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Life

Tredici Ragazzini Keniani Visitano l’Italia

Continuo a ricevere reazioni al giro fatto dai ragazzi del Koinonia Children Team in Italia a cavallo tra aprile e maggio. Vi metto qui sotto il contributo di una mamma di Milano e di tre o quattro ragazzi.

Ho fatto questo lavoro con l’aiuto del programma Translate di Google. Il nostro webmaster, Eric, lo ha inserito anche nel sito di Koinonia Kenya, sulla colonna di destra. Io l’ho sperimentato prima traducendo il sito dall’ inglese all’ italiano, con risulati sorprendentemente buoni. Poi ho provato con il greco, tanto per divertirmi, perchè ovviamente non lo conosco, e non riuscivo più a tornare all’ italiano ed ho dovuto chiamare Eric… Comunque adesso il sito può essere instantamenmente tradotto un qualche decina di lingue.

Colpo di fulmine a Putignano
Un bellissimo sogno è divenuto realtà il 17 aprile 2010, era un venerdì quando io e i miei genitori siamo andati all’aeroporto. Ho preso un aereo che era molto diverso da quello che avevamo preso nel 2008. La Ethiopian Airlines ha un servizio fantastico rispetto a quello della Egypt Air, anche se le hostess parlavano la lingua etiope che a me sembrava quasi come il greco. Io spero di volare un giorno sulla Kenya Airways e sentir parlare le lingue keniane, ne sarei molto orgoglioso. Alla fine di un lungo viaggio via Addis Abeba siamo finalmente arrivati in Italia.
Il primo giorno a Roma ero molto felice di incontrare degli amici che erano stati a Kivuli. Abbiamo camminato un po’ e siamo andati a vedere la Basilica di San Pietro dove abbiamo imparato molte cose. A Bari abbiamo incontrato Paolo e abbiamo inscenato per la prima volta Simba na Mende. Noi l’abbiamo apprezzato molto per il suo lavoro e la sua energia. Dopo Bari siamo stati a Putignano dove ho avuto un’esperienza che non dimenticherò mai nella mia vita. Dopo lo show siamo andati a pranzare con degli studenti, qui una ragazza si è innamorata di me. E’ stata la prima volta nella mia vita in cui sono stato avvicinato da una ragazza ed ero molto imbarazzato, lei si è avvicinata e mi ha detto “ti amo, baciami”. Questo di fronte ai miei amici e le maestre, la cosa peggiore è stata la presenza di Kizito e Gian Marco, le persone più importanti della mia vita e che rispetto di più.
Ho molto apprezzato il resto del viaggio, le nostre performance sono migliorate di giorno in giorno e mi hanno reso molto orgoglioso del nostro lavoro. Ho imparato molte cose nuove soprattutto attraverso i musei, le infrastrutture e i deliziosi pasti. Il momento più bello è stato quando abbiamo partecipato alla marcia per la pace e abbiamo visitato le città, una era costruita sull’acqua. Noi siamo stati in compagnia di Kizito, Gian Marco e Anna. Loro ci hanno fatto sentire come se fossiamo con i nostri genitori, ho apprezzato molto Cavallino perchè abbiamo dedicato 4 giorni al divertimento. A Milano abbiamo incontrato degli amici che non vedevo da molto. Sono stato molto felice di vedere San Siro.
Wilson

Ma che pesce era?
Ero molto eccitato di visitare l’Italia ad aprile 2010. Il viaggio dal Kenya è stato molto lungo. Quando siamo arrivati siamo stati accolti con grande gentilezza e felicità. Per prima cosa abbiamo mangiato con persone che erano del posto e poi siamo stati divisi tra diverse famiglie. Il giorno seguenti un nostro amico ci ha fatto fare un tour a Roma. La cosa più bella è stata visitare la città del Papa e vedere la chiesa più grande del mondo. Vedere il cimitero dei Papi è stata una bella esperienza, è stato costruito con l’oro. Abbiamo poi visto altre vecchie case a Roma.
Abbiamo poi visitato Bari. Il viaggio da Roma è stato lungo. Non avevo mai fatto prima un viaggio così lungo in auto e sono stato sorpreso di stare 5 ore in un bus. A Bari abbiamo incontrato Paolo ed eravamo molto felici di vederlo di nuovo. Avviamo provato 3 giorni e il quarto giorno abbiamo inscenato Simba na Mende che è durato un’ora e mezza. Abbiamo iniziato con acrobazie e danze.
Le famiglie ci hanno poi portato in città e il giorno dopo abbiamo visto il Petruzzelli, un bellissimo teatro per gli shows internazionali. Abbiamo poi visto il Mar Mediterraneo di cui abbiamo sempre sentito parlare.
I nostri amici ci hanno comprato dello strano pesce crudo e abbiamo provato per la prima volta a mangiarlo. E’ stata la cosa più terribile che abbia mai sperimentato nella mia vita. In Kenya non ho mai visto questo genere di pesce ma io sono stato felice di aver visitato l’Italia per la seconda volta.
Eugene

Gian Marco dormiva, ma per nostra fortuna c’era Dio
Era una domenica mattina quando mi sono alzato, ho lavato la faccia e ho fatto colazione, era un giorno in cui mi sentivo felice come un re. Sentivo gli uccelli cantare delle canzoni melodiose. Quello era il mio giorno migliore, wow! Un magnifico sogno stava finalmente diventando realtà. Mi sono svegliato e mi sono trovato in una famosa città chiamata Roma. Sono stato molto impressionato dalla chiesa più grande del mondo; sono rimasto sbalordito nel vedere la tomba dell’apostolo Pietro e dei Papi. Avevo appena aperto gli occhi e già avevo visto delle cose così belle. Dopo Roma abbiamo visitato molte altre città davvero interessanti.
Ho incontrato molte famiglie e amici che sono stati buoni con me per la prima volta nella mia vita. Ho sperimentato l’amore, le cure di una famiglia felice. Ho sperato che anche la mia famiglia fosse come quelle in Italia. Ho scoperto che i ragazzi in Italia sono molto più fortunati di noi e questo ha influenzato la mia relazione con mia mamma perchè mi sono chiesto perchè lei è così diversa, ma poi ho capito che le persone sono diverse e così gli stili di vita e questo dipende da dove sono nati e come sono cresciuti.
Questo viaggio mi ha legato molto a Gian Marco, cosa che non mi sarei mai immaginato. Ero solito vederlo come una persona pronta a rimproverarmi, spesso ha un’espressione cupa e solitamente io avevo paura ma questa volta mi sono sempre seduto di fianco a lui. Non dimenticherò mai il suo modo di guidare dormendo e pensavo che un giorno saremmo finiti fuori strada, nelle colline o in campagna, ma per fortuna ci siamo salvati. Non grazie a Gianmarco ma grazie a Dio. Poi ho capito che il viaggio era lungo e le distanze non erano facili da coprire per lui. Solitamente lo chiamavo ‘grande papà’ ed è stato bravo a prendersi cura di noi. Grazie ad Anna Nenna la nostra mamma e sorella. Era sempre lì per noi con Claudo e Ilario.
E per la parte che facevo padre Kizito adesso non mi chiama più Benson, ma Mende!
Benson

Però l’uomo che tirava il bus non c’era
Dopo il nostro arrivo abbiamo fatto una passeggiata fino al Vaticano dove ci è piaciuto vedere S.Pietro e gli edifici romani. Dopo Roma siamo andati a Bari con un un autobus conosciuto come “Uomo che Tira” (nel testo Pull Man, il termine “pullman” nel significato di autobus non si usa in Kenya, e Charles lo ha interpretato come Pull Man, cioè, in inglese Uomo the Tira). All’interno del bus abbiamo dato un po’ di fastidio alle altre persone, cosa che non succede spesso in Italia, ma poi alcuni passeggeri hanno cominciato a parlare con noi e da lì anche tutti gli altri. A Bari abbiamo incontrato il nostro caro amico Paolo, il che mi ha fatto sentire subito a casa. Paolo è una brava persona, lui è stata una delle persone che ci ha insegnato lo spettacolo Simba Na Mende. Lui mi ha sempre spronato a fare il meglio che potessi e per questo non potrò mai dimenticarlo nella mia vita. Poi abbiamo oi visto Matera, dove è stato girato il film “La Passione”. Qui ho incontrato il mio amico Maurizio che era venuto spesso a farci visita a Kivuli. Qui abbiamo visto i sassi, dove vivevano le persone prima della venuta di Gesù; a Bologna abbiamo visto una chiesa con al suo interno altre 6 piccole chiese.
A Numana ho conosciuto un nuovo amico, Martino, lui ha 12 anni ed era triste quando ci siamo salutati. Anche io sono stato triste di aver lasciato Numana; siamo poi andati a Riccione, una città molto bella dove ci siamo esibiti nelle strade. Io ero felice di suonare i tamburi e ballare tutti insieme per strada. C’erano moltissime persone a vedere lo show, Cavallino è stato la città più bella perchè li abbiamo solo mangiato, giocato, siamo andati in bicicletta, abbiamo nuotato nella piscina, cavalcato. E’ stata la settimana in cui ci siamo divertiti di più e abbiamo mangiato le vongole, prima di allora non le avevo mai assaggiate in tutta la mia vita.
Da Cavallino siamo poi andati a Venezia, una delle città più belle. Venezia è stata costruita sull’acqua ed ha delle maschere bellissime. Qui in Italia ci sono molte strade belle ed ambienti puliti, molti italiani però non parlano inglese ma solo la loro lingua o il francese. Agli studenti è permesso andare a scuola con il cellulare e altro materiale elettrico, ma in Kenya non ci è permesso portare nulla di questo tipo. Anche in Italia alcuni ragazzi e ragazze fumano, ma in Kenya se vieni visto fumare sei portato in tribunale. (A Nairobi è vietato fumare per strada dal luglio 2008, pena multe da 500 euro ai 6000 euro, anche l’arresto).
L’Italia è un bel Paese perchè ci sono molte specialità culinarie come i Maccheroni, la polenta, il pollo e “supergeti”.
In Italia gli studenti vanno a scuola solo mezza giornata ma in Kenya andiamo dalle 7 alle 18.30.
Charles

Come si usa lo struccante?
‘Guarda Roberta, invece di due, i ragazzi di Kivuli che dovrai ospitare a casa saranno tre o quattro.’ Quando Anna mi ha telefonato per avvisarmi del cambio di programma ho avuto un sussulto. ‘Quattro? Oddio, e dove li metto?’ . Avevo dato la disponibilità ad accogliere i bambini appena avevo saputo del loro tour italiano e tutti a casa erano felici di rivedere qualcuno di quei ragazzi che avevamo conosciut a Nairobi. Era da qualche anno che desideravamo tornare a ripercorrere le strade ( se così si possono chiamare) di Riruta e vivere qualche giorno con i bambini del centro ma purtroppo non ne avevamo avuto ancora l’occasione ed ora erano loro che venivano a trovare noi. Chissà se qualcuno si ricordava della nostra famiglia, con tutti i volontari che ogni anno passano a Kivuli probabilmente i nostri brevi soggiorni erano stati dimenticati. Quindi era con grande emozione che aspettavamo il loro avviso. Emozione ma anche un po’ di timore perché un conto è conoscerli nel loro ambiente, un conto invece è incontrarli in una realtà che è a loro estranea. Mi chiedevo se vedere una casa con tutte le comodità che hanno le nostre case non li avrebbe resi in qualche modo differenti da come li avevamo conosciuti. Per non parlare della lingua. Il nostro Inglese scolastico non è sufficiente per comunicare a lungo! Oltre a tutto questo ora erano diventati quattro!! La mia casa è sufficientemente grande ma tutti quei letti in effetti non ci sono. Il primo a rendere la cosa più semplice è stato mio figlio Matteo che con i bambini aveva stretto amicizia quando siamo stati a Kivuli, anche senza parlare una parola di Inglese. Ma si sa, i bambini , di qualsiasi parte del mondo siano, riescono sempre a comunicare senza troppe difficoltà!! ‘Che problema c’è, mamma, io dormo sul divano in salotto e loro nella mia stanza e in quella di Michela’ ( la mia figlia maggiore ora in America). I secondi a rendere tutto più semplice sono stati proprio loro : Ian , Harrison, Charlie e Job ‘il loro allenatore’. E così per 5 giorni ho avuto una famiglia di 8 persone. 8 persone da svegliare, le colazioni, i turni in bagno per lavarsi , i vestiti da lavare e asciugare ( Sì perché un maggio così piovoso a Milano non lo si ricordava da anni!!) i letti da rifare e poi il lavoro… Se qualche giorno fa qualcuno me lo avesse prospettato avrei detto che era impossibile e invece tutto è filato via senza problemi perché i ragazzi sono stati veramente fantastici! La prima mattina quando li ho visti alzarsi e rifarsi il letto senza che io dovessi dire niente non credevo ai miei occhi, soprattutto considerando che il mio Matteo, loro coetaneo, quando esce alla mattina riesce a malapena a fare colazione. Un bellissimo esempio che credo lo abbia fatto riflettere parecchio!!! Che dire poi delle cene e dei momenti liberi! E’ stato bello vedere l’educazione e la gentilezza con cui chiedevano qualsiasi cosa, un modo di fare che purtroppo molti nostri ragazzi hanno perso ( insegno in classi di adolescenti da anni e so cosa significa!) A volte la paura di disturbare non gli faceva neppure chiedere le cose più banali ( La prima volta non sapendo usare il dispenser del sapone stavano lavandosi con lo struccante di mia figlia!) ed io ho imparato da loro che non dobbiamo mai dare per scontato che il nostro modo di vivere all’occidentale sia comune a tutto il mondo!
E così la settimana è volata via quasi senza che ce ne accorgessimo. Il Sabato mattina sono ripartiti per un’altra tappa del loro spettacolo, non ho potuto salutarli come avrei voluto perché entravo presto a scuola e visto l’ora tarda in cui erano andati a dormire ho pensato fosse meglio lasciarli riposare ancora un po’. Manuel e Matteo avrebbero pensato a tutto. Ho lasciato loro una lettera di saluto e quando sono ritornata a casa mi è sembrata più vuota del solito; di loro solo qualche traccia, una maglietta dimenticata, gli album delle figurine dei calciatori italiani, ricordo della loro visita a San Siro, gli asciugamani che avevano utilizzato ripiegati con cura sopra i letti . Una grande traccia però l’hanno lasciata nel cuore di tutti noi e una cosa è certa ….. ci rivedremo presto.
Hi Guys!
Roberta, Manuel, Matteo e Monica

Kabiria Road

Nairobi, mattina, ore 6.10. Sulla Kabiria Road, quartiere Riruta Satellite, si fa luce dopo una notte di quella che è stata l’ultima pioggia della stagione. Chi va al lavoro in centro o in zona industriale si affretta perchè è già in ritardo, e non può perdere il matatu che si vede in fondo alla strada. I bambini, nelle loro colorate e diverse uniformi, si avviano con poco entusiasmo verso scuola. Era la prima settimana di giugno, e questa è la vista dalla mia finestra.

Tornati alla Normalità

Ci sono giorni, settimane, mesi che passano a gran velocità, e si fa fatica a registrarli… E cosi oggi mi accorgo che non ho aggiornato il blog da mesi. Rimedio adesso, con alcune riflessioni che ho scritto qualche giorno fa in una lettera di ringraziamento ad uno dei tanti amici che si sono adoperati per accogliere e organizzare i ragazzini di Nairobi che sono stati in Italia dal 17 aprile al 19 maggio.

I ragAzzi di Kivuli che hanno partecipato alla tournée in Italia del Koinonia Children team sono tornati ormai da un mese e si sono reintegrati nella vita normale di Kivuli. La domenica pomeriggio successiva al rientro abbiamo avuto un bell’incontro con i loro parenti, in alcuni casi la mamma, in altri la nonna, in altri ancora le persone che erano legalmente responsabili per loro. Dico erano, perché al momento sono affidati a Kivuli. I ragazzi stessi hanno detto qualcosa sul loro viaggio, e tutti si sono detti felici per l’accoglienza ricevuta in Italia e in genere per ciò che hanno visto e imparato. Poi gli educatori ed io abbiamo sottolineato che, a parte lo spettacolo, dovunque sono andati, con la loro educazione, gentilezza e disponibilità si sono attirati la simpatia e l’affetto di tante persone. Noi di Kivuli siamo orgogliosi di loro. Abbiamo detto che non li consideriamo eccezioni, rappresentano la media dei ragazzi di Kivuli, e se ne avessimo estratti tredici a sorte avremmo avuto lo stesso risultato positivo. Adesso è importante che tornino a studiare con serietà, perché solo con un buon livello di educazione scolastica e una buona formazione umana possono riuscire a riscattarsi ed avere una vita normale.

I nostri tredici acclamati artisti – come ama chiamarli Paolo Comentale, il nostro grande amico del Teatro di Pulcinella di Bari che è stato l’anima artistica di questa iniziativa, mentre Amani, con l’uffcio e i volontari ne sono stati l’anima organzzativa e si sono accollati perfino la fatica di far gli aiutisti dei pulmini che portavano in giro i ragazzi – hanno quindi ripreso con serenità la vita di ogni giorno: sveglia alle 5.15, pulizie, colazione, partenza per la scuola alle 6.30, ritorno da scuola verso le 17, giochi o allenamenti, Messa al venerdi, cena, compiti, a letto alle 9 per i più piccoli e alle 10 per i più grandi. Insieme agli altri di Kivuli che sono artisti, acrobati e giocolieri, hanno avuto durante i fine settimana diverse occasioni di fare spettacoli per bambini: in uno slum chiamato Soweto, ad imitazione di qullo Sudafricano, dove cè una presenza di Chiama l’Africa e della Comunità Papa Giovanni XXIII, alla Domus Marie per celebrare il battesimo di 7 studenti, alla Chiesa Luterana di Riruta per la giornata mondiale dell’Ambiente, e cosi via.

Naturalmente i ragazzi che non hanno partecipato al giro – specialmente quelli che ne sono stati esclusi perché non siamo riusciti ad ottenerne il passaporto – sono rimasti un po delusi. Ma vedono che rispetto al primo viaggio in Italia nel 2008 c’è stato un ricambio. Vedono che fra i sette ragazzi del gruppo dei grandi, dei Nafsi Africa, che stanno adesso per partire per un giro di tre mesi in Italia che si sono organizzati in totale indipendenza, c’è Richard che invece nel 2008 non aveva partecipato perché il suo passaporto non era arrivato in tempo. Insomma capiscono che anche una delusione fa parte del gioco della vita, che a volte l’impegno non è premiato, ma bisogna superare la delusione e continuare ad allenarsi, che si tratti di giocoleria, o di falegnameria, o di informatica. Capiscono che non si può sempre arrivare subito dove si vuole, che bisogna fare le cose bene, che quando si riesce ad ottener qualcosa bisogna essere pronti a servire gli altri e lasciare il passo anche a loro. Che non bisogna prendersi troppo seriamente, e che superare una delusione è importante quanto il non perdere il senso dei propri limiti. Crescere è anche capire che quando si impegna a fare una cosa bene prima o poi se ne traggono soddisfazioni, la più importante delle quali è proprio di averla fatta bene. E che poi alla fine dei conti bisogna capire che l’essenziale vivere insieme, condividere, donarsi. Se no, non si diventa adulti.

Cosi il viaggio in Italia diventa importante per chi ha partecipato ma anche per chi parteciperà la prossima volta e chi non avrà mai l’occasione di parteciparvi, ma riuscirà comunque ad affrontare la vita con determinazione, a crescere, ad esser felice e saper ringraziare Dio per essere cosi com’è, e di mettersi al servizio Suo e degli altri. Come leggiamo sempre nel Vangelo, ripetuto da Gesù in mille modi diversi.

Lotta Tradizionale

Le attività sportive di Koinonia si stanno intensificando, con buon successo. Ogni anno, per esempio, i Salesiani organizzano a Nairobi la Jesus Cup, che vede la partecipazione di diverse decine di squade di calcio giovanili. Negli ultimi tre anni per il settore femminile hanno vinto le nostre ragazze della Casa di Anita, e la finale degli under 14 e degli under 17 è sempre stata fra Kivuli e Tone la Maji.
Anche per questa ragione e per altri successi che ho ricordato in precedenza, abbiamo deciso di promuovere la nascita di una ONG, che abbiamo chiamato SYDI (Sport for Youth Development Initiative), per coordinare meglio la attività sportive.
La prima uscita ufficiale di SYDi é stata due settimane fa, con un torneo di lotta tradizionale. Erano presenti diverse testate nazionali e anche la BBC radio.
I nostri ragazzi di Invisible Cities hanno realizzato un breve video che potete vedere (e lasciare un commento, i numeri sono importanti in internet) se andate sul sito di Koinonia Kenya e cliccate su “Nuba Wrestling in Nairobi”, oppure cliccate direttamente qui. Clicca qui

Mentre qui sotto allego la riproduzione di un giornale che ha fatto un ampio servizio fotografico.

Pasqua a Lusaka

Buona Pasqua a tutti! Il Signore risorto è il segno, memoria, ricordo di una nuova vita che è già in noi, e che noi abbiamo innanzitutto la responsabilità di non soffocare, e poi di lasciarla germogliare e portar frutto.

Sono a Lusaka per qualche giorno. Ci sono in visita anche alcuni amici di Amani, Bruno di SIPEC da Brescia, e Cassidy dalla Scozia. Stiamo conoscendo i dodici bambini recentemente presi dalla strada, incluso Njira del quale vi avevo scritto in dicembre. Ieri sera, dopo la Veglia Pasquale, i ragazzi più grandi hanno improvvisato uno straordinario show i danze e canti di gioa, molti dei quali composti da loro. E abbiamo pensato a tutti e pregato per tutti.

Alcuni sono rimasti sorpresi per aver trovato il mio profilo su Facebook. Infatti qualche tempo fa avevo scritto di neamche mandarmi inviti a entrare in nessuno dei vari social network perché non era mia intenzione farlo. Poi mi hanno segnalato che in Facebook, e anche in un altro social network girava un mio profilo non autentico, e diffamatorio, e che la cosa migliore da fare, oltre a segnalarli ai responsabili del network come fasulli, era di “occupare lo spazio” con un profilo autentico. Non capisco ancora bene a cosa serve ma si vedrà, magari potrà diventare uno strumento utile.

Chi ha visto il profilo in Facebook è rimasto meravigliato per la forza del mio ritratto. Nessuna meraviglia. L’autore è Fabio Sironi, conosciutissimo illustratore del Corriere della Sera e autore degli splendidi acquarelli con scene di vita a Nairobi riprodotti nel calendario di Amani 2010. Anche Lackson, un ex-bambino di strada di 10 anni accolto a Mthunzi lo scorso gennaio si è cimentato con grande impegno a farmi il ritratto durante un concorso intitlato “Make a picture of Father Kizito”. Il suo é stato il miglior disegno. Come abbia potuto dimenticarsi della barba non riesco a capirlo. Comunque, eccolo qui sotto.

Poche ore fa ho chiesto ad alcuni bambini di Mthunzi che mi dicessero il significato della Pasqua per loro. Avrei voluto allegare in originale chinyanja la registrazione della risposta di Njira, ma il server me la rifiuta per misteriose “ragioni di sicurezza”. Ha detto che “la resurrezione di Gesù per me significa che posso incominciare una vita nuova qui a Mthunzi e che il Signore Gesù mi sta vicino e mi vuol bene.”

Lackson

The Silence of God

[en]
(A reflection for the Comboni Magazine published in Manila)
In an online article entitled “Where was God when Haiti happened”, published on the Kenya-based news agency CISA, Henry Makori bluntly and effectively posed a number of questions that came to the minds of many religious people after Haiti was devastated by a massive earthquake in January.

Makori wrote: “Is God good all the time? Is God all-loving, compassionate and always acting in the best interest of human beings, the cream of His creation? Is every human being valuable in the eyes of God? Then why did God allow tens of thousands of innocent people to perish in such a dreadful fashion in Haiti? Is God all-powerful and in control of everything than happens in the universe, including the dropping of a leaf from a tree branch? Does God know everything? Why then couldn’t He use such awesome knowledge and power to protect the people of Haiti?
Is everything that happens part of God’s plan? What is the divine purpose of the horrendous carnage? What was the divine purpose of the Indian Ocean Tsunami that killed a quarter of a million people in 2004? What divine purpose had God in mind in Rwanda in 1994 when He let nearly a million people die? And the Holocaust in which six million Jews were killed? And all the suffering that human beings undergo everyday? Where, really is God?”

As Makori stressed, these are old questions that resurge with fresh strength every time a “natural” disaster (like an earthquake, a tsunami or a volcanic eruption) or a social one (like a genocide or persecution) strikes.
I put the word “natural” in brackets because it is becoming more and more difficult to categorize a disaster as such. We now know that human activities, for instance the chain from oil extraction to oil burning, can have numerous unintended and dramatic consequences for our planet.

But “natural” or social aside, the questions remain. A day after reading Makori’s article, I met a group of students in a Nairobi secondary school, and the day’s agenda was swept aside by a question blurted out by one of the students: “Our parish has organized prayers for the victims of the earthquake. But what is the sense of praying to a God who could have intervened before and avoided the disaster? Didn’t He know that the earthquake would cause such incredible devastation and suffering? What kind of God is He if He is there at all?” In the course of the sharing that followed, a shy girl with trembling lips added “I also do not understand why God did not save my cousin who was born with a heart defect and died last week. He was only seven years old, and such a nice child”. Other raised their voices: how about the hundreds of African children dying every day from malaria and other preventable diseases, or the Kenyan children who have to attend school in deplorable conditions due to reported corruption in the ministry of education?
The list became endless, especially regarding innocent people suffering due to the evil actions of others. The pervasive corruption we see around us in Nairobi, in which many adults are participants or at least accomplices, has immediate consequences that the poor and vulnerable suffer more. Why doesn’t God strike those squalid bureaucrats who reportedly stole over a million dollars from the funds allocated to primary schools? Why does God allow evil-doers to prevail? Is God weaker than Luis Moreno-Ocampo (the ICC prosecutor who is supposed to indict those responsible for Kenya’s 2008 post-election violence and whose name sends shivers down the spines of many politicians)? Why is He silent in the face of great injustices, sometimes perpetrated by people who like to sit on the front pews in church? Wouldn’t it be easy for Him to mete out a public punishment for them? And how about my own wrongdoings that have brought suffering to others? Indeed, suffering is present in nature and in society on a grand scale. Yet the suffering of a single person close to us can become much more unjustifiable, and even impossible to bear, than the sufferings of millions.

That the questions raised by Makori were on the lips and in the hearts of many, is seen by several reactions that were subsequently published by CISA.

In one reaction, Dominic Vincent Nkoyoyo, a Cistercian Monk, recalled Blaise Pascal, a 17th century French mathematician and thinker who once said that “the heart has reasons which the mind does not know.” This statement is a recognition that we do not understand everything, and we do not have a rational explanation for every fact.

Fr. Frank Breen, a Maryknoll priest, puts the Haiti matter in a scientific perspective. He noted that “There are many things we can learn from science. Before asking simplistic religious questions, we should understand science.” Fr. Breen went on to say that scientists knew for quite some time that an earthquake was due in Haiti. “So why were so many Haitians living, schooling and working in buildings that could not withstand an earthquake? Poverty is of course, one obvious answer, maybe corruption another”. So Fr. Breen seems to say that responsibility of what happened is not God’s, it is or could be ours as members of the human society who allow injustices to perpetuate.
He adds “If the international community provides not only relief and medical care, and homes for orphans, but also a true re-structuring of the economy of that country, of its social fabric, of its politics, then maybe we can say that somehow the earthquake was some form of mysterious way in which we humans were being called to repentance and to God-like action. Atheists will see what they want to see. They will be scornful, derisory, and cynical. Believers will see the hand of God calling us to repentance, to compassion, to solidarity with the poorest”.
This is a slippery slope. It is appropriate to advocate for an international intervention that will resolve the root causes of Haiti’s natural and social problems. But to suggest that God might have allowed the suffering of the Haitian people to stir up compassion in other people, paints the image of a God Who cruelly uses humans for His own ends, however good. This suggestion is just a step away from saying that Haitians died because they were sinful and their society had attracted the wrath of God. No Christian in his or her right mind should think anything like this. Jesus, recalling those who were killed by the falling of the tower at Siloam, commented: “Do you suppose that they were guiltier than all the other people living in Jerusalem?” (Lk 13:4). Truly, if natural disasters were made to punish people, as a matter of justice they should happen in the world centres of power, in New York or London or Paris – where the decisions that keep most of the world in poverty are taken – and not to the already desperate people of Haiti.

In another intervention, Joseph Mwaniki, a Consolata Missionary student, recalls Elie Wiesel, a writer and Holocaust survivor at Auschwitz. When he was asked if we could force God to respond to the injustices of the world, Wiesel answered: “I was brought up in an environment that would expect very little from men but all in God. Even today, God is still a deep thirst inside me. Auschwitz did not quench this thirst; in fact, it gave me deep reasons to continue believing despite this silence of God’s while still holding my cry of protest. Most of my books try to express this faith in God, despite His silence”. Wiesel’s words point to Faith. Faith has a reason and vision that neither the mind nor the heart can understand. Faith, despite the darkness of our times and the silence of God, helps us to see beyond the haze.
It is this faith that makes Mwaniki write: “For me, the Haiti incident makes me enter deep into myself, reflect on the deepest realities around me, the vanities in my life and above all, to think about my ultimate end of which I know not when, where or how. God does not want the suffering of His creatures. He is the giver and the sustainer of life, and always accompanies it against its different pains. God suffers with those who are suffering and the best assurance He gives us is that we are not alone. When the Haitians and the human world are suffering, God is neither in silence nor sleeping. He is always suffering with us and for us, sustaining us with His unseen love and transforming our pains into a joy of those who believe that alive or dead, they belong to Him”.

Yes, the goodness of God does not imply that He has to spare us all suffering. God has created us as participants and protagonists – indeed co-creators with Him – in the complex, fascinating process of life and growth of the world, until, as the apostle Paul writes, ultimately the whole of creation will be “liberated from its bondage of decay” (Romans 8:21). It is a process that entails hard work and suffering of every kind.

We have to say it bluntly and strongly: in this process we have to accept the presence of suffering and death. Jesus never promised easy solutions and an easy life for his followers. Contrary to this, He asked them to take up their cross. It is part of the process of our growth and of God’s creation, in which as human beings we have been called upon to play our part. Normally, God does not intervene to suspend or to counter the rules of creation and physics. If He did not spare His Son the agony of betrayal, abandonment and death on the cross, why should he spare me? Or my friends? Or the people I love dearly?

After all, the difference between the death of one person and that of millions is only a matter of numbers. We will all die someday, and our life has to be seen in the light of eternity.
The bottom line is that we have to accept the fact of death, the existence of individual suffering and the fact that human beings have an eternal destiny that is earned through our participation in the work of co-creation. Only in this perspective and in the acceptance of these facts can the mystery of suffering be glimpsed.
Jesus stood up to proclaim the Gospel and its values in front of evil, to the point of death on the cross. That is the way we are expected to behave as Christians. Christians must be ready to follow Him, in solidarity with the others.

Shusaku Endo, was a Japanese writer of great international fame who died in 1996. In his most famous short novel, simply entitled Silence, Endo tackled this question of God’s seeming silence while innocents suffer. Endo’s novel is a deeply theological work focusing on the silence of God despite the suffering of those who are persecuted because of their faith in Him. The narrative follows the cruel persecution of Catholics by Japanese Emperors in the 16th and 17th centuries, the faithfulness to Christ by hundreds or thousands of people in spite of unbelievable tortures, and the apostasy of a Portuguese Jesuit priest who left his homeland precisely to minister to the persecuted Christians. In the book we read of thousands of people suffering, over many decades, because of their faithfulness to God, yet God does not do anything to protect them or to answer to their desperate pleas! God’s silence therefore appears even more shocking than the natural disasters or great social injustices.

The heart of the story is similar to our question. God keeps silent in the suffering of the martyrs. God does not seem to hear or to act after the well justified and compelling prayers of the Christians. A silence the tormented Portuguese missionary, who is the protagonist of the novel, could neither understand nor justify. At the end he commits apostasy, abandoning the faith while courageous peasant Catholics continue to face death for their faithfulness to Jesus. The answer evoked by Endo is that God was walking besides the martyrs, sharing their suffering and anguish. Such is the God of Jesus.
But Endo is an artist, not a theologian. He does not give us logical explanations and definitions, but stories, symbols, parables, and the magic of his writing ability evokes a spiritual world using just a few words. Artists, poets, mystics, and saints are better suited to speak about the meaning of human suffering and life than scientists and theologians.

So, “where was God when Haiti happened”? He was, as always, in our hearts, in the hearts of those who died and those who survived. It is up to each one of us to discover Him.

Father Renato Kizito Sesana [en/]

La Luce – The Light

La Luce che i cieli non potevano contenere, è diventata debole e fragile come uno di noi. E’ venuto a a insegnarci che l’amore è tutto, e il vero amore dona la vita, superando la paura dell’odio e della morte. Ma oggi è il momento della tenerezza.
I bambini che fino a poco tempo fa erano in strada a Kibera e che stanotte sono con noi a Kivuli sono per noi, guaritori feriti, il segno più luminoso che Dio ci vuol bene, è con noi, ci offre la sua tenerezza, il suo amore, ci guarda negli occhi e ci dice “ti voglio bene”.
Che tu tutti possano sentirsi il cuore riscaldato da questa voce.

Foto Natale 016

Una Strada per il Natale

Qualche giorno fa a Lusaka ho incontrato un bambino che si chiama Njira, che in chinyanja vuol dire strada. Un nome che evidentemente la madre – e non è difficile immaginare che “mestiere” facesse – gli ha dato come fosse un programma di vita. Eravamo nel grande mercato all’aperto, e lui era con una banda subito riconoscibile come bambini di strada, vestiti di stracci e con in spalla un sacco dove mettere il cibo scartato dalle bancarelle, o rubacchiato. Mi ha visto da lontano, e si è diretto subito verso di me, mentre io fingevo di ignorarlo, Mi ha toccato leggermente il braccio e quando è stato sicuro di avere la mia attenzione mi ha detto con voce sicura: “Mi chiamo Njira, vorrei venire a stare a Mthunzi, la tua casa, come loro”, indicando i due ragazzini che mi accompagnavano.
Ho pensato: “Ma chi lo ha imbeccato, chi gli ha detto di Mthunzi, magari la mamma o un parente che si vuole disfare di lui e lo vuole affibbiare a noi? E perchè lui solo di tutta la banda?”. Ma poi Njira ha alzato gli occhi e mi ha guardato in modo diretto e disarmante, un sorriso timoroso che diventava sempre più serio negli attimi in cui è durata la mia esitazione. Qualunque sia la ragione che lo ha spinto ad avvicinarmi in quel modo, è chiaro che lui ha bisogno di una soluzione alternativa alla tremenda vita di strada.
Faccio un calcolo veloce: si, è vero, con gli educatori di Mthunzi ci eravamo prefissi di non accettare altri ospiti se non all’inizio del prossimo anno scolastico, in gennaio, ma vuoi che non possiamo aggiungere un posto a tavola per questo bimbo di forse dieci anni che mi guarda con tanta fiducia e che mangerà come un uccellino? Stasera ci sarà tempo per ascoltare la sua storia, e domani gli operatori sociali potranno cercare di raggiungere la sua famiglia, se esiste, e di verificare la veridicità della sua auto presentazione ed eventualmente ne chiederanno l’affido legale alla nostra casa. Ma adesso non c’è tempo di fare tutto questo.
E poi domani, o il prossimo mese, chi ritroverà più Njira nella confusione del mercato di Lusaka?. Lui è il mio prossimo, quello che Dio mi fa incontrare qui e adesso, così prossimo che sento l’odore del corpicino che non si lava da parecchi giorni. Non posso nascondermi dietro il fatto che senza dubbio ai primi di gennaio di bambini di strada purtroppo ne troveremo a decine, senza difficoltà. Lui è qui, adesso, ed ha una richiesta precisa. Njira mi guarda preoccupato, ha percepito l’esitazione che mi è passata dentro. Ma poi gli basta un cenno per capire di essere stato accettato e corre a sistemarsi insieme agli altri nel furgoncino, tra il variopinto e odoroso carico di banane, cavoli, carote, “carne di soia”, pesciolini secchi e mezza tonnellata di farina da polenta: E via tutti insieme sulla strada accidentata che ci porta a Mthunzi.
Quale storia si porta nel cuore questo piccolo? Riuscirà a socializzare con gli altri, a piegarsi alla disciplina richiesta dalla scuola, a guardare al futuro come ad un’opportunità e non con paura? È solo uno dei milioni di bimbi africani che vivono in strada. Ma anche una persona umana unica. Anche in lui, come in ogni persona umana, si focalizza tutto il piano di Dio, tutta la Storia Sacra, tutto l’amore che Dio ha per noi, tutto lo slancio verso la trascendenza di tutta l’umanità, con una limpidezza e con una freschezza uniche ed irripetibili. Lo guardo nello specchietto retrovisore, se ne accorge e mi offre un timido sorriso. Mi sta leggendo i pensieri ed ha capito tutto, molto meglio di me.
Arriviamo nel cortile di Mthunzi e appena annucio ai pochi ragazzi che non sono a scuola perché hanno già finito gli esami che è arrivato un nuovo amico gli offrono una festosa accoglienza, se lo contendono perché stia nel loro dormitorio. Vincono quelli del dormitorio di Crispino perché il furbo Crispino gli mette in mano uno dei primi manghi maturi di questa stagione.
Come cercheremo di educare Njira? E’ la tremenda responsabilità che si ripropone ogni volta che ci troviamo di fronte ad un nuovo bambino che Dio in qualche modo ci manda. L’ Africa vive in bilico fra tradizione e modernità e noi educatori siamo abbiamo il difficile compito di guidare questi ragazzi in un cammino che li aiuti a superare i limiti della tradizione africana senza che cadano negli eccessi della modernità. Eppure essi sono attratti dalla modernità e da tutte le cose facili che essa offre. Ma l’ultima cosa che vorrei, sarebbe di fare di questi bambini dei piccoli europei, dei figli che imitano senza senso critico gli aspetti più deteriori della modernità, l’arricchirsi senza limiti, il carrierismo, il desiderio sfrenato di apparire, l’arroganza, l’individualismo ignorante e volgare. Devo riuscire a far crescere in loro i semi della solidarietà, il gusto dei legami comunitari che già hanno nel cuore e che fanno parte della loro tradizione più genuina.
Idealmente vorrei che questi bambini crescessero come persone mature e capaci di fare le loro libere scelte. Ma dare contenuti educativi a queste parole non è facile. Che tipo di educazione scolastica è più adeguata per ciascuno di loro? Quali valori coltivare? Ci vuole vicinanza quotidiana, rispetto, attenzione, sofferenza condivisa, per poter avere il privilegio di crescere insieme a questi ragazzi.
Guardo Njira che è appena tornato da un giro di ispezione della casa e dell’orto, e mi risponde ancora con un sorriso fiducioso. Vorrei che il nome di Njira non indicasse più un destino inevitabile di povertà, di accattonaggio, di piccola delinquenza sulla strada, ma indicasse un punto di partenza verso il futuro, una strada dove non ci sono limiti all’avventura della vita che lo aspetta. Come la strada del ritorno dall’esilio in Egitto, quella dalla Galilea a Gerusalemme, quella che va verso Emmaus e quella per Damasco. Quella da Lusaka a Mthunzi. La strada di una vita non priva di sofferenze e di drammi, ma piena e dignitosa.
Nei mesi trascorsi sono stato oggetto di accuse infami, che mi hanno ferito profondamente perchè hanno toccato la mia ricchezza più grande, la relazione franca e aperta coi giovani e coi bambini di Nairobi, di Lusaka, dei Monti Nuba. La stada è diventata difficile, lo è ancora, pur se le accuse si sono dimostrate infondate. Njira è un segno che si può ricominciare a camminare.
Continuiamo l’Avvento, avviamoci verso Bethlemme. Riprendiamo a camminare insieme a questi bambini feriti, fermandoci ogni tanto a prendere quelli che si sono troppo stanchi e si sono seduti ai margini della strada.

In Concerto con l’Africa

Con Amani mi impegno da oltre 13 anni in una attivita’  fatta con intelligenza e cuore, consapevoli di essere solo un piccolo segno, ma un segno efficace, che ha permesso di cambiare e migliorare la vita di migliaia di bambini e bambine africane. Con una visione: che tutti i bambini del mondo abbiano una casa, cibo, vestiti, rispetto e amore.

Dopo tanti anni in cui credevo di “lavorare per loro”, mi sono accorto che sono loro a protegermi. Sto parlando in particolare dei bambini di strada di Nairobi. Mi pareva che dopo qualche mesi dall’averli conosciuti gettassero la maschera da duri che si erano messi per poter sopravivvere in strada, e tornassero a sorridere come bambini. Non è vero. Sono loro che aspettano pazientemente che io mi liberi dalla mia maschera di adulto. Solo allora incominciano a fidarsi di me, e mi prendono sotto la loro protezione. E’ un rapporto esigente, non puoi sbagliare, tantomeno tradire. Ma è un rapporto che apre gli occhi a una bellezza che prima era invisibile, fa capire cio’ che la parola non riesce a dire, incanta con una musica che non eri piu’ capace di sentire. Questi bambini cresciuti in un immondo squallore vibrano con l’armonia che Dio ci ha nascosto nel cuore. Anzi, sono essi stessi le note che Dio senza stancarsi manda al mondo per richiamarci a vivere in solidarieta’, nella grande sinfonia della vita.

Per questo sono particolarmente grato al Maestro Riccardo Muti, all’ Orchestra Giovanile Cherubini, al Comune di Piacenza e ad Amani che hanno voluto mettere a disposizione grande arte, talenti e capacita’  organizzative per metter al servizio dei bambini dell’Africa due serate di altissima musica a Piacenza, i prossimi 3 e 4 dicembre.
Allego una pagina del quotidiano La Liberta’ di Piacenza. Chi volesse maggiori informazioni anche per acquistare i biglietti puo’ trovarle sul sito di Amani, www.amaniforafrica.org

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I Nostri Portinai – Our Receptionists

Piccole grandi notizie per i bambini di Kivuli e gli ospiti della Shalom House.

Robinson Murundo, istruttore di arti marziali a Kivuli e portinaio dell’ala C di Shalom House, ha partecipato ai campionati mondiali di arti marziali in Argentina ed ha vinto una medaglia d’argento e due di bronzo. La squadra del Kenya ha vinto in totale sei medaglie, le altre tre di bronzo.

Christopher Wekesa (Kiri per gli amici), del primo gruppo di bambini entrati a Kivuli nel 1997 e successivamente portinaio sempre dell’ala C di Shalom e istruttore volontario di calcio per i nostri bambini, e contemporaneamente giocatore del Gor Mahia, nella Premier Ligue del Kenya, è stato convocato al ritiro della squadra nazionale del Kenya che incontrerà la Zambia sabato prossimo qui a Nairobi. Oggi lo potete vedere col n. 13 a http://www.nation.co.ke/cecafa

Consiglio chi fosse interessato a come si evolve la situazione sui monti Nuba, di andare al seguente link, in inglese
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/8368189.stm

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