandonare, anche se le tentazioni sono tante. Ci muoviamo verso una creazione nuova, verso una rivoluzione interiore che deve concretizzarsi in lavoro quotidiano per la giustizia a le pace, vita offerta, sangue, storia. Se leggo le dichiarazioni dei politici e dei leader religiosi magari mi cascano le braccia, ma se guardo i ragazzi e le ragazze di Kivuli, Anita’s Home, Tone la Maji, e tutti gli altri allora credo che anche in Kenya sia possibile andare avanti anche dopo il 4 agosto.
In Passerella per una Vita Migliore – Catwalking for a Better Life
Altri Mondiali
Finalmente è finita. Durante le interminabili coda che a Nairobi bisogna sempre fare se ci si muove in auto, di solito ascolto la radio, ma sopratutto in questo ultimo mese l’etere era saturo della peggior retorica che si possa fare quando si parla di calcio, con abbondante uso di termini come “eroi” e “momenti storici”. Come se l’onore presente dell’Africa, e il suo destino futuro, dipendesse prima dai calciatori del Sudafrica, poi da quelli del Ghana, poi dal fatto che il Sudafrica abbia dimostrato di saper organizzare i mondiali. Preferivo spegnere la radio e gustarmi fino in fondo i pesanti fumi emessi da camion. O pensare agli amici che praticano il calcio come gioco, come sport, come un momento per stare insieme. Agli amici degli Altrimondiali (www.altrimondiali.it) che sono andati in Sudafrica da Nairobi in un vecchio matatu, fermandosi a giocare là dove capitava con chiunque fosse interessato. Ero con loro quando sono passati da Lusaka, ed ho fatto questo foto ai ragazzi di Mthunzi mentre si scaldavano prima di una partita a New Kanyama. Tutti ragazzi che si portano il peso di un passato difficile. Anche il “prato” è difficile, non è San Siro, ma questo è il calcio che mi piace.
Tredici Ragazzini Keniani Visitano l’Italia
Continuo a ricevere reazioni al giro fatto dai ragazzi del Koinonia Children Team in Italia a cavallo tra aprile e maggio. Vi metto qui sotto il contributo di una mamma di Milano e di tre o quattro ragazzi.
Ho fatto questo lavoro con l’aiuto del programma Translate di Google. Il nostro webmaster, Eric, lo ha inserito anche nel sito di Koinonia Kenya, sulla colonna di destra. Io l’ho sperimentato prima traducendo il sito dall’ inglese all’ italiano, con risulati sorprendentemente buoni. Poi ho provato con il greco, tanto per divertirmi, perchè ovviamente non lo conosco, e non riuscivo più a tornare all’ italiano ed ho dovuto chiamare Eric… Comunque adesso il sito può essere instantamenmente tradotto un qualche decina di lingue.
Colpo di fulmine a Putignano
Un bellissimo sogno è divenuto realtà il 17 aprile 2010, era un venerdì quando io e i miei genitori siamo andati all’aeroporto. Ho preso un aereo che era molto diverso da quello che avevamo preso nel 2008. La Ethiopian Airlines ha un servizio fantastico rispetto a quello della Egypt Air, anche se le hostess parlavano la lingua etiope che a me sembrava quasi come il greco. Io spero di volare un giorno sulla Kenya Airways e sentir parlare le lingue keniane, ne sarei molto orgoglioso. Alla fine di un lungo viaggio via Addis Abeba siamo finalmente arrivati in Italia.
Il primo giorno a Roma ero molto felice di incontrare degli amici che erano stati a Kivuli. Abbiamo camminato un po’ e siamo andati a vedere la Basilica di San Pietro dove abbiamo imparato molte cose. A Bari abbiamo incontrato Paolo e abbiamo inscenato per la prima volta Simba na Mende. Noi l’abbiamo apprezzato molto per il suo lavoro e la sua energia. Dopo Bari siamo stati a Putignano dove ho avuto un’esperienza che non dimenticherò mai nella mia vita. Dopo lo show siamo andati a pranzare con degli studenti, qui una ragazza si è innamorata di me. E’ stata la prima volta nella mia vita in cui sono stato avvicinato da una ragazza ed ero molto imbarazzato, lei si è avvicinata e mi ha detto “ti amo, baciami”. Questo di fronte ai miei amici e le maestre, la cosa peggiore è stata la presenza di Kizito e Gian Marco, le persone più importanti della mia vita e che rispetto di più.
Ho molto apprezzato il resto del viaggio, le nostre performance sono migliorate di giorno in giorno e mi hanno reso molto orgoglioso del nostro lavoro. Ho imparato molte cose nuove soprattutto attraverso i musei, le infrastrutture e i deliziosi pasti. Il momento più bello è stato quando abbiamo partecipato alla marcia per la pace e abbiamo visitato le città, una era costruita sull’acqua. Noi siamo stati in compagnia di Kizito, Gian Marco e Anna. Loro ci hanno fatto sentire come se fossiamo con i nostri genitori, ho apprezzato molto Cavallino perchè abbiamo dedicato 4 giorni al divertimento. A Milano abbiamo incontrato degli amici che non vedevo da molto. Sono stato molto felice di vedere San Siro.
Wilson
Ma che pesce era?
Ero molto eccitato di visitare l’Italia ad aprile 2010. Il viaggio dal Kenya è stato molto lungo. Quando siamo arrivati siamo stati accolti con grande gentilezza e felicità. Per prima cosa abbiamo mangiato con persone che erano del posto e poi siamo stati divisi tra diverse famiglie. Il giorno seguenti un nostro amico ci ha fatto fare un tour a Roma. La cosa più bella è stata visitare la città del Papa e vedere la chiesa più grande del mondo. Vedere il cimitero dei Papi è stata una bella esperienza, è stato costruito con l’oro. Abbiamo poi visto altre vecchie case a Roma.
Abbiamo poi visitato Bari. Il viaggio da Roma è stato lungo. Non avevo mai fatto prima un viaggio così lungo in auto e sono stato sorpreso di stare 5 ore in un bus. A Bari abbiamo incontrato Paolo ed eravamo molto felici di vederlo di nuovo. Avviamo provato 3 giorni e il quarto giorno abbiamo inscenato Simba na Mende che è durato un’ora e mezza. Abbiamo iniziato con acrobazie e danze.
Le famiglie ci hanno poi portato in città e il giorno dopo abbiamo visto il Petruzzelli, un bellissimo teatro per gli shows internazionali. Abbiamo poi visto il Mar Mediterraneo di cui abbiamo sempre sentito parlare.
I nostri amici ci hanno comprato dello strano pesce crudo e abbiamo provato per la prima volta a mangiarlo. E’ stata la cosa più terribile che abbia mai sperimentato nella mia vita. In Kenya non ho mai visto questo genere di pesce ma io sono stato felice di aver visitato l’Italia per la seconda volta.
Eugene
Gian Marco dormiva, ma per nostra fortuna c’era Dio
Era una domenica mattina quando mi sono alzato, ho lavato la faccia e ho fatto colazione, era un giorno in cui mi sentivo felice come un re. Sentivo gli uccelli cantare delle canzoni melodiose. Quello era il mio giorno migliore, wow! Un magnifico sogno stava finalmente diventando realtà. Mi sono svegliato e mi sono trovato in una famosa città chiamata Roma. Sono stato molto impressionato dalla chiesa più grande del mondo; sono rimasto sbalordito nel vedere la tomba dell’apostolo Pietro e dei Papi. Avevo appena aperto gli occhi e già avevo visto delle cose così belle. Dopo Roma abbiamo visitato molte altre città davvero interessanti.
Ho incontrato molte famiglie e amici che sono stati buoni con me per la prima volta nella mia vita. Ho sperimentato l’amore, le cure di una famiglia felice. Ho sperato che anche la mia famiglia fosse come quelle in Italia. Ho scoperto che i ragazzi in Italia sono molto più fortunati di noi e questo ha influenzato la mia relazione con mia mamma perchè mi sono chiesto perchè lei è così diversa, ma poi ho capito che le persone sono diverse e così gli stili di vita e questo dipende da dove sono nati e come sono cresciuti.
Questo viaggio mi ha legato molto a Gian Marco, cosa che non mi sarei mai immaginato. Ero solito vederlo come una persona pronta a rimproverarmi, spesso ha un’espressione cupa e solitamente io avevo paura ma questa volta mi sono sempre seduto di fianco a lui. Non dimenticherò mai il suo modo di guidare dormendo e pensavo che un giorno saremmo finiti fuori strada, nelle colline o in campagna, ma per fortuna ci siamo salvati. Non grazie a Gianmarco ma grazie a Dio. Poi ho capito che il viaggio era lungo e le distanze non erano facili da coprire per lui. Solitamente lo chiamavo ‘grande papà’ ed è stato bravo a prendersi cura di noi. Grazie ad Anna Nenna la nostra mamma e sorella. Era sempre lì per noi con Claudo e Ilario.
E per la parte che facevo padre Kizito adesso non mi chiama più Benson, ma Mende!
Benson
Però l’uomo che tirava il bus non c’era
Dopo il nostro arrivo abbiamo fatto una passeggiata fino al Vaticano dove ci è piaciuto vedere S.Pietro e gli edifici romani. Dopo Roma siamo andati a Bari con un un autobus conosciuto come “Uomo che Tira” (nel testo Pull Man, il termine “pullman” nel significato di autobus non si usa in Kenya, e Charles lo ha interpretato come Pull Man, cioè, in inglese Uomo the Tira). All’interno del bus abbiamo dato un po’ di fastidio alle altre persone, cosa che non succede spesso in Italia, ma poi alcuni passeggeri hanno cominciato a parlare con noi e da lì anche tutti gli altri. A Bari abbiamo incontrato il nostro caro amico Paolo, il che mi ha fatto sentire subito a casa. Paolo è una brava persona, lui è stata una delle persone che ci ha insegnato lo spettacolo Simba Na Mende. Lui mi ha sempre spronato a fare il meglio che potessi e per questo non potrò mai dimenticarlo nella mia vita. Poi abbiamo oi visto Matera, dove è stato girato il film “La Passione”. Qui ho incontrato il mio amico Maurizio che era venuto spesso a farci visita a Kivuli. Qui abbiamo visto i sassi, dove vivevano le persone prima della venuta di Gesù; a Bologna abbiamo visto una chiesa con al suo interno altre 6 piccole chiese.
A Numana ho conosciuto un nuovo amico, Martino, lui ha 12 anni ed era triste quando ci siamo salutati. Anche io sono stato triste di aver lasciato Numana; siamo poi andati a Riccione, una città molto bella dove ci siamo esibiti nelle strade. Io ero felice di suonare i tamburi e ballare tutti insieme per strada. C’erano moltissime persone a vedere lo show, Cavallino è stato la città più bella perchè li abbiamo solo mangiato, giocato, siamo andati in bicicletta, abbiamo nuotato nella piscina, cavalcato. E’ stata la settimana in cui ci siamo divertiti di più e abbiamo mangiato le vongole, prima di allora non le avevo mai assaggiate in tutta la mia vita.
Da Cavallino siamo poi andati a Venezia, una delle città più belle. Venezia è stata costruita sull’acqua ed ha delle maschere bellissime. Qui in Italia ci sono molte strade belle ed ambienti puliti, molti italiani però non parlano inglese ma solo la loro lingua o il francese. Agli studenti è permesso andare a scuola con il cellulare e altro materiale elettrico, ma in Kenya non ci è permesso portare nulla di questo tipo. Anche in Italia alcuni ragazzi e ragazze fumano, ma in Kenya se vieni visto fumare sei portato in tribunale. (A Nairobi è vietato fumare per strada dal luglio 2008, pena multe da 500 euro ai 6000 euro, anche l’arresto).
L’Italia è un bel Paese perchè ci sono molte specialità culinarie come i Maccheroni, la polenta, il pollo e “supergeti”.
In Italia gli studenti vanno a scuola solo mezza giornata ma in Kenya andiamo dalle 7 alle 18.30.
Charles
Come si usa lo struccante?
‘Guarda Roberta, invece di due, i ragazzi di Kivuli che dovrai ospitare a casa saranno tre o quattro.’ Quando Anna mi ha telefonato per avvisarmi del cambio di programma ho avuto un sussulto. ‘Quattro? Oddio, e dove li metto?’ . Avevo dato la disponibilità ad accogliere i bambini appena avevo saputo del loro tour italiano e tutti a casa erano felici di rivedere qualcuno di quei ragazzi che avevamo conosciut a Nairobi. Era da qualche anno che desideravamo tornare a ripercorrere le strade ( se così si possono chiamare) di Riruta e vivere qualche giorno con i bambini del centro ma purtroppo non ne avevamo avuto ancora l’occasione ed ora erano loro che venivano a trovare noi. Chissà se qualcuno si ricordava della nostra famiglia, con tutti i volontari che ogni anno passano a Kivuli probabilmente i nostri brevi soggiorni erano stati dimenticati. Quindi era con grande emozione che aspettavamo il loro avviso. Emozione ma anche un po’ di timore perché un conto è conoscerli nel loro ambiente, un conto invece è incontrarli in una realtà che è a loro estranea. Mi chiedevo se vedere una casa con tutte le comodità che hanno le nostre case non li avrebbe resi in qualche modo differenti da come li avevamo conosciuti. Per non parlare della lingua. Il nostro Inglese scolastico non è sufficiente per comunicare a lungo! Oltre a tutto questo ora erano diventati quattro!! La mia casa è sufficientemente grande ma tutti quei letti in effetti non ci sono. Il primo a rendere la cosa più semplice è stato mio figlio Matteo che con i bambini aveva stretto amicizia quando siamo stati a Kivuli, anche senza parlare una parola di Inglese. Ma si sa, i bambini , di qualsiasi parte del mondo siano, riescono sempre a comunicare senza troppe difficoltà!! ‘Che problema c’è, mamma, io dormo sul divano in salotto e loro nella mia stanza e in quella di Michela’ ( la mia figlia maggiore ora in America). I secondi a rendere tutto più semplice sono stati proprio loro : Ian , Harrison, Charlie e Job ‘il loro allenatore’. E così per 5 giorni ho avuto una famiglia di 8 persone. 8 persone da svegliare, le colazioni, i turni in bagno per lavarsi , i vestiti da lavare e asciugare ( Sì perché un maggio così piovoso a Milano non lo si ricordava da anni!!) i letti da rifare e poi il lavoro… Se qualche giorno fa qualcuno me lo avesse prospettato avrei detto che era impossibile e invece tutto è filato via senza problemi perché i ragazzi sono stati veramente fantastici! La prima mattina quando li ho visti alzarsi e rifarsi il letto senza che io dovessi dire niente non credevo ai miei occhi, soprattutto considerando che il mio Matteo, loro coetaneo, quando esce alla mattina riesce a malapena a fare colazione. Un bellissimo esempio che credo lo abbia fatto riflettere parecchio!!! Che dire poi delle cene e dei momenti liberi! E’ stato bello vedere l’educazione e la gentilezza con cui chiedevano qualsiasi cosa, un modo di fare che purtroppo molti nostri ragazzi hanno perso ( insegno in classi di adolescenti da anni e so cosa significa!) A volte la paura di disturbare non gli faceva neppure chiedere le cose più banali ( La prima volta non sapendo usare il dispenser del sapone stavano lavandosi con lo struccante di mia figlia!) ed io ho imparato da loro che non dobbiamo mai dare per scontato che il nostro modo di vivere all’occidentale sia comune a tutto il mondo!
E così la settimana è volata via quasi senza che ce ne accorgessimo. Il Sabato mattina sono ripartiti per un’altra tappa del loro spettacolo, non ho potuto salutarli come avrei voluto perché entravo presto a scuola e visto l’ora tarda in cui erano andati a dormire ho pensato fosse meglio lasciarli riposare ancora un po’. Manuel e Matteo avrebbero pensato a tutto. Ho lasciato loro una lettera di saluto e quando sono ritornata a casa mi è sembrata più vuota del solito; di loro solo qualche traccia, una maglietta dimenticata, gli album delle figurine dei calciatori italiani, ricordo della loro visita a San Siro, gli asciugamani che avevano utilizzato ripiegati con cura sopra i letti . Una grande traccia però l’hanno lasciata nel cuore di tutti noi e una cosa è certa ….. ci rivedremo presto.
Hi Guys!
Roberta, Manuel, Matteo e Monica
Perché non dar loro i soldi? – Why not just give them money?
Un nuovo contributo viene da Joseph Hanlon, Armando Barrientos e David Hulme con un libro che finora è solo in inglese: “Just Give Money to the Poor: The Development Revolution from the South”.
Ne ho trovato la presentazione in AfricaFocus Bulettin, un servizio indipendente, gratuito e straordinariamente utile per chi è interessato a temi africani, che cataloga e ri-pubblica articoli, commenti e analisi che provengono dal mondo anglofono. Sono centinaia alla settimana, purtroppo solo in inglese. Fino a qualche anno fa i Padri Bianchi facevano un lavoro simile anche per il francese. Non credo esista niente del genere in italiano.
Ho fatto una traduzione libera e creativa della nota di presentazione dell’editore di AfricaFocus, William Minter, e dell’introduzione al libro.
Potete trovare la versione originale a http://www.africafocus.org/docs10/pov1006.php
Inoltre una versione quasi integrale del libro è disponibile su Google Books: http://books.google.com/books?id=M2WWHIzQON0C
La nota di William Minter
Parlando di povertà lo scorso mese con un giornalista del Washington Post, gli alunni di quinta elementare di un scuola a Southeast Washington (la percentuale di poveri a Washington è del 32 percento) hanno proposto la soluzione più ovvia: “Perche non dal loro i soldi?” (Washington Post, 11 maggio)). Esperti trovano facile respingere e anche ridicolizzare questa proposta di semplice buon senso, preferendo soluzioni magiche teorie sulla ricchezza da dall’alto lentamente raggiunge i più poveri, o elaborati programmi economici di aggiustamento strutturale. Ma questo nuovo libro propone ci matte davanti all’evidenza che probabilmente gli alunni di quinta hanno ragione.
Titolo del libro: Just give money to the poor – the development revolution from the South
Dall’introduzione
“Cuocio al forno 100 panini ogni giorno e li vendo per un dollaro Namibiano l’uno, con un profitto di circa N$ 400 (40 euro) al mese” dice Frieda Nembayai. Fa questa attività dal 2008, quando ha incominciato a ricevere un supporto regolare di N$ 100 (10 euro) al mese, e per la prima volta in vita ha avuto abbastanza soldi per comperare farina e carbonella. Nel vicino Sud Africa, i giovani adulti che vivono in famiglie dove un anziano riceve una pur piccola pensione, hanno più probabilità degli altri coetanei di trovare o di crearsi un lavoro, perché possono lasciare i figli con la persona più anziana che provvede alla cura dei bambini, e loro si dedicano ad un’attività economica.
Queste storie vere indicano una nuova strada per lo sviluppo, che sta prendendo piede nel Sud del Mondo. Invece di mantenere la gigantesca macchina internazionale che cerca di trovare modi per “aiutare i poveri”, è molto meglio dare i soldi direttamente ai poveri, i quali riescono poi a trovare modi efficaci per liberarsi della povertà. E indicano un realtà del mondo in via di sviluppo che è poco capita: il problema maggiore di coloro che sono al di sotto del livello di povertà è la completa mancanza di soldi in contanti. Molti hanno cosi pochi contanti che non possono permettersi neanche una cifra minima per migliorare la qualità del cibo, o mandari i figli a scuola, o mettersi in giro per cercare un lavoro.
Questo libro attinge ad un crescente numero di studi che sottolineano il potenziale e il limite dei trasferimenti in contanti per trasformare la vita delle persone che vivono in povertà. C’è già un forte consenso che molti programmi di trasferimento di soldi in contanti sono stati un buon successo nei paesi già sviluppati, e questo ha spinto una trentina di paesi in via di sviluppo sperimentare nel dare soldi direttamente alla gente, con programmi di “cash transfer”.
Da questi studi emergono quattro conclusioni: questi programmi sono poco costosi, i beneficiari usano i soldi ben e non li sciupano, le donazioni in contanti sono un modo efficiente per ridurre la povertà, e inoltre possono potenzialmente ridurre la povertà futura perché promuovono la crescita economica e lo sviluppo umano. Due area restano comunque al centro di un intenso dibattito: l’obiettivo (le persone che si vogliono raggiungere) e le condizioni . Si dovrebbero dare piccole somme a tante persone o somme più consistenti a pochi? Si devono mettere delle condizioni precise ai beneficiari, come per esempio mandare i loro figli a scuola o contribuire con il loro lavoro a attività sociali? Restano evidentemente delle aree da chiarire per il finanziamento e la messa in opera di questi programmi, specialmente nei paesi pù poveri. e senza dubbio i programmi di cash transfer sono ancora oggetto di controversie e dibatitti, e alcuni restano scettici sulla loro capacità di ridurre ala povertà a lungo termine. Anche questi temi sono discussi nel libro.
Un nuovo modo di pensare
All’inizio si pensava che i cash transfer o donazioni sociali potessero essere solo un lusso per paesi relativamente ricchi. I paesi poveri “non possono permettersi” di dare soldi alle loro fasce più povere, perché troppi cittadini hanno un reddito troppo basso, e quindi bisognerebbe aspettare che la crescita economica li rendesse più “moderni” prima di poter applicare questo “diritto”. In secondo luogo, questo diritto non distingue fra chi se lo merita e chi non, e i ricchi e potenti sono sempre convinti che i poveri sono sempre almeno parzialmente responsabili della loro povertà e quindi non si meritano un sostegno economico. I poveri devono sempre essere guidati o perfino obbligati ad agire per il miglior interesse dei loro figli.
Negli ultimi dieci anni, entrambe queste opinioni state contestate da parte dei paesi in via di sviluppo. Al contrario, sostengono che “non possono NON permettersi” di non dare soldi ai loro cittadini più poveri. Non solo questa pratica è conveniente, spesso è molto più efficiente dei sistemi tradizionali di promossi dalle agenzie di aiuti internazionali e dalle agenzie finanziarie. Essi sostengono che le persone che vivono in condizioni di povertà sanno come usare i soldi. E con questa pratica la responsabilità per sradicare la povertà, come la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo implica, è diventa veramente responsabilità di tutti.
Questa è una sfida importante ad un’industria dell’aiuto allo sviluppo costruita nello scorso mezzo secolo nella convinzione che lo sviluppo e l’eradicazione della povertà dipendevano esclusivamente da ciò che le agenzie internazionali e i consulenti poteva fare per i poveri, senza mai considerare ciò che i cittadini dei paesi in via di sviluppo, e degli stessi paesi tra di loro, potrebbe fare per se stessi. I ricercatori sono rimasti sorpresi di scoprire che, nel complesso, le famiglie con pochi soldi hanno affinato le loro capacità di sopravvivenza di generazione in generazione e sanno usare un po di soldi extra con saggezza e creatività – senza che sia necessario un esercito di soccorritori che come professione insegnano ai poveri come migliorare se stessi.
La ricerca sui trasferimenti di denaro mostra due importanti differenze tra i relativamente poveri e relativamente ricchi. Le persone più povere spendono di più per prodotti alimentari e le merci prodotte localmente, mentre i più abbienti comprano più merci importate, cosi che qualsiasi trasferimento dal ricco al povero stimola l’economia nazionale e locale. In secondo luogo, le persone più povere sono molto più propense a usare piccole somme di denaro per aumentare il reddito – investendo nella loro azienda agricola, nel piccolo commercio, o per la ricerca di un lavoro. In questo modo il contante distribuito diventa un fattore esplicito di sviluppo.
Il fallimento della campagna Make Poverty History
Il numero di persone che vivono in condizioni di povertà cronica è in aumento. Coloro che hanno fatto la campagna nel 2005 per fare “Poverty History” si chiedono che cosa è andato storto. Due libri famosi, Dead Aid: Perché gli aiuti non funzionano di Dambisa Moyo e L’Ultimo Miliarso di Paul Collier sostengono che gli aiuto hanno fallito e sostanzialmente affermano che tale fallimento è in gran parte colpa paesi poveri per uso improprio del denaro.
Gli aiuti non hanno fallito. Il fallimento è quello di un’industria anti-povertà che vive sulla complessità e mistificazione del problema, con consulenti profumatamente pagati per la fabbricazione di progetti sempre più complicati “per i poveri” e che continua a fissare le condizioni politiche per i paesi “che vengono aiutati”. Questo libro offre l’alternativa del Sud – dare i soldi direttamente a coloro che hanno meno ma che sanno fare il miglior uso di essi. I trasferimenti di denaro non sono beneficenza o filantropia, ma piuttosto investimenti che permettono alle persone povere di prendere il controllo del loro sviluppo e di eliminare la povertà. Così, questo libro è una sfida diretta a Moyo, Collier e gran parte dell’attuale teoria a pratica degli aiuti internazionali.
Kabiria Road
Tornati alla Normalità
Ci sono giorni, settimane, mesi che passano a gran velocità, e si fa fatica a registrarli… E cosi oggi mi accorgo che non ho aggiornato il blog da mesi. Rimedio adesso, con alcune riflessioni che ho scritto qualche giorno fa in una lettera di ringraziamento ad uno dei tanti amici che si sono adoperati per accogliere e organizzare i ragazzini di Nairobi che sono stati in Italia dal 17 aprile al 19 maggio.
I ragAzzi di Kivuli che hanno partecipato alla tournée in Italia del Koinonia Children team sono tornati ormai da un mese e si sono reintegrati nella vita normale di Kivuli. La domenica pomeriggio successiva al rientro abbiamo avuto un bell’incontro con i loro parenti, in alcuni casi la mamma, in altri la nonna, in altri ancora le persone che erano legalmente responsabili per loro. Dico erano, perché al momento sono affidati a Kivuli. I ragazzi stessi hanno detto qualcosa sul loro viaggio, e tutti si sono detti felici per l’accoglienza ricevuta in Italia e in genere per ciò che hanno visto e imparato. Poi gli educatori ed io abbiamo sottolineato che, a parte lo spettacolo, dovunque sono andati, con la loro educazione, gentilezza e disponibilità si sono attirati la simpatia e l’affetto di tante persone. Noi di Kivuli siamo orgogliosi di loro. Abbiamo detto che non li consideriamo eccezioni, rappresentano la media dei ragazzi di Kivuli, e se ne avessimo estratti tredici a sorte avremmo avuto lo stesso risultato positivo. Adesso è importante che tornino a studiare con serietà, perché solo con un buon livello di educazione scolastica e una buona formazione umana possono riuscire a riscattarsi ed avere una vita normale.
I nostri tredici acclamati artisti – come ama chiamarli Paolo Comentale, il nostro grande amico del Teatro di Pulcinella di Bari che è stato l’anima artistica di questa iniziativa, mentre Amani, con l’uffcio e i volontari ne sono stati l’anima organzzativa e si sono accollati perfino la fatica di far gli aiutisti dei pulmini che portavano in giro i ragazzi – hanno quindi ripreso con serenità la vita di ogni giorno: sveglia alle 5.15, pulizie, colazione, partenza per la scuola alle 6.30, ritorno da scuola verso le 17, giochi o allenamenti, Messa al venerdi, cena, compiti, a letto alle 9 per i più piccoli e alle 10 per i più grandi. Insieme agli altri di Kivuli che sono artisti, acrobati e giocolieri, hanno avuto durante i fine settimana diverse occasioni di fare spettacoli per bambini: in uno slum chiamato Soweto, ad imitazione di qullo Sudafricano, dove cè una presenza di Chiama l’Africa e della Comunità Papa Giovanni XXIII, alla Domus Marie per celebrare il battesimo di 7 studenti, alla Chiesa Luterana di Riruta per la giornata mondiale dell’Ambiente, e cosi via.
Naturalmente i ragazzi che non hanno partecipato al giro – specialmente quelli che ne sono stati esclusi perché non siamo riusciti ad ottenerne il passaporto – sono rimasti un po delusi. Ma vedono che rispetto al primo viaggio in Italia nel 2008 c’è stato un ricambio. Vedono che fra i sette ragazzi del gruppo dei grandi, dei Nafsi Africa, che stanno adesso per partire per un giro di tre mesi in Italia che si sono organizzati in totale indipendenza, c’è Richard che invece nel 2008 non aveva partecipato perché il suo passaporto non era arrivato in tempo. Insomma capiscono che anche una delusione fa parte del gioco della vita, che a volte l’impegno non è premiato, ma bisogna superare la delusione e continuare ad allenarsi, che si tratti di giocoleria, o di falegnameria, o di informatica. Capiscono che non si può sempre arrivare subito dove si vuole, che bisogna fare le cose bene, che quando si riesce ad ottener qualcosa bisogna essere pronti a servire gli altri e lasciare il passo anche a loro. Che non bisogna prendersi troppo seriamente, e che superare una delusione è importante quanto il non perdere il senso dei propri limiti. Crescere è anche capire che quando si impegna a fare una cosa bene prima o poi se ne traggono soddisfazioni, la più importante delle quali è proprio di averla fatta bene. E che poi alla fine dei conti bisogna capire che l’essenziale vivere insieme, condividere, donarsi. Se no, non si diventa adulti.
Cosi il viaggio in Italia diventa importante per chi ha partecipato ma anche per chi parteciperà la prossima volta e chi non avrà mai l’occasione di parteciparvi, ma riuscirà comunque ad affrontare la vita con determinazione, a crescere, ad esser felice e saper ringraziare Dio per essere cosi com’è, e di mettersi al servizio Suo e degli altri. Come leggiamo sempre nel Vangelo, ripetuto da Gesù in mille modi diversi.
Lotta Tradizionale
Le attività sportive di Koinonia si stanno intensificando, con buon successo. Ogni anno, per esempio, i Salesiani organizzano a Nairobi la Jesus Cup, che vede la partecipazione di diverse decine di squade di calcio giovanili. Negli ultimi tre anni per il settore femminile hanno vinto le nostre ragazze della Casa di Anita, e la finale degli under 14 e degli under 17 è sempre stata fra Kivuli e Tone la Maji.
Anche per questa ragione e per altri successi che ho ricordato in precedenza, abbiamo deciso di promuovere la nascita di una ONG, che abbiamo chiamato SYDI (Sport for Youth Development Initiative), per coordinare meglio la attività sportive.
La prima uscita ufficiale di SYDi é stata due settimane fa, con un torneo di lotta tradizionale. Erano presenti diverse testate nazionali e anche la BBC radio.
I nostri ragazzi di Invisible Cities hanno realizzato un breve video che potete vedere (e lasciare un commento, i numeri sono importanti in internet) se andate sul sito di Koinonia Kenya e cliccate su “Nuba Wrestling in Nairobi”, oppure cliccate direttamente qui. Clicca qui
Mentre qui sotto allego la riproduzione di un giornale che ha fatto un ampio servizio fotografico.
Pasqua a Lusaka
Buona Pasqua a tutti! Il Signore risorto è il segno, memoria, ricordo di una nuova vita che è già in noi, e che noi abbiamo innanzitutto la responsabilità di non soffocare, e poi di lasciarla germogliare e portar frutto.
Sono a Lusaka per qualche giorno. Ci sono in visita anche alcuni amici di Amani, Bruno di SIPEC da Brescia, e Cassidy dalla Scozia. Stiamo conoscendo i dodici bambini recentemente presi dalla strada, incluso Njira del quale vi avevo scritto in dicembre. Ieri sera, dopo la Veglia Pasquale, i ragazzi più grandi hanno improvvisato uno straordinario show i danze e canti di gioa, molti dei quali composti da loro. E abbiamo pensato a tutti e pregato per tutti.
Alcuni sono rimasti sorpresi per aver trovato il mio profilo su Facebook. Infatti qualche tempo fa avevo scritto di neamche mandarmi inviti a entrare in nessuno dei vari social network perché non era mia intenzione farlo. Poi mi hanno segnalato che in Facebook, e anche in un altro social network girava un mio profilo non autentico, e diffamatorio, e che la cosa migliore da fare, oltre a segnalarli ai responsabili del network come fasulli, era di “occupare lo spazio” con un profilo autentico. Non capisco ancora bene a cosa serve ma si vedrà, magari potrà diventare uno strumento utile.
Chi ha visto il profilo in Facebook è rimasto meravigliato per la forza del mio ritratto. Nessuna meraviglia. L’autore è Fabio Sironi, conosciutissimo illustratore del Corriere della Sera e autore degli splendidi acquarelli con scene di vita a Nairobi riprodotti nel calendario di Amani 2010. Anche Lackson, un ex-bambino di strada di 10 anni accolto a Mthunzi lo scorso gennaio si è cimentato con grande impegno a farmi il ritratto durante un concorso intitlato “Make a picture of Father Kizito”. Il suo é stato il miglior disegno. Come abbia potuto dimenticarsi della barba non riesco a capirlo. Comunque, eccolo qui sotto.
Poche ore fa ho chiesto ad alcuni bambini di Mthunzi che mi dicessero il significato della Pasqua per loro. Avrei voluto allegare in originale chinyanja la registrazione della risposta di Njira, ma il server me la rifiuta per misteriose “ragioni di sicurezza”. Ha detto che “la resurrezione di Gesù per me significa che posso incominciare una vita nuova qui a Mthunzi e che il Signore Gesù mi sta vicino e mi vuol bene.”