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Life

Il Tempo

Ogni giorno mi riprometto di scrivere qualcosa, e mentre mi muovo in auto per visitare varie persone nelle nostre case mi vengono in mente mille idee. Pi mi manca sempre il tempo, anche se ogni giorno succedono cose belle e meno belle che sarebbe interessante riportare.

Ieri abbiamo avuto alla Shalom House un incontro che speriamo sia il primo di una lunga serie. L’ idea, del team di APP, e’ di avviare un dialogo per pace e riconciliazione a livello nazionale, ma che coinvolga effettivamente la base. Perche’ non sembri un modo per APP di monopolizzare un discorso abbiamo coinvolto tutti quelli che lavorano per la pace in Kenya, ed e’ venuta un’ ottima rappresentanza delle associazioni piu’ serie e attive, Anche il Ministro della Giustizia, Martha Karua, ha mandato una sua rappresentante, impedita lei stessa a partecipare perche’ impegnata in un raduno straordinario del Consiglio dei Ministri. Si e’ parlato di avviare un National Institute for Peace (NIP, Istituto Nazionale per la Pace). Come sempre e dappertutto il problema piu’ serio e’ collaborare, tutti vogliono avere l’ esclusiva. Vedremo. L’ impegno da parte di Koinonia e di APP non manca. E’ che a me mance sempre piu’ il tempo. Davvero il tempo e’ grazia, e non dobbiamo lasciarcelo sfuggire tra le mani senza usarlo per pensare il bene, fare il bene, pregare il bene.

E cosi son giorni e giorni che vorrei scrivere qualcosa sullo straordinario libro di Muhammad Yunus che sto leggendo, ma non riesco mai a trovare il tempo.

Un consiglio: per leggere qualcosa di arricchente visitate il sito di Arnoldo, il cui link e’ qui a sinistra.

Zambia in Scozia

Da parecchi anni faccio il pendolare fra Kenya, Zambia, Sudan e Italia. In questi giorni sono uscito dal solito percorso ed ho appena concluso una settimana in una zona della Scozia rurale, piu’ precisamente a Lochgilphead e dintorni. Ci son venuto per essere insieme ai ragazzi di Mthunzi (Lusaka) che erano qui gia’ da tre settimane, offrendo workshops e spettacoli di musica e danze africane in scuole e teatri, e cantando in diverse chiese durante celebrazioni liturgiche.
Sono arrivato senza che se lo aspettassero, ed hanno improvvisato uno show di benvenuto sulla riva del Loch Gilp (foto qui sotto).
Personalmente ho riprovato l’importanza di incontrare nuove persone e nuove culture, mentre ancora una volta i ragazzi hanno dimostrato di essere i migliori promotori di se stessi e delle attivita’ di Koinonia.
Giovedi pomeriggio eravamo ad Oban, una piccola cittadina sul mare. C’erano, nell’aula magna della scuola dove dovevano fare lo spettacolo, un preside evidentemente preoccupato dall’aver dato il permesso di esibirsi a quel gruppo di ragazzi africani con tre vecchi tamburi, e una ventina di studenti dall’aria annoiata sparpagliati sulle 250 sedie… probabilmente obbligati a star li per punizione dopo la fine dell’orario scolastico. Si aspettavano una delle solite esibizioni di routine di gruppi folkloristici. Ma man mano che i ragazzi di Mthunzi hanno incominciato a cantare e ballare le loro composizioni, gli studenti uscivano di corsa a chiamare gli amici. Vedevamo dalle finestre gli studenti che gia’ erano saliti in bicicletta tendere l’ orecchio, fermarsi e appoggiare la bicicletta al muro ed entrare; chi aveva gia’ addentato un panino metterselo in tasca e rientrare precipitosamente. Un’ora dopo non c’era piu’ neanche posto in piedi e lo spettacolo e’ terminato con un’ ovazione e ripetute richieste di bis. E il preside entusiasta che diceva “So bene che i ragazzi son capaci di far tanto rumore, ma di sentirne quindici fare cosi tanto rumore positivo, armonioso ed entusiasmante non mi era mai capitato.”
I quindici sanno di lanciare un messaggio forte, un messaggio di cui sono convinti. E torneranno in Africa con il desiderio di far crescere il loro paese negli aspetti positivi che hanno visto in Europa, ma senza rinunciare ad essere africani.
Gli amici scozzesi dal canto loro, sono stati di un’accoglienza straordinaria. I ragazzi sono stati sempre con famiglie che li hanno ospitati e coccolati. Che in tutta sta storia ci sia lo zampino di David Livingstone, il missionario scozzese che e’ stato il primo europeo, almeno nei tempi moderni, a fare turismo in Zambia?
Da parecchi anni faccio il pendolare fra Kenya, Zambia, Sudan e Italia. In questi giorni sono uscito dal solito percorso ed ho appena concluso una settimana in una zona della Scozia rurale, piu’ precisamente a Lochgilphead e dintorni. Ci son venuto per essere insieme ai ragazzi di Mthunzi (Lusaka) che erano qui gia’ da tre settimane, offrendo workshops e spettacoli di musica e danze africane in scuole e teatri, e cantando in diverse chiese durante celebrazioni liturgiche.
Sono arrivato senza che se lo aspettassero, ed hanno improvvisato uno show di benvenuto sulla riva del Loch Gilp, c’e’ una foto qui sotto.
Personalmente ho riprovato l’importanza di incontrare nuove persone e nuove culture, mentre ancora una volta i ragazzi hanno dimostrato di essere i migliori promotori di se stessi e delle attivita’ di Koinonia.
Giovedi pomeriggio eravamo ad Oban, una piccola cittadina sul mare. C’erano, nell’aula magna della scuola dove dovevano fare lo spettacolo, un preside evidentemente preoccupato dall’aver dato il permesso di esibirsi a quel gruppo di ragazzi africani con tre vecchi tamburi, e una ventina di studenti dall’aria annoiata sparpagliati sulle 250 sedie… probabilmente obbligati a star li per punizione dopo la fine dell’orario scolastico. Si aspettavano una delle solite esibizioni di routine di gruppi folkloristici. Ma man mano che i ragazzi di Mthunzi hanno incominciato a cantare e ballare le loro composizioni, gli studenti uscivano di corsa a chiamare gli amici. Vedevamo dalle finestre gli studenti che gia’ erano saliti in bicicletta tendere l’ orecchio, fermarsi e appoggiare la bicicletta al muro ed entrare; chi aveva gia’ addentato un panino metterselo in tasca e rientrare precipitosamente. Un’ora dopo non c’era piu’ neanche posto in piedi e lo spettacolo e’ terminato con un’ ovazione e ripetute richieste di bis. E il preside entusiasta che diceva “So bene che i ragazzi son capaci di far tanto rumore, ma di sentirne quindici fare cosi tanto rumore positivo, armonioso ed entusiasmante non mi era mai capitato.”
I quindici sanno di lanciare un messaggio forte, un messaggio di cui sono convinti. E torneranno in Africa con il desiderio di far crescere il loro paese negli aspetti positivi che hanno visto in Europa, ma senza rinunciare ad essere africani.
Gli amici scozzesi dal canto loro, sono stati di un’accoglienza straordinaria. I ragazzi sono stati sempre con famiglie che li hanno ospitati e coccolati. Che in tutta sta storia ci sia lo zampino di David Livingstone, il missionario scozzese che e’ stato il primo europeo, almeno nei tempi moderni, a fare turismo in Zambia?

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Viva Madiba!

Oggi e’ il compleanno di Nelson Mandela. L’ esagerata adulazione e attenzione mediatica che lo hanno circondato non sono riusciti a farcelo diventare antipatico. La sua umanità’, il suo sorriso, le sue doti di uomo di pace, di politico e di statista sono cosi grandi da farne una figura gigantesca di fronte ai piccoli personaggi suoi contemporanei. “Ci fosse un Mandela in Sud Sudan!”  ho sentito tanti Sud Sudanesi sospirare in questi anni dopo la firma dell’ accordo di pace e l’avvio di un governo autonomo regionale a Juba. Quest’anno anche in Kenya molti hanno sognato che dalle ceneri degli scontri nascesse un Mandela. Se c’e’, non e’ ancora visibile.

In Kenya sembra di essere tornati ai vecchi tempi di Daniel arap Moi. Il governo di Grande Coalizione zoppica, Raila si sta accorgendo che e’ molto più facile fare l’ opposizione che governare, quasi ogni giorno i giornali denunciano un nuovo caso di corruzione che coinvolge personaggi di alto profilo, e ogni giorno si va avanti senza che si pongano rimedi seri.

Ieri sono stati pubblicati i risultati di una inchiesta condotta da Transparency International all’inizio di maggio, intervistando 2,400 persone, con criteri scientifici. Hanno compilato un Kenya Bribery Index, da cui risulta che le istituzioni percepite dai cittadini come le più corrotte sono: prima, di molte lunghezze, la polizia; seconde, le autorità’ locali; terzo, il Ministero della Terra; quarto, il Dipartimento dell’ Immigrazione; quinte, le università’ private (forse questo spiega perché’ noi troviamo tanti ostacoli a farci registrare come istituto a livello universitario); seste, le amministrazioni Provinciali; e cosi via, fino al ventesimo posto, dove ci sono le università pubbliche.  Il 93% di coloro che hanno avuto a che fare a qualsiasi livello con la Polizia si sono trovati in una “situazione di corruzione”. In totale, il 45% degli intervistati ha detto di aver dovuto pagare una bustarella per poter ottenere un servizio in una istituzione pubblica, mentre lo scorso anno le percentuale era del 29%. La conclusione? “La maggioranza dei Keniani e’ convinta che la corruzione sia uno dei maggiori problemi del paese, ed e’ diffusa la percezione che sia aumentata negli ultimi quattro anni.”

Ancora Crisi, ma Waumini e Calcio Crescono

Il Kenya sta affrontando un’altra crisi. Fortunatamente crisi minore rispetto a quello che abbiamo visto succedere lo scorso gennaio, ma comunque sintomo significativo della malattia principale di questo paese, la corruzione. Le informazioni sono ancora insufficienti e il recente passato ci insegna che e’ imprudente dare giudizi affrettati, perché’ il bubbone che e’ scoppiato potrebbe avere radici oiu’ profonde e diverse dalle apparenze. Il ministro delle Finanze, Amos Kimunya, si e’ dimesso l’ altro giorno, sospettato di aver venduto un enorme albergo in centro citta’ a una compagnia libica per circa un terzo del valore reale. E sembra, il condizionale e’ d’ obbligo, che fra gli azionisti principalidella compagnia libica ci siano almeno due Keniani.

La scorsa domenica abbiamo celebrato il quinto anniversario dell’ inizio delle trasmissioni di Radio Waumini.  E’ una soddisfazione vedere che questa radio cattolica e’ diventata una presenza forte nel quadro complicato e tremendamente competitivo delle radio keniane. Parecchi di quelli che hanno iniziato questa  avventura con me e padre Martin, che ha preso il mio posto come direttore due anni fa quando mi sono ritirato, sono adesso in posizioni di responsabilità in altre radio. E questo non dispiace ne a me ne a Martin, anzi ci sembra un segno di grande successo. L’ ultimo e’ stato Antony Wafula, che ha cominciato con noi, ha fatto la gavetta come annunciatore di continuità’ ogni giorno feriale dalle 14 alle 19, e pochi mesi fa e’ stato assunto dalla radio governativa come direttore dei programmi di uno dei piu’ importanti canali.

Sono stati giorni di distribuzione di diplomi e attestati. Dopo i diplomi ai maestri Nuba, mi hanno chiamato, lo scorso venerdi, a Nairobi, a consegnare i diplomi a cento “calciatori di strada” che si preparano per la “Homeless World Cup” e poi domenica a sedici allenatori, a conclusione di un altro programma di formazione in informatica e sport che e’ stato voluto dal comune di Pisa e a cui ha partecipato anche l’ associazione Altropallone di Milano.

Siamo stati coinvolti nella “Homeless World Cup” perche’ l’ idea di un campionato mondiale di calcio di strada e’ nata nel contesto dei giornali di strada, e noi (Koinonia) pubblichiamo da gennaio dello scorso gennaio il primo giornale di strada del Kenya, The Big Issue Kenya. Abbiamo solo successivamente scoperto che a Nairobi esisteva gia’ una squadra di calcio degli “homeless” che aveva gia’ partecipato a due campionati mondiali, e la collaborazione e’ diventata sempre piu’ stretta, anche perche’ a capo della squadra c’e’ un ragazzo musulmano entusiasta, col quale e’ un piacere collaborare. Allora settimana scorsa Mohamed e il nostro Cosmas hanno organizzato un workshop di cinque giorni, finanziato da Unicef, dove si e’ fatta formazione tecnica e umana (prevenzione AIDS ed altro) di oltre cento giovani provenienti da tutti gli slum di Nairobi, e l’ultimo giorno si e’ conclusa con la nomina della squadra e allenatore che andranno a rappresentare il Kenya nella Homeless World Cup che si terra’ in Australia in dicembre. L’ anno prossimo la manifestazione si svolgerà’ a Milano. Parteciperanno 64 squadre da tutto il mondo, e ci saranno certamente anche i nostri 10 keniani: 8 giocatori perche’ il calcio di strada si gioca in sette piu’ una riserva, un allenatore e un dirigente. Gli amici de l’Altropallone saranno coinvolti anche in questo evento. Per maggiori informazioni potete visitare il sito www.homelessworldcup.org

I Nuba e Dio

La scorsa settimana ho visitato i Nuba, al centro del Sudan, in occasione della chiusura dell’anno scolastico nelle tre scuole che Koinonia con l’ aiuto di Amani e di altre associazioni  gestisce ormai da parecchi anni, due scuole elementari, ciascuna con quasi 700 alunni, e una scuola per maestri, residenziale.

Ovunque la cerimonia della consegna della pagelle. Nell’ istituto magistrale, dove ci sono alunni che provengono da distanze che si coprono in tre, quattro, cinque giorni di cammino, l’atmosfera e’ quella che si respira in tutto il mondo negli ultimi giorni di scuola, a meta’ fra gioia e malinconia: finalmente si torna a casa, ma non vedro’ più gli amici, fino a ottobre, e magari per molti anni a venire per chi ha completato il corso. Ormai ci sono diplomati del nostro istituto in tutte le scuolette dei monti Nuba, un’area vasta quanto l’ Austria.

I diplomati, che vivono in capanne auto costruite tutto intorno alle aule in mattoni che siamo riusciti a costruire negli ultimi anni, si sono preparati dei cappelli di carta che imitano nella forma quelli con cui si addobbano i laureati nelle universita’ inglese. Ma non sono comici, sono ragazze e ragazzi che per fare questi due anni di studi hanno fatto sacrifici enormi. Li rappresenta tutti una ragazza la cui mamma, incontenibile,  la porta in giro per mano e orgogliosamente la mostra a tutti, toccandosi la pancia e facendo a ciascuno un discorsetto in una delle mille lingue Nuba. Mi traducono: “Questa mia figlia che oggi ha ricevuto il diploma e’ cresciuta nel mio ventre, proprio questo ventre qui. Pensa che il commerciante arabo del nostro villaggio diceva che noi Nuba siamo stupidi come animali! Invece guarda qui questa mia figlia con il diploma in mano!”

L’ ultima sera sono assolutamente esausto. Al mattino la lunga cerimonia per la consegna dei diplomi ai maestri, discorso, poi la programmazione del prossimo anno scolastico, poi, dopo un pranzo veloce di riso e fagioli, via a piedi per Kerker, con Messa, consegna pagelle discorsi, programmi per il prossimo anno scolastico che prevedono lo spostamento della scuola verso la pianura sottostante, a Sarbule. Riusciamo a riavviarci verso la base, vicina al collegio dei maestri, che e’ gia’ tramontato il sole. Arriviamo nel buio piu’ completo, che sono quasi le 20.30,  e vedo che ci sono otto maestri che ci aspettano, perche’ avevo promesso che avrei concluso la loro giornata verso le 19 con una Messa. Le due cuoche stanno ancora preparando la polenta, nella capanna che funge da cucina. Mi siedo e mi pare di non avere piu’ la forza di alzarmi, sono ormai fuori allenamento… Mi sembra quasi una mancanza di rispetto celebrare un’ altra Eucarestia in queste condizioni, e invito i pochi presenti ad organizzare loro una preghiera di ringraziamento, mentre io resto in disparte.

Scelgono il brano della conversione di San Paolo. Si accende una torcia solo per fare la lettura poi si continua alla luce delle stelle. Il lettore e il commentatore parlano un inglese stentato, poi il predicatore decide di passare all’ arabo, e quando il traduttore fa fatica a trovare la parola giusta alcuni dei presenti offrono i loro suggerimenti. Dalla mia posizione vedo il profilo del predicatore sullo sfondo della Via Lattea. Quando commenta il momento della conversione di Saul grida “alleluia” e tutti, anche le cuoche dalla cucina, gridano esultanti “alleluia”.

Ed ecco, improvvisamente, Dio e’ qui. Una presenza solida, che si va viva nelle parole e nella presenza di questa gente buona e dignitosa. Una presenza che riempie tutto. Non c’e’ piu’ uno spazio vuoto, ci compenetra, siamo tutti uniti nel Tutto.

Intanto, poco a poco, sono arrivate una cinquantina di persone. Hanno visto la luce della mia torcia mentre scendevo dalla collina di Kerker, ed hanno fatto un bel pezzo a piedi, al buio, per venire a pregare insieme agli altri. Sono tutti giovani fa i 20 1e i 30 anni e quando mi offrono la pace sento fra le mie le loro mani callose di maestri-contadini.

Domani torniamo a Nairobi. Ancora una volta ho visto che la chiesa non e’ un tempio, la chiesa e’ fatta di gente che cammina e cerca Dio.

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Scontro o Solidarietà?

Scontro o solidarieta’?

La porta di Lampedusa si apre su un mare dove si stima che negli ultimi dieci anni siano perite diecimila persone tentando una difficile attraversata. E’, in un certo senso, un’opera incompiuta. Puo’ restare come un segno di pieta’ e un luogo di raccoglimento, o diventare un freddo monumento funebre come tanti, o allargarsi e diventare il simbolo di un’ Europa che si apre verso l’Africa, verso l’accoglienza e una solidarita’ nuova.
Stara’ a noi, negli anni a venire, costruire il suo significato.
Guardando questa porta, adesso, capiamo che la globalizzazione non e’ un’astrazione, non sono solo merci a basso prezzo che invadono il nostro mercato, non sara’, anche se noi lo vorremmo, una nostra nuova modalita’ per dominare il mondo. Sono persone che finalmente accedono alla consapevolezza di essere parte di un unico mondo, e vogliono essere responsabili della loro vita, una vita che sognano possa diventare piu’ umana, e per far questo sono disposti a venire in Europa a fare i lavori piu’ umili, a accudire ai nostri ammalati, a cucinare il nostro cibo, e a pulire le nostre citta’.
E capiamo che abbiamo bisogno di una rivoluzione nel modo a cui guardiamo alle cose. Il nostro mondo europeo e’ ormai un mondo piccolo, in tutti i sensi, e c’e’ al di la’ di questa porta un mondo piu’ grande che ci chiede di partecipare e di condividere. Gli altri non sono piu’ i “moretti” per i quali le nostre nonne o bisnonne davano una lira perche’ fossero battezzati con il nome di un loro caro, ma sono persone come noi, che vogliono che la loro dignita’ e i loro dirittti siano rispettati. Non possiamo piu’ pensare al nostro piccolo mondo come al centro dell’ universo, ma vediamo che c’e’ al di la dei nostri confini, che perdono sempre piu’ di significato, un nuovo grande mondo ribollente di vita. Chiudere questa porta vorrebbe dire chiudersi alla storia e al futuro.
L’ Europa ha incomiciato a capire che il diritto internazionale che ha costruito negli ultimi secoli, che nega la possibilita’ di interferire con gli affari interni di un paese diverso, anche se in questo paese e’ in atto una persecuzione o un genocidio, andava forse bene prima della globalizzazione. Adesso e’ superato.
Ma e’ gia’ anche superato il diritto di intervento umanitario, che l’ Europa sta elaborando sempre pensandosi come soggetto di questo diritto. Ora, di fronte ai drammi crescenti della fame e del disastro ecologico, viene presa dal panico e risponde alla crescente richiesta di solidarieta’ con promesse che non mantiene mai, come vediamo regolarmente durante gli incontri del G8, ritornando ai meschini interessi nazionali, e alzando barriere sempre piu’ alte.
Cosi, per un momento – e speriamo che sia un momento breve – l’ Europa , crede a chi percepisce e rappresenta lo straniero come una minaccia, come colui che vuole derubarci della “nostra roba” e della “nostra identita”, invece che come “colui senza il quale vivere non e’ piu’ vivere”.
Accentando l’altro non gli facciamo un favore, Aiutiamo noi stessi, evitiamo di diventare maschere, evitiamo di immedesimarci sempre piu’ in una identita’ immaginata che dovrebbe proteggerci dalle nostre insicurezze interiori, ma che e’ di fatto un’ identita’ statica e sterile che ci impedisce di crescere come persone umane e come societa’ E’ una tentazione che coinvolge tutti, anche una Chiesa che talvolta sembra preferire il porto sicuro delle antiche abitudini piuttosto che l’ avventura del mare aperto.
Ma i poveri si rifiutano di vivere in una miseria indegna della persona umana, vittime di una sfruittamento interno ed esterno, di guerre che che non capiscono e non vogliono, e vengono a cercare da noi il sogno dell’ “european way of life” che abbiamo alimentato con la nostra propaganda, stupidamente sicuri che il nostro modello di sviluppo fosse l’unico possibile. Cosi continuano a stimolarci per allargare i nosti orizzonti.
C’e’ chi in Europa crede di poter fermare con le leggi questa ondata di vita che viene ad abbracciarci. Fortunatamente per tutti noi, sono degli illusi. La legge non cambia la storia, anzi, quasi sempre la legge e’ costretta a seguirla, soprattutto quando si tratta di eventi epocali come le migrazioni oggi in atto.
Cosi chi in Europa tiene gli occhi aperti incomincia a capire che la solidarieta’ o diventa globale o non ha piu’ senso. Gli egoismi di classe e di nazione sono il linguaggio del passato. Quando ero bambino la scuola e un certo mondo di adulti cercavano di trasmetterci in tante forme la convinzione che gli austriaci erano il nemico storico per eccelleza. Oggi questo fa ridere, o fa pena. E’ bastata una generazione per far dimenticare pregiudizi che potevano sembrare eterni. Oggi i nostri ragazzi si sentono sempre di piu’ cittadini di un unico mondo e capiscono istintivamente – a meno che siano succubi di martellanti propagande – che la convivenza civile puo’ essere solo fondata su una solidarieta’ globale, altrimenti e’ solo un egoismo mascherato. Bush e i suoi amici saranno consegnati alla storia come sopravvisuti di un’era in cui nessuno piu’ si riconoscera’.
Sono fiero della mia cultura e della mia tradizione. Ma e’ proprio centrale alla grande cultura in cui sono nato il riconoscere in ogni persona prima di tutto la comune umanita’, fonte di dignita’ e diritti, e solo successivamente vedere le differenze. E accettarle come differenze che ci complementano, anzi, che mi creano e che mi danno vita, perche’ senza queste differenze non potrei essere me stesso.
Se facciamo nostra questa rivoluzione mentale, riguardando questa porta non la vediamo piu’ come un monumento ai morti, ma come un grande segno di speranza e di apertura per i vivi. Ci accorgiamo che non facciamo semplicemente memoria di quei poveri corpi in fondo al mare, li riconosciamo come persone che venivano a noi desiderosi di condividere la nostra comune umanita’. Essi, che hanno gia’ attraversato un’ altra porta, quella che si apre sull’ incontro con l’ Infinito, con con colui che e’ davvero e definitivamente l’ Altro, avevano capito cio’ che noi fatichiamo ad intravedere. Hanno aperto questa porta per noi.
Oggi, mentre voi contemplate questa porta sull’ Africa, io sono sui Monti Nuba, al centro del Sudan. Anche da qui e’ partita gente che senza aver mai visto una pozza d’acqua piu’ profonda di un metro, ha tentato di attraversare il grande mare, inseguendo il sogno di un lavoro, di poter mandare un aiuto ai genitori anziani o ai fratelli minori. Oggi alcuni dei loro corpi sono in fondo al mare che state guardando.
Io sto distribuendo il diploma di maestro elementare a circa cento giovani che hanno seguito un corso di due anni fatto qui e gestito da persone locali. Corso voluto dalle stesse organizzazioni che hanno promosso l’apertura della porta realizzata da Mimmo Paladino. Questa mi sembra possa essere la strada, quella esprimere la solidarieta’ andando ad incontrare gli altri la dove sono, per crescere insieme, nel rispetto di tutti. Questi giovani, ai quali e’ stata data l’ opportunita’ di una vita dignitosa tra la loro gente, non andranno ad ingrossare le file di che cerca di attraversare il mare. Questa strada la percorriamo non solo perche’ questo fa bene ai “poveri”, ma perche’ fa bene a noi. Qui dobbiamo venire, scalzi, in segno di rispetto per la terra sacra degli altri, per tornare ad imparare ad essere uomini tra gli uomini. La porta di Lampedusa e’ per un traffico a due direzioni.
La porta di Lapedusa diventa allora un invito a guardare lontano, e a guardare con speranza. Cominciamo a capire che non siamo alla fine della nostra civilta’. Siamo agli inizi di una nuova era, in cui vivere in solidarieta’ globale e’ la nuova dimensione.

La Porta di Lampedusa

L’Aritmetica delle Scimmie

Mi e’ capitato di leggere questa notizia, proveniente dagli USA:

Ecco un nuovo elemento da aggiungere alla lista delle cose che ci legano al mondo animale, in particolare a quello delle scimmie. Anche loro infatti saprebbero contare, o comunque distinguere tra diverse quantità numeriche. Lo dimostra un esperimento condotto dai ricercatori della Duke University di Durham (North Carolina), secondo il quale i nostri parenti animali più prossimi avrebbero una sorprendente agilità mentale nel riconoscere numeri e fare piccole somme. Lo studio è stato condotto in curioso parallelo tra primati e studenti volontari e i risultati ottenuti sono stati sorprendenti.

Nell’esperimento alle scimmie è stato chiesto di fare rapide addizioni mentali: il 76 per cento degli animali ha risposto positivamente, contro il 94 per cento degli studenti, cui era stato chiesto di fare la stessa cosa. Una differenza di percentuale irrisoria, che secondo gli scienziati americani suggerisce una comune propensione al calcolo.

“E’ noto che gli animali sanno riconoscere le quantità, ma la vera sorpresa sta nella loro capacità di realizzare calcoli matematici come l’addizione”, ha spiegato Jessica Cantlon, ricercatrice al Centro di Neuroscienza cognitiva della Duke University. “La nostra ricerca dimostra proprio questo”.
Lo studio, pubblicato nella rivista
Public Library of Scienze Biology, arriva poco tempo dopo quello di un gruppo di ricercatori giapponesi, che ha dimostrato come i giovani scimpanzé abbiano una memoria di breve termine migliore di quella dei loro colleghi studenti.

Beh, posso garantirvi che i ricercatori della Duke University arrivano in ritardo. Che le scimmie sapessero contare i contadini Achewa dell’’ Est della Zambia lo sanno da tempo immemorabile. Alla fine degli anni settanta ero a Chadiza, nell’angolino di Zambia che si incunea fra Mozambico e Malawi, una delle regioni africane piu’ densamente popolate, per il clima mite e la terra fertile. Durante il mese di giugno andavo di villaggio in villaggio celebrando con la gente la Za Masika, la festa del ringraziamento alla fine della stagione del raccolto. A dimostrazione delle abilita’ aritmetiche scimmiesche, ma con un debole per le sottrazioni, gli Achewa mi raccontavano che quando le pannocchie di mais cominciano a riempirsi di chicchi teneri e dolci, bisogna proteggere i campi dalle scimmie e dai cinghiali, che ne sono ghiottissimi e che in una notte possono distruggere i campi di mais di una intera famiglia. Allora si fanno turni di guarda continui, 24 ore su 24, talvolta erigendo in mezzo al campo delle capannucce provvisorie, dove si posizionano dei ragazzi armati di grossi bastoni. I bastoni servano non solo a far rumore (il rumore basta solo a far fuggire i cinghiali), ma per proteggersi dalla scimmie che quando sono in tante possono diventare molto pericolose, e anche uccidere una persona, letteralmente sgozzandola. Ebbene, le scimmie si mettono sugli alberi al bordo del campo e stanno ad osservare. Se si accorgono che un campo non e’ protetto lo devastano, ma se vedono dei guardiani restano ai margini. Se vedono entrare tre persone e piu’ tardi osservano che ne escono una o due, le scimmie non si muovono perche’ sanno che qualcuno e’ rimasto di guardia. Vanno a banchettare solo se ne vedono uscire tre. Ma se si posizionano un numero piu’ alto di guardiani, dai quattro in su, e successivamente ne escono tre, anche alla spicciolata, appena il terzo se ne va le scimmie si scatenano sul campo di mais, per poi fuggire atterrite quando si accorgono che nascosti nel mais ormai molto alto sono rimasti dei guardiani. Hanno perso il conto…

Amnistia e Perdono

n Kenya e’ tornata la pace. O almeno cosi sembra. A Nairobi, anche negli slums che ne erano stati piu’ fortemente colpiti, i segni della violenza stanno rapidamente scomparendo. Strutture provvisorie sostituiscono e nascondono le strutture precedenti che spesso erano solo poco più che provvisorie. La centrale telefonica di Jamuhuri che era state bruciata in uno dei peggiori incidenti dello scorso gennaio, a due passi dalla casa provincializia dei comboniani, e’ stata frettolosamente riverniciata per nascondere i segni delle fiamme e del fumo, anche se ancora non ha ripreso a funzionare.

Ma, per quanti sforzi faccia, il presente governo di grande coalizione – con ben 42 ministri ed una pletora di sottosegretari, fra di loro molti personaggi che lo scorso gennaio apparivano essere nemici acerrimi e che hanno irresponsabilmente alimentato la violenza per i loro scopi politici – non riesce a far dimenticare che ci sono stati oltre millecinquecento morti e un numero ancor piu’ difficile da definire,ma comunque vicino al mezzo milione, di rifugiati. La vernice copre solo le apparenze, non la sostanza.

Due sono le azioni che il governo sta cercando effettuare nel tentativo di far dimenticare il recente passato: un’ amnistia generale per coloro che sono stati responsabili delle violenze post-elettorale, e il ritorno immediato degli sfollati nelle loro case. Le modalita’ usate sono pero’ cosi rozze e improvvisate che rischiano di esacerbare gli animi e provocare un rigurgito di violenza, piuttosto che riavvicinare i tempi della riconciliazione.

L’ amnistia e’ propugnata principalmente da coloro che erano parte dell’opposizione. Ogni pochi giorni alcuni di loro la ripropongono come un atto di clemenza quasi dovuto a chi “ha salvato la democrazia keniana”. Regolarmente altri membri del governo si oppongono ricordando che questi salvatori della democrazia hanno comunque commesso gravi atti criminali, come incendiare, saccheggiare ed uccidere. Per qualche giorno non se ne parla piu’, ma poi i difensori della necessita’ dell’ amnistia tornano alla carica. Il perche’ di questa insistenza e’ abbastanza evidente: tutti sanno che ci sono prove schiaccianti che la’ dove la violenza e’ stata premeditata e organizzata, i responsabili sono alcuni “uomini politici” (fa abbastanza impressione chiamarli cosi’) che sono attualmente al governo, e che sperano che una amnistia generale scoraggi ogni ulteriore indagine.

Uno sfollato che, come tanti, invece di andare in uno degli appositi campi organizzati dal governo ha trovato un tetto preso suo fratello in una baracca vicina a Kivuli, mi diceva qualche giorno fa: “Il ministro *** chiede a gran voce l’ amnistia. Lo capisco benissimo, forse farei lo stesso se fossi al suo posto, visto che e’ l’auto di sua moglie che ha portato le tanche di benzina che son servite a bruciare la mia casa, e non solo la mia. E nella mia casa c’era ancora dentro mio figlio di due anni, John. Potra’ lui restituirmelo?”

Effettivamente, l’amnistia sarebbe in Kenya solo un’ altra parola per affermare l’ impunita’ di cui gli uomini politici hanno goduto dall’ indipendenza ad oggi. Sono qui da oltre vent’anni  e non ricordo di un uomo politico che abbia pagato per le sue malefatte. L’ impunita’ dei potenti e’ parte del sistema ereditato dal colonialismo inglese. Ma oggi non ci si puo’ piu’ nascondere dietro le colpe degli altri, Bisogna che giustizia sia fatta e che tutti vedano che giustizia e’ stata fatta, se si vuole veramente interrompere il ciclo dell’ impunita’. Una povera e semplice giustizia umana, ma pur sempre una dimostrazione di serieta’ e di rispetto per coloro i cui diritti sono stati gravemente violati.

Continua il mio interlocutore: “Io sono cristiano, ed ho pensato molte volte che dopotutto dovrei perdonare. Ma l’ amnistia mi rende impossibile il perdono, perche’ cosi non sapro’ mai chi e’ il colpevole. Anche il confessionale il prete da’ il perdono di Dio solo a chi ammette la propria colpa.”

Ha ragione. Il perdono cristiano e’ un dono e una grazia. Grazia per chi lo offre, e dono per chi lo riceve. Ma la giustizia umana dovrebbe fare il suo corso. La riconciliazione vera e’ possibile solo dopo un’ ammissione di colpa.

Il ritorno degli sfollati alle loro case e’ pure ostacolato dal risentimento, paura e odio che sono nati durante i drammatici episodi di gennaio, nonostante il governo assicuri che questo rientro sta procedendo bene. L’ operazione “Rudi Nyumbani” (ritorno a casa) e’ stata lanciata gia’ nel mese di maggio, con il supporto dei mass media, ma con poca o nulla preparazione. Persone a cui e’ stata bruciata la casa dai vicini, e che hanno visto uccidere i propri cari, si sono sentite dire “tutto e’ finito , preparatevi che domattina vi riportiamo a  casa” e il mattino successivo sono stati caricati su un camion e portati fino a casa. O meglio fino a dove abitavano lo scorso dicembre, perche’ hanno trovato una casa o capanna bruciata, campi devastati, pozzi inquinati. E sono stati lasciati li solo con un piccolo aiuto, qualche coperta, pochi chili di farina di polenta e di fagioli. Le agenzia umanitarie molta piu’ difficolta’ a raggiungere coloro che sono ritornati, era piu’ semplice aiutare gli sfollati quando erano ammassati nei campi.

Dice il mio vicino che alcuni sui parenti sono tornati nell’ area in cui anche lui viveva, ma poi, dopo una settimana, sono ritornati nei campi sfollati. A “casa” era difficile vivere, mancava tutto e i vicini erano ostili. Che senso ha ritornare in queste condizioni? Potrebbe essere solo la preparazione di nuove violenze.

Come ha detto Peter Kairo, arcivescovo di Nyeri, che lo scorso gennaio era vescovo di Nakuru, una delle area piu’ devastate dagli scontri “la rivalita’ etnica che ha fatto esplodere la violenza e’ ancora molto alta e la sola presenza della polizia non bastera’ a restaurare la pace.”

Mons. Cornelius Korir, vescovo di Eldoret, e’ fra coloro che piu’ si sono prodigati per alleviare le sofferenze di tutti, senza distinzione. Migliaia di sfollati sono vissuti per settimane accampati dentro e fuori la sua cattedrale.  Adesso e’ fra i promotori di una seria campagna di pace e riconciliazione, ed ha recentemente osservato che “d’ ora in poi, gli anziani delle diverse comunita’ dovrebbero essere capaci di identificare i segnali di conflitti latenti, e dovrebbero intervenire subito per risolverli, invece di intervenire solo per rimediare agli effetti negativi.”

Apparentemente parlava agli anziani di alcuni villaggi. Ma il suo consiglio dovrebbe essere seguito sopratutto dai leaders dei partiti politici rivali, o scorso anno hanno fatto esattamente l’ opposto, cioe’ alimentato il conflitto per trarne il maggior vantaggio possibile.

Arrendersi al Male

Leggo in internet le sconsolanti notizie dall’Italia. Ancor piu’ sconsolanti perche’ sono pochi quelli che come don Vinicio Albanesi scrivono “io sto con i cani e gli infedeli”, o chi come don Gino Rigoldi dice semplicemente “il razzismo e’ peccato”. Ma dove sono i vescovi? Non ho trovato una dichiarazione, omelia, pronunciamento. Spero solo che sia perche’ non vengono riportate dai siti che riesco a vedere qui a Nairobi.

In Kenya si e’ riunito la settimana scorsa per la prima volta il megagoverno di coalizione. Quarantadue ministri, incluso quello ”Per la visione del 2030”. Diverse persone indicate dalla voce popolare come i principali responsabili dell’ incitamento alla violenza post elettorale sono in questo gabinetto con posizioni importanti. Il primo grande dibattito e’ stato se si debba o no concedere l’amnistia a chi e’ in prigione accasato di aver perpetrato atti di violenza, che complessivamente secondo le stime ufficiali e conservatrici hanno causato almeno 1,500 morti e 500,000 sfollati, senza contare i danni alle cose. Significherebbe il perpetuarsi del clima di immunita’ che negli anni recenti ha permesso agli uomini politici di commettere azioni criminali senza mai pagarne le conseguenze. Assolutamente immorale. Eppure sembrano tutti d’accordo, mascherandosi con una finta volonta’ di perdono.

In Sudan i “ribelli” del JEM (Justice and Equality Movement”, si autodefiniscono) hanno attaccato Khartoum. I fatti sono cosi confusi che ci si chiede addirittura se l’attacco a Khartoum non sia stato in qualche modo una manovra governativa. Certamente non sono un messa in scena gli scontri intorno ai pozzi petroliferi di Abyei. Le due parti che si sono combattute dal 1983 al 2005, SPLA e l’ala fondamentalista islamica del governo di Khartoum, sono tornate a scontrarsi. La firma della pace in Sudan sembra ormai gia’ un episodio del passato. Stiamo andando irreversibilmente verso un Sud Sudan indipendente e in permanete situazione di tensione e conflitto armato col Nord. E nel Nord la violenza degli scontri in Darfur non accenna a diminuire.

In Uganda la pace fra LRA e governo si allontana sempre piu’, anche se negoziatori eccessivamente ottimisti e alla ricerca finalmente di un successo l’ hanno annunciata come imminente piu’ di una volta. Il mediatore principale e’ il dottor Riek Machar, vicepresidente del Sud Sudan, uno che di pace se ne intende, perche’ di negoziati di pace avviati, firmati e sconfessati piu’ di uno. Altri morti, altri bambini rapiti e brutalizzati, altre vita innocenti violate. Ma a chi interessa? Ormai e’ una storia vecchia che va avanti da oltre vent’anni. I ribelli dovrebbero inventarsi qualcosa di nuovo, di piu’ atroce del solito, se non vogliono cadere nell’oblio, loro e le loro vittime.

In Zimbabwe continua la violenza nata durante il recente scontro elettorale e in preparazione alla nuova tornata. Ormai la lotta si e’ cosi incancrenita che non si riesce piu’ a risalire alle cause. E’ stata l’ innegabile stupidita’ di un regime tanto corrotto quanto dispotico? O sono stati i coloni inglesi e la politica intransigente sostenuta dalla parte piu’ razzista dei mass media britannici?

In Sudafrica, il paese arcobaleno, gli immigrati sono cacciati e uccisi. Ancora una volta i poveri scatenano sui piu’ poveri le frustrazioni e le rabbie che nascono dalle promesse mancate e speranze fallite, dalla poverta’ crescente, dai prezzi del cibo che continuano a crescere a dismisura. Visto che e’ impossibile perdersela coi potenti, e che i potenti controllando l’informazione riescano a far credere che la responsabilita’ sia degli immigrati, il capro espiatorio diventano i piu’ deboli. Cosi, come in Italia si sono inventati i Rom, in Sudafrica gli zimbabwani, in Sudan i darfuriani, in Kenya le streghe.

Alla fine degli anni sessanta, una volta la settimana lasciavo per qualche ora lo studio della teologia a Venegono e andavo ad insegnare disegno tecnico in una scuola delle Acli di Varese. Ricordo l’ assistente delle Acli che usava dire, “Oggi abbiamo di testimoni, non di profeti o di eroi. Tanto meno di quelli che sanno di esserlo. Ancor meno di quelli che credono di esserlo”.

Oggi in Africa, in Italia, dappertutto, abbiamo bisogno di gente vera, buona e semplice che faccia quotidianamente cose vere, intelligenti, semplici e buone. Con costanza. Ammiro sempre piu’ i miei confratelli anziani, quelli che hanno dieci o vent’anni piu’ di me a che continuano a fare semplicemente per amore della gente quello che hanno sempre fatto: stare in mezzo a loro, condividendo il cuore e la fede. Ammiro le nonne africane che si prendono cura dei nipotini perche’ i figli sono morti nell’epidemia di AIDS. Le vedo all’ imbrunire andare con passo determinato a comperare una manciata di fagioli per preparare la cena ai nipoti, con i pochi scellini guadagnati durante il giorno lavando i panni degli altri o vendendo pannocchie di mais abbrustolite. Vedo che quel passo fermo cerca di nascondere la fatica e l’ eta’, ma non si danno per vinte. Sanno di essere loro a fare andare avanti il mondo.

Ieri mattina sono andato a vedere la decina di bambini di strada che si trova nella casetta di prima accoglienza, Ndugu Mdogo, a Kibera. Li trovo che stanno guardando le notizie sulla piccola televisione che ci hanno regalato. Si vedono le vittime emaciate del ciclone di Burma. C’e’ un bambino dal volto smunto, di fianco alla mamma seduta e piangente. Kyalo, che avra’ otto anni e che solo da qualche settimana mangia regolarmente tutti i giorni, mi tira la manica della maglietta per richiamare la mia attenzione. Non dice niente, mi indica lo schermo.

Cosa possiamo fare? Possiamo forse alzare le mani, sventolare bandiera bianca e lasciare che l’ ingiustizia e il male vincano senza neanche piu’ tentare di dar battaglia? Dopo la colazione dico a Kyalo e agli altri che intanto si impegnino a riprendere la scuola, imparino a rispettare gli altri, cerchino di seguire l’insegnamento di Gesu’, e poi loro saranno capaci creare una societa’ piu’ giusta. Vorrei anche dire che dovranno affrontare difficota’ e dolori grandi, ma che comunque non si devono scoraggiare, perche’ vivere cercando di rendere il nostro mondo piu’ umano, buono e giusto e’ comunque il modo piu’ bello per spendere la propria vita. Ma mi fermo, non vorrei caricare sulle loro spalle un peso troppo grande. Hanno bisogno ancora di crescere per capire certe cose e portare certi pesi.

MaterAfrica

Ho voglia di scrivere, ho tante cose da raccontare, ma troppo spesso non trovo il tempo. Riesco a farlo solo quando qualche amico mi tormenta fino a quando non rispondo alle sollecitazioni.

Nei giorni scorsi a svolgere questa funzione sono stati gli amici di Matera, specialmente quelli dl gruppo di musica tradizionale Terragnora. Quasi tutti loro sono venuti a Nairobi, alcuni piu’ di una volta, e naturalmente hanno subito fatto amicizia con i nostri percussionisti, coristi, danzatori e acrobati dei Nafsi Africa. Lo scorso anno ne hanno invitati alcuni a Matera ed insieme hanno suonato a cantato per ore e ore, finche’ e’ nata una cosa originale, un fusion matero-rirutiano che hanno pensato di offrire ad un pubblico piu’ vasto, con l’ indovinato titolo di MaterAfrica. Nell’ occasione della pubblicazione del CD mi hanno chiesto di scirvere un testo, che riproduco qui sotto, insieme alla copertina del CD. Ho fatto del mio meglio perche’ – pur essenso stonato ed incapace di muovermi a ritmo – capisco che la musica e’ una grandissima forza per costruire comunita’.

 

Il battere dei tamburi e la voce umana sono gli elementi fondamentali della musica africana tradizionale. Koinonia, che in tutti i campi vuole mantenere vivi i valori della tradizione, ha sempre apprezzato il potenziale di costruzione di pace e di comunità insiti nella musica, ed ha incoraggiato un gruppo di giovani a costituire i Nafsi Africa, “l’Anima dell’Africa”.  E’ un gruppo musicale che ripropone le percussioni, le danze e i giochi comunitari tradizionali; cosi ciò che viene sempre meno eseguito nelle piazze dei villaggi viene riproposto nelle strade di Nairobi, con le inevitabili contaminazioni della modernità, che non vengono percepite come una minaccia, ma come un arricchimento.

La musica tradizionale, pur reinterpretata, resta quello che e’ sempre stata: un momento di incontro, di costruzione di comunità. Ciò che all’ascoltatore superficiale può sembrare il monotono ripetersi di un ritmo sempre uguale, per chi vi partecipa e’ invece un crescendo di comunione ogni volta che una nuova persona entra nel circolo e vi contribuisce cantando, battendo le mani o i tamburi, danzando. Anche i piedi fanno musica.

Un grandissimo missionario comboniano e etnomusicologo di fama mondiale, Filiberto Giorgetti, usava dire che “dopo qualche minuto di percussione dei tamburi, il cuore di tutti i partecipanti in un canto africano batte all’ unisono; tamburi e cuori prendono lo stesso ritmo”. Forse non e’ una verità scientificamente dimostrata, ma esprime bene quanto la musica africana esiga e crei  coinvolgimento e comunità. La musica africana non e’ fatta per essere ascoltata, ma per essere partecipata.

Tanta della musica popolare e tradizionale nel mondo e’ basata sugli stessi principi. Per questo l’incontro fra i Nafsi Africa e i Terragnora e’ stato fecondo. Entrambi i gruppi sono fatti da persone che, pur vivendo in questo tempo, vogliono mantenere vivi i ritmi della tradizione ed entrambi sperimentano le tensioni che ne nascono. Entrambi vivono la loro musica come un momento comunitario e come strumento di costruzione di comunità e solidarietà.

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