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Incontri

La Piramide dell’ Amore

Con gli auguri di Buon Natale, un mio breve articolo pubblicato nel n.52/2008 di Famiglia Cristiana

 

«I nostri amici adulti che erano già stati in Italia ci avevano preavvertito che ci sono segnali di razzismo. Ma noi abbiamo incontrato solo delle famiglie in cui ci hanno trattato come se fossimo figli e fratelli. Anche quando andavamo in giro usando i mezzi pubblici, oppure sui treni, la gente ci guardava con simpatia. Forse perché siamo solo dei bambini». È il primo commento di Wilson Abwo, 12 anni, a proposito della sua esperienza italiana. «Ma anche i grandi sono stati bambini con il cuore pieno di sogni», aggiunge Martin, che con i suoi 17 anni è il più grande del gruppo.

Il giudizio lusinghiero di Wilson e la sapienza di Martin sono espressi alla fine di un’esibizione che ha portato il Koinonia Children Team di Nairobi, in Kenya, in giro per l’Italia per quasi tre settimane con uno spettacolo dal titolo Pamoja kwa Amani (“Insieme per la pace“). Provengono tutti da drammatiche esperienze di abbandono, di anni di vita di strada vissuti procurandosi il cibo fra i rifiuti e magari praticando il piccolo furto, delle droghe povere, come la colla da falegname e la benzina, sniffate per calmare i morsi della fame. La loro vita è cambiata da quando il personale di Koinonia, con l’aiuto economico della Ong italiana Amani, li ha convinti a iniziare un processo riabilitativo ed educativo nel grande centro per ex bambini di strada di Kivuli.

Durante i gravissimi disordini avvenuti in Kenya, i bambini di Kivuli si sono accorti di appartenere a tante etnie diverse e hanno voluto immediatamente dare un contributo alla pace improvvisando, pochi giorni dopo l’inizio degli scontri, una manifestazione, chiamando a raccolta tutti i gruppi acrobatici giovanili di Nairobi per fare una grande piramide umana, e adesso con il loro spettacolo vogliono lanciare un appello di pace che vada al di là del Kenya.

«Quanto vale il passaporto di ciascuno di questi bambini? Quanto vale l’esperienza che stanno facendo e la gioia di stare insieme che stanno comunicando? Quanto vale il messaggio di pace contro il razzismo che stanno lanciando ai loro coetanei?», si domanda Paolo Comentale a chi obietta che le risorse per portare i 18 bambini di Koinonia in Italia avrebbero potuto essere usate per necessità  più urgenti.

Comentale è il direttore del Teatro Casa di Pulcinella di Bari. Lo scorso maggio è stato invitato dal Centro italiano di cultura di Nairobi, col collega Giovanni Mancino, a tenere alcuni spettacoli di marionette.

Nel corso della visita è stato a Kivuli, dove vivono oltre 60 ex bambini di strada. Mentre lavorava con una trentina di ragazzini felici di esibire le proprie qualità  di acrobati e giocolieri, Comentale, toccato dalla serenità  e dalla gioia che si respira a Kivuli, ricorda di essersi detto: «Mi avevano detto che negli slum di Nairobi avrei trovato l’inferno, invece ho trovato il paradiso», e poi ha avvicinato John Kanene, il keniano che gestisce il centro, dicendogli: «Io un gruppo di questi bambini li voglio portare in Italia». Così i bambini di Koinonia sono arrivati a Bari, dove è stato loro assegnato il Pulcinella d’oro 2008, premio per la promozione e diffusione del teatro di figura.

Dopo Bari i bambini sono stati a Matera, Caserta, Fabriano, Torino, Piacenza e Milano. Ovunque sono stati accolti da gruppi e famiglie che li avevano già  visitati e conosciuti nel loro ambiente, a Nairobi, e il viaggio in Italia è stato un ritrovarsi, un continuare a costruire dei rapporti di solidarietà. I bambini hanno improvvisato nel parlatorio di un convento di clausura un mini spettacolo per ringraziare le monache che da anni pregano per loro.

Perché ci sia cambiamento occorrono costanza e continuità  per tutti. Per i bambini, che hanno bisogno di sentirsi voluti, cercati, amati, così come per i gruppi e le famiglie italiane. L’esperienza occasionale rischia di restare soltanto un bel ricordo, il rapporto continuo invece cambia il modo di mettersi di fronte agli altri, la prospettiva e il senso del vivere. Per questo, Comentale intende andare ancora il prossimo maggio a Nairobi, con più tempo da dedicare ai bambini di Koinonia, per imparare a fare rivivere le grandi fiabe della tradizione africana. Poi si vedrà come continuare.

Questa visita non poteva capitare in un momento più opportuno, in particolare a Bari, dove recentemente in una scuola alcuni vandali avevano deturpato le immagini di bimbi africani dipinte sui muri di una scuola primaria.

Chi ha incontrato i bambini di Kivuli, li ha ascoltati mentre raccontavano i loro sogni, si è lasciato aprire il cuore dal loro sorriso disarmante, non può non essersi posto delle domande sul suo modo di rapportarsi agli africani, e agli stranieri in genere. Conclude Comentale: «Dobbiamo certo far conoscere i grandi drammi dell’Africa, le ingiustizie di cui è vittima e quelle di cui è complice, ma dobbiamo farne conoscere anche le aspirazioni e le immense potenzialità».

 

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Daniel

Si chiamava Daniel Mburu, avrà avuto 16 anni, ed era un uno dei più giovani nel gruppo dei ragazzi e ragazze di strada che vivono nutrendosi dei rifiuti del Kenyatta Market. Sabato sera, Sabato Santo, mentre ci preparavamo a celebrare la Resurrezione, Daniel con altri amici era nella sua solita area. E’ incominciato a piovere forte – e’ ormai quasi una settimana che la stagione delle piogge e’ iniziata – e Daniel  ha deciso di prendere un autobus che andava verso il centro di Kibera. “Ho i soldi per pagare due biglietti” ha detto agli amici, cosi Martha Ngocha, una ragazzina di forse 14 anni, e’ saltata sull ‘autobus con lui. Ma quando il bigliettaio li ha visti e li ha giudicati come gente di strada, non ha voluto sentir ragioni e li ha brutalmente spinti fuori dalla porta del veicolo che si era appena rimesso in movimento. Daniel e’ caduto ed ha picchiato la testa sul marciapiede, Martha ha avuto la sua caduta protetta dal corpo di Daniel, ma poi la ruota posteriore dell’ autobus le e’ passata sopra spezzandole una gamba.

Gli amici li hanno presi di peso e li hanno portati all’ ospedale, ce n’e’ uno non troppo lontano. All’ ospedale hanno detto che ormai Daniel era morto, potevano lasciare Martha che l’avrebbero ingessata. Cosi gli amici col corpo di Daniel, al buoi, evitando le auto che sfrecciavano sotto la pioggia, sono andati prima alla stazione di polizia e denunciare il fatto, e poi lo hanno portato all’ obitorio pubblico.

Bonny c’era. Non manca mai quando qualcosa di importante succede ai suoi amici del Kenyatta Market. Mi ha mandato un sms, ma ormai non c’era più niente da fare.

Stiamo solo cercando di denunciare questo fatto. Non si deve morire cosi, buttati fuori da un autobus come un sacco di spazzatura, a 16 anni. Dopo una vita di abusi e di stenti.

Ma anche questa e’ una storia di Pasqua a Nairobi.

Chiamiamolo Otieno

“Ma e’ vera la storia del ragazzino che hai raccontato a Le Invasioni Barbariche?” mi hanno chiesto diversi amici.

Certo. E’ una storia vera.

Circa un mese fa, quando la tensione era ancora molto alta in tutta Nairobi, sono tornato a Kivuli, dove vivo, verso le sette di sera. Stavo entrando in casa, sperando finalmente di potermi rilassare per una mezz’ ora prima di cena, quando mi si e’ avvicinato uno dei ragazzini arrivati di recente, chiamiamolo Otieno, chiedendomi di potermi parlare. Stavo per dirgli di tornare un altro momento, ma poi, sospirando ed aspettandomi di sentirmi raccontare qualche semplice incomprensione fra bambini, l’ ho fatto sedere su uno degli sgabelli ho sempre a disposizione fuori dalla porta e mi gli sono messo accanto, chiedendogli di dirmi velocemente che problema avesse.

“Vedi padre, io con questa vita non ce la faccio più”, ha esordito. Mi son subito messo ad ascoltarlo con più attenzione e mi son venute in mente mille possibilità’. Non riesce ad inserirsi a Kivuli perché non e’ accettato degli altri o perché dopo la vita di strada non riesce ad adattarsi alle pur minime regole che chiediamo ai bambini? O a scuola che le cose non vanno bene, si sente ridicolo ad andare in una classe un cui tutti gli altri bambini sono di almeno due anni minori di lui? O, peggio, mi e’ venuto in mente il ragazzo di vent’anni che a Mthunzi, la nostra casa a Lusaka, lo scorso settembre aveva tentato di suicidarsi perché in un momento di depressione, dopo essere riprecipitato nell’ uso dell’erba, gli sembrava che la vita non avesse più significato?. Non ho detto niente e son stato ad aspettare. “No, cosi proprio non ce la faccio” ha ripetuto Otieno serio serio e scuotendo la testa.

Cominciavo a preoccuparmi seriamente, e gli ho chiesto di spiegarmi bene cosa non andavava. E lui, con un’ espressione preoccupata come se si aspettasse un rimprovero, “Vedi padre, questa vita non fa per me. Tu mi devi insegnare come si arriva alla vita vera. Io voglio la vita vera, quella di cui parla Gesù’. Voglio essere battezzato e vivere da cristiano”.

Ho tirato un sospiro di sollievo e gli ho detto che certamente potrà’ essere battezzato, facendo il cammino di catecumeno con il gruppo di coetanei nella parrocchia vicina a Kivuli. “Davvero posso diventare cristiano, essere battezzato? Io che non ho famiglia e che ho vissuto in strada per cinque anni?” Il volto era ormai raggiante.

Poi Otieno ha insistito per raccontarmi la sua vita. Come, quando aveva sei anni e viveva in un villaggio sperduto vicino al lago Vittoria, avesse insistito col papa’ perché voleva andare a scuola e finalmente il papa’ aveva ceduto e una mattina erano partiti insieme per andare in autobus a Kisumu dove avrebbe potuto vivere con dei parenti ad andare a scuola. Ma l’autobus era uscito di strada e rotolato giu’ per una scarpata, e quattro persone erano morte, tra le quali suo papa’. Aveva aspettato i soccorsi per sei ore, vicino al cadavere del papa’. Successivamente la mamma era riuscita lo stesso a fargli frequentare la scuola per tre anni, ma poi anche la mamma era morta di una malattia misteriosa, e allora era venuto da solo a Nairobi, nascondendosi in un camion, fra i sacchi di pesce secco. Dopo giorni di vagabondaggio e di fame, aveva trovato a Kibera un uomo anziano originario del suo villaggio, che viveva da solo e lo aveva preso in casa. Andava a lavorare con lui al mercatino della frutta e verdura, ma dopo qualche mese si era fatto degli amici in strada, ed era andato a vivere con la loro banda. Poi il desiderio prepotente della scuola lo aveva fatto cedere alla pressione di Jack che per mesi lo aveva conosciuto e cercato di convincere di venire a Kivuli. “Jack mi diceva che io avrei potuto farcela, avevo perso solo due o tre anni di scuola, e quindi ho chiesto che mi portasse a Kivuli”.

Dopo aver sentito la storia di Otieno, volevo quasi subito scriverla nel blog e fargli una foto da allegare. Ma poi avevo pensato che non avrei comunque potuto allegare la foto perché’ solo per catturare la luminosità’ dei suoi occhi ci sarebbero voluti qualche centinaio di megabites, e poi perché’ volevo proteggere la sua privacy. Invece quella sera durante l’ intevista della Bignardi, il volto di Otieno mi e’ tornato in mente con prepotenza ed ho pensato raccontare questo episiodio avrebbe potuto aiutare qualche ascoltatore a riflettere.

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