Una vita in Africa – A life in Africa Rotating Header Image

Kenya post-election violence: How can we defuse the crisis?

I quasi duecento morti accertati che abbiamo visto in questi giorni sulle strade del Kenya sono il risultato di una politica malata, fondata sull’ idolatria del potere e dei soldi, una religione che e’ stata alimentata dagli uomini politici keniani fin dall’ indipendenza.

Mentre scrivo, il mattino del 2 gennaio, la tensione per le strade di Nairobi, in particolare di Kibera, e’ diminuita. Evidentemente la gente ha bisogno di tornare alla vita normale, di guadagnare qualche soldo. Ma le notizie che giungono dal Western Kenya continuano ad essere allarmanti. D’ altro lato i problemi che hanno dato origine alle violenze rimangono, e nelle prossime settimane, quando il parlamento dovra’ essere convocato, molti nodi politici verranno al pettine, ed e’ probabile che la tensione torni a salire.

A questo punto la possibilita’ che ci siano stati dei brogli elettorali appare probabile. Ora emerge chiaramente che durante il giorno dell’ elezione ci sono state intimidazioni, non necessariamente violente, e che in parecchi seggi sono stati comperati dei voti. Questo riguarda entrambi i partiti che erano in corsa per le presidenza, PNU e ODM, ma non dovrebbe aver influenzato i risultati in modo determinante, anche se e’ un’ ovvia indicazione di un atteggiamento non democratico. Cio’ che potrebbe essere stato determinante invece potrebbero essere stati dei brogli al momento della conta generale dei voti. Ma finora nessuno e’ stato capace di dare prove chiare e sttribuire responsabilita’ precise. Personalmente ho sentito persone che raccontano di voti comperati dall’ ODM sula costa, ma che non sono disposti a esporsi. I documenti che l’ ODM ha assicurato di possedere e che proverebbero brogli su larga scala al momento della conta non sono finora stati esisbiti.

Per capire l’ attuale contesto politico keniano bisognerebbe risalire almeno al 1982, quando, dopo un tentativo di colpo di stato, l’ allora Presidente Moi ha traformato il Kenya in una dittatura brutale, pur mantenendo alcuni elementi di facciata che lo potevano spacciare per una democrazia. Il tutto, e’ bene notare, sempre restando fedele alleato e protetto dalla Gran Bretagna e degli USA, e amico dell’ Occidente. Sarebbe troppo lungo seguire dall’ ’82 ad oggi la carriera politica dei due principali protagonisti della crisi odierna, Mwai Kibaki e Raila Odinga. Basti dire che da allora ad oggi entrambi sono stati alleati di Moi e avversari di Moi, alleati con tutti e avversari di tutti, anche tra di loro. Per entrambi non si puo’ parlare di una posizione ideologica, ma sempre e solo di alleanze per arrivare al potere. Entrambi hanno una rilevantissima fortuna personale, che in qualche caso non esistano ad ostentare. E’ famosa la Hummer di Raila, un fuoristrada che costa diverse decine di migliaia di euro e che fa due kilometri con un litro, usato da Raila per visitare Kibera, il piu’ grande slum di Nairobi, che fa parte del suo collegio elettorale. Per entrambi, credere che siano motivati da desiderio di servire il paese o che siano paladini delle democrazie e dei poveri, e’ cadere vittima di una pericolosa illusione. Il loro atteggiamento e’ descritto bene nell’editoriale del 1 gennaio del The Nation: “Neither the Party of National Unity nor the Orange Democratic Movement during the campains demonstrated any particular restraint or regard for the country’s stability. The mantra appears to have been: We either rule it or burn it.” (Ne il Party of National Unity ne l’ Orange Democratic Movement durante le campagne (elettorali) hanno dimostrato particolare controllo o rispetto per la stabilita’ del (nostro) paese. Il mantra sembra essere stato: o lo governiamo o lo bruciamo”. L’ incontrollata sete di potere, e di proteggere col potere le ricchezze piu’ o meno legalmente acquisite, e’ il motore dell’ attivita’ politica di questi partiti.

Detto questo, bisogna fare delle distinzioni. Mwai Kibaki ha quando e’ andato al potere cinque anni fa, ha fatto delle riforme importanti, come l’ educazione gratuita per gli otto anni di scuola elementare, come il garantire la liberta’ di espressione e di stampa (per cinque anni non abbiamo avuto prigionieri politici e tanto meno assasini politici come avveniva con Moi, e mai in Kenya una campagna elettorale e’ stata libera come quella dello scorso mese, etc), come una serie di provvedimenti economici che hanno fatto ripartire l’ economia del paese, che negli ultimi anni di Moi aveva una crescita negativa e invece dal 2004 e’ cresciuta di oltre il 5 % all’ anno. Due i sono i grandi falllimenti di Kibaki. La corruzione pervasiva, ereditata dai 24 anni di malgoverno di Moi, non e’ stata combattuta con l’ efficacia e la determinazione che il cittadino comune avrebbe voluto. E’ stata si ridotta di molto, ma resta un cancro che pervade tutta la sociata’ keniana. Inoltre, la nuova costituzione promessa da Kibaki appena eletto non e’ stata ancora approvata, e la conseguente promessa di decentralizzazione del potere non e’ stata onorata.

Dal canto suo Raila Odinga, andato al governo come membro della coalizione di Kibaki cinque anni fa, e’ poi passato all’ opposizione sulla questione della nuova costituzione, e e’ riuscito a far bocciare la costituzione proposta da Kibaki con un referendum due anni fa. L’ ODM e’ nato dallo slancio di aver fatto bocciare la costituzione e da allora Raila ha accentrato il potere del movimento ed ha esasperato la questione tribale. Da oltre un anno ormai la parola d’ ordine fra i luo, che e’ l’ etnia di Raila e che ha un peso proponderante nel ODM come invece i kikuyo sono le’ etnia di Kibaki con un peso preponderante nel PNU, e’ stata “e’ arrivato il nostro turno di governare il paese” per poi trasformari piu’ recentemente in “se perdiamo le elezioni vuol dire che ci sono stati brogli”. Raila poi durante la campagna elettorale ha giocato due carte pericolose. Prima ha promesso di implementare il “majimboism”, una specis di regionalismo che era stato negli anni novanta proposto da Moi e rifiutato da Raila, senza specificare che contenuti avesse questo majinboism, lasciando cois temere, anche riferendosi alla storia personale di Raila, che si trattasse concretamente di una specie di rigido regionalismo che avrebbe frazionato il Paese. Successivamente ha firmato con I notabili della comunita’ musulmana un Memorandum of Understandig i cui contenuti non sono mai stati divulgati con chiarezza. I suoi avversari, e molti cristiani, hanno comunque questo MoU comunque come un errore perche fa una distinzione fra i cittadini kenyani basandosi sull’ appartenenza religiosa, e questo e’ gia’ contro la costituzione in vigore, cosi come contro il progetto di costituzione dell’ ODM.

Kibaki e il suo gruppo non hanno trovato di meglio che reagire a questa campagna che alzando steccati e lasciandosi imprigionare nella trappola delgi stereotipi etnici. Questa etnicizzazione della politica e’ cosi responsabilita’ esclusiva dei lidears. Per citare ancora l’ editoriale del Nation, indirzzandois a Kibaki e Raila, afferma: “Never has there been so much animosity between people who have lived together as good neighbors for many years. The chaos we are now experiencing is the handiwork of the tribal, economic and political elite, which identify with you.” (“Non c’e’ mai stata tanta animosita’ fra gente che ha vissuto insieme per molti anni come buoni vicini. Il caos che stiamo vivendo ‘e il prodotto dell’ elite tribale, economica e politica che si identifica con voi”).

Che l’aspetto etnico sia diventato centrale non lo si puo’ negare. Inutile girare intorno al problema. Odinga in primo luogo, ma anche Kibaki e il suo partito, negli ultimi tre anni, per ragioni di opportunita’ politica personale, hanno fatto tutta una serie di passi intenzionali, e a volte magari solo passi sbagliati, che hanno alimentato l’ animosita’ etnica.

Entrambi I partiti usano salturiamente, sopratutto nei momenti cristici, l’ appoggio dei “mungiki” e delle sqaudre organizzate e pagate di giovani disoccupati e disperati.

I mungiki sono nati all’ inizio degli anni novanta come una comunita’ di kikuyo che voleva tornare alla religione ancestrale, la venerazione di Ngai (Dio) rappresentato dal monte Kenya, ecc. Lentamente questo gruppo e’ degenerato in una specie di piccola mafia che a Nairobi ha controllato per esempio alcune della linee di trasporto, e che riesce a mobilitare gli adepti anche per azioni violente e criminali. In questo gruppo ci sono ora anche non-kikuyo ma tendenzialmente si identificano con la difesa delle comunita’ e degli interessi kikuyo. A questa setta parareligiosa si contrappongono le squadre di giovani disoccupati di Kibera controllate da Raila Odinga, e delle quali Raila si e’ sempre servito per provocare disordini di piazza, piu’ di una volta all’ evidente ricerca dei morti da poter poi usare per I propri scopi.. Sono i due volti peggiori dello scontro in atto.

Non sono sicuro di cosa sia successo nelle altre localita’, le notizie sono frammentarie e sempre di parte. A Nairobi pero’ posso dire che la maggioranza delle vittime di questi ultimi giorni on sono state uccise negli scontri con la polizia, ma da azioni organizzate da questi due gruppi. Cosi a Kawangware, dove i kikuyo sono prevelenti, hanno attaccato case e piccole attivita’ artigianali dei luo, e l’ opposto e’ avvenuto a Kibera. Purtroppo poi come sempre capita a farne le spesa sono le persone inermi e innocenti. Il mattino del 31, dopo la notte di peggiori violenze che siano finora avvenute a Kibera, un amico Kamba mi raccontava terrorizzato di aver visto a poche decine di metri dalla sua baracca di Kibera i corpi di 4 suoi vicini e conoscenti, kikuyo, che erano stai sgozzati con un coltello da cucina. Lo stesso sta avvenendo in eastern Kenya, cme mi ha testimoniato una volontaria italiana: I negozi e le case dei pochi kikuyo che vi vivono sono metodicamente attaccati e bruciati e i proprietari “invitati” e rientrare nella loro regione. Un majimboism della peggior specie.

Questa crisi l’ abbiamo vista arrivare, ma nessuno na aveva capito la poteziale distruttivita’ e la carica di tribalismo che stava prendendo. I sondaggi che sono stati pubblicati dai media Kenyani negli ultimi mesi facevano vedere come la gente continuasse ad avere una sostaziale fiducia nel presidente e sempre meno fiducia nel sul partito. Mentre molti che erano favorevoli ai cambiamneti promessi dall’ ODM erano meno entusiasti verso Raila, percepito come un uomo politico con tendenze dittatoriali. Cosi oggi i risultati delle elezioni, prendendo come autentici quelli ufficiali, rendono il paese ingovernabile, con un presidente nel quale sono accentrati molti poteri ma che e’ un minoranza in parlamento, e che quindi non puo’ governare, e con una rivalita’ tribale che e’ sfuggita probabilmente anche al controllo di chi l’ ha scatenata.

E le due parti sembrano ormai fisse su posizioni che non ammettono il dialogo. Un amico giornalista kikuyo mi pare possa rapprentare una mentalita’ comune: “Io ho votato nel mio collegio elettorale per un parlamentare dell’ ODM, perche’ credo che l’ ODM possa avere in parlamento una funzione importante di controllo su un possibile strapotere del Presidente, ma non accetterei mai Railia come Presidente. Con lui al potere fra cinque anni non avremmo elezioni truccate. Non avremmo elezioni, punto e basta”.

Come sbloccare la situazione?

Innazittutto e’ importante che Kibaki e Raila accettino di muoversi nella legalita’, rispettando la legge la costituzione vigente, rinunciando entrambi alle manifestazioni di piazza che inevitabilmente provocherebbero morti e feriti. E servirebbero solo ad inasprire le divisioni e creare un piedestallo per i due leaders: I miei morti sono piu’ dei tuoi.

Il parlamento, cosi come risulta dai risultati elettorali annunciati, deve essere convocato e la Giustizia deve lavorare indipendentemente per esaminare le reciproche accuse di brogli. Ma non basta, Kibaki deve accettare una seria revisione delle elezioni e la riconta dei voti con la presenza di un monitoraggio internazionale. Non c’e’ altra alternativa se vuole garantire la sua legititmita’.

Ma la cosa piu’ importante e; che Kibaki e Raila dialoghino. Kibaki finora ha reagito con la repressione, Raila punta sulle manifesta zioni di piazza che gli diano legittimita’. Ma e’ una strada di confronto che non puo’ portare lontano e che rischia di bloccare il paese in un conflitto irrisolvibile. La diplomazia internazionale deve aiutare il Kenya, Gran Bretagna e USA devono aiutare a avviare il dialogo, la Comunita’ Europea puo’ avere un influnza inportante. L’ Unione Africana potrebbe aiutare a prender tempo. Tutte le possibili pressioni devono essere fatte su queste due persone e i partiti che rappresentano finche’ accettino il fatto che il Kenya e’ piu’ importante di loro, e che devono collaborare.

Ma in ultima analisi la pace non puo’ venire dal di fuori, deve nascere dal di dentro, per poter superare definitivamente le difficolta’ e gli odi seminati negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. Un’ ipotesi possibile sarebbe quella di recuperare il “terzo uomo”, Kalozo Musyoka, che e’ cosro per la presidenza ottendneo quasi messo milione di voti. Appartiene ad un’ etnia minoritaria, non ha mai usato ne pubblicamente ne privatamente, da quanto si sa, il linguaggio dell’odio tribale, ha competenza e cpnoscenza della situazione politica del Paese. Potrebbe diventare il mediatore interno ideale, capace di far muovere avanti un processo di riconciliazione che non puo’ essere imposto dal di fuori.

Il dialogo fre le due parti deve cominciare al piu’ presto. Non si puo’ aspettare. Bisogna evitare la manifestazione di piazza di domani. Se questa manifestazione dovesse andare avanti, che il governo si opponga o no, non ci sono dubbia che scatenera’ un nuovo ciclo di violenza e morte che rendera’ ancora piu difficile la possibilita’ di una riconciliazione.

8 Comments

  1. Mario Arosio says:

    Da Amani ho avuto l’indirizzo del tuo blog, cercando da loro notizie su di te, visto cio’ che ci mostra la televisione. Ora passero’ l’indirizzo del tuo blog a tutti i Guzzisti tramite http://www.moto-guzzi.it.
    Per quanto riguarda cio’ che hai scritto rilevo solo che la storia non insegna nulla a nessuno
    e ti fa constatare che, per un popolo, il cammino verso un mondo migliore passa sempre dalle strade della guerra, della cattiveria, della sofferenza. Personalmente ritengo che il solo modo per cambiare le cose sia quello di combattere l’ignoranza e di fare in modo che la civilta’ arrivi prima del progresso e non viceversa come succede ora. Ciao Padre Kizito e mi raccomando: riguardati perche’ cio’ che fai e’ troppo prezioso.
    Mario Arosio

  2. corrado - rovereto (italy) says:

    Carissimo Kizito, ero in ansia per te e per la tua comunità. Grazie per avere attivato attraverso questo blog un nuovo canale di comunicazione. Seguo sui media italiani le notizie che arrivano dal Kenya. Si profila un terribile conflitto etnico. Spero che i politici kenyani scongiurino questa prospettiva. Mi attendo un’azione forte anche da parte delle diplomazie occidentali. Povera Africa. Un abbraccio.

  3. POPI FABRIZIO says:

    Egr.FR.Kizito ho letto con molta attenzione il suo articolo sulla crisi attuale in Kenia ed è la cosa più seria e sensata che ho letto in questi giorni.E la ringrazio.Vede io,alla soglia dei 60 anni,ho deciso di dedicare il resto della mia vita alla creazione di qualcosa che rappresenti il futuro per qualche persona africana.Ho scelto Malindi,per motivi di salute,e ho identificato in un giovane prete protestante il mio braccio destro.Ho in progetto di costruire una casa di accoglienza in un villaggetto adiacente il bush di Malindi.Una casa di accoglienza che dia ospitalità a bambini orfani e che dia la possibilità a loro e a tutti quelli che lo vorranno di studiare e di imparare un mestiere,e conseguentemente di lavorare e di crearsi una piccola indipendenza economica.Gli avvenimenti di questi giorni mi hanno enormemente rattristato ma non mi hanno certo scoraggiato e proprio venerdì 4 gennaio ho il volo per Mombasa e spero di poterlo prendere.E’ ovvio che se le condizioni non lo permetteranno,rimanderò la mia partenza,non il mio progetto.Per questo sto attentissimo a tutto quello che succede in queste ore e tra tutte le cose ho incontrato il suo articolo,ho incontrato lei e mi riprometto di poterla incontrare,prima o poi,se me lo permetterà.Credo nel mio progetto,nel mio destino,in quello che soltanto un anno fa è stato il mio primo impatto con l’Africa,in quello che provato,un colpo al cuore fortissimo,una commozione immensa,il rimpianto di averlo scoperto forse un pò tardi.Per 39 anni ho lavorato nello spettacolo,come Direttore Artistico e Produttore discografico portando al successo in Italia diversi artisti.Quando ho incontrato l’Africa,l’estate scorsa,ho immediatamente capito dove mi avrebbe portato il destino negli che ancora il nostro grande Dio mi concederà di vivere.Grazie per quello che mi ha insegnato attraverso le pagine del suo sito;le assicuro che da quando ho preso la decisione di trasferirmi laggiù per fare quello che le ho spiegato,ho incontrato,magicamente,persone straordinarie,pronte ad aiutarmi,a capirmi,a spiegarmi,a indirizzarmi.E lei è una di queste.A presto,ci conto
    Popi FABRIZIO

  4. Lorenzo says:

    Perchè alla TV parlano sempre molto poco della realtà che esiste nel mondo, dura da digerire, e sempre troppo degli “amori” degli attori e di di un sacco di altre cavolate? Perchè l’uomo non si rende conto che sta distruggendo tutto?

    Ci sarebbero un sacco di notizie importanti da sapere…

  5. Lorenzo says:

    Perchè alla TV parlano sempre molto poco della realtà che esiste nel mondo, dura da digerire, e sempre troppo degli “amori” degli attori e di di un sacco di altre cavolate? Perchè l’uomo non si rende conto che sta distruggendo tutto?

    Ci sarebbero un sacco di notizie importanti da sapere… grazie per questa carrellata che hai fatto sulla situazione in Kenya!

  6. Enrico Muratore says:

    Vivo e lavoro in Africa dal 1998 dove ho girato
    parecchi paesi (in particolare l’Angola, la Repubblica
    Democratica del Congo, e il Ruanda) e dal mese di
    agosto del 2007 mi sono stabilito con la mia famiglia
    in Kenya, a Nairobi. Attualmente, per fortuna, ci
    troviamo a Ventimiglia, dove siamo venuti per le
    vacanze natalizie, e siamo stati sorpresi dallo
    scenario catastrofico di queste elezioni, che nessuno,
    credo, aveva immaginato in questi mesi di campagna
    elettorale tutto sommato corretta e civile.

    Ora ci chiediamo se riusciremo in tempi brevi a
    tornare a Nairobi a riprendere le nostre vite, il
    lavoro, la scuola delle bambine…

    Ci chiediamo: quanto tempo dureranno questa tensione e
    la violenza? Tornerà il Kenya ad essere il paese tutto
    sommato tranquillo e speranzoso del pre-27 dicembre,
    il paradiso dei turisti, dei funzionari ONU, e dei
    nostri compatrioti a Malindi?

    Al di là della concreta preoccupazione che Bobo Craxi,
    la Melandri e Colajanni debbano trovarsi altri vivai
    di aragoste e gamberoni per il prossimo capodanno, il
    rischio qui è che la crisi della democrazia e della
    nazione Keniana trascinino il paese e le sue
    popolazioni in un processo di autodistruzione, in una
    zona del pianeta dove il Kenya svolgeva fino a ieri un
    ruolo di fragile “cuscinetto” tra varie altre crisi e
    conflitti regionali, dalla Somalia al Sudan all’Uganda
    del nord all’est della RDC. Per questo motivo
    l’infiammarsi di questo paese getta un’ombra alquanto
    minacciosa sul futuro della regione nel suo insieme, e
    si deve agire con forza, con saggezza e con giustizia
    perchè questo scenario catastrofico non si
    materializzi.

    Alcuni media sensazionalistico – iettatori
    (soprattutto italiani) hanno sventolato lo spettro del
    Ruanda come una delle minacce che incombono sul Kenya
    in questo inizio del 2008. Che non vi sia per nulla da
    stare allegri è certo, ma il paragone con il Ruanda e
    le intensissime violenze del genocidio dei Tutsi
    (aprile – luglio 1994) è inappropriato, poiché,
    malgrado i termini utilizzati dai due contendenti al
    potere Kibaki e Raila, che si sono accusati a vicenda
    di genocidio, e malgrado il fatto che senza dubbio
    violenze su base etnica abbiano avuto luogo e
    continuino ad avere luogo in Kenya, le differenze tra
    i due paesi e le due situazioni sono notevoli e dubito
    fortemente che il Kenya conoscerà una tragedia simile
    a quella del Ruanda.

    Il rischio, mi sembra, è piuttosto che il Kenya
    derivi, in maniera comunque drammatica, verso un
    modello di crisi all’ivoriana: la Costa d’Avorio è in
    effetti stata considerata per anni un’oasi di
    stabilità, anche grazie alla forte tutela
    post-coloniale francese, e tuttavia al termine
    dell’era del presidente Houphouet le lotte per la
    successione al potere politico hanno condotto alla
    manipolazione delle divisioni etno-localistiche,
    portando ad una lunga guerra nella quale le
    popolazioni, vittime di numerosi crimini, abusi e
    violazioni dei diritti umani, hanno pagato un
    altissimo prezzo, e che ha messo quel paese,
    considerato fino a pochi anni fa, almeno
    comparativamente, come abbastanza prospero,
    completamente e per molto tempo ancora in ginocchio.

    In Kenya, se non si troverà in qualche modo (facendo
    leva sul residuo senso di responsabilità dei leaders)
    una pronta ed efficace soluzione politica nei prossimi
    giorni, che arresti al più presto le dinamiche della
    tensione e della violenza, il rischio è di assistere
    anche qui ad una radicalizzazione manovrata del
    sentimento etno-localistico, ed al moltiplicarsi di
    azioni violente sempre più organizzate e coordinate
    (in una regione che è anche un importantissimo mercato
    per il contrabbando d’armi internazionale e per
    organizzazioni come Al Qaeda) che, se anche non
    condurranno ad un altro genocidio alla ruandese,
    potrebbero però materializzare l’ipotesi di una
    “pulizia etnica” o di “pulizie etniche” in varie zone
    del paese, e quindi di fatto ad una situazione di
    guerra civile.

    Tuttavia, anche nel caso in cui una soluzione politica
    si trovi (benché per il momento non sia chiaro
    l’impatto dei tentativi di mediazione politica tra i
    due campi opposti, che vede già coinvolte le potenze
    tutelari degli USA e del Regno Unito, l’UE e l’Unione
    Africana), l’attuale crisi ha sconvolto il paese, la
    credibilità delle leaderships e delle istituzioni di
    questa fragilissima nazione, e scavato una frattura
    sempre più profonda nel sentimento di appartenenza
    nazionale dei Keniani, sentimento che era già debole,
    anche prima del 27 dicembre.

    Che cosa si dovrebbe fare allora in questa situazione,
    perchè gli strascichi delle violenze già commesse non
    generino altra violenza nutrendo un ciclo infernale di
    odio, vendetta e divisione? A mio avviso, è necessario
    che la società civile, keniana ed internazionale,
    eserciti una grande pressione sulle parti affinché le
    illegalità di ogni tipo, e soprattutto i gravi crimini
    commessi durante questa crisi contro persone
    innocenti, non rimangano impuniti.

    Decine di persone sono state bruciate vive nel tempio
    pentecostale di Eldoret, vi sono stati in molte zone
    numerosissimi omicidi, violenze e saccheggi, decine di
    donne sono state stuprate. Questi crimini chiamano
    giustizia, giustizia giusta e percepita da tutti come
    tale, ovvero pubblica, pronta, credibile, al di sopra
    di ogni considerazione politica o etnica, perchè i
    Keniani vedano che non vi sarà impunità per i crimini,
    e questo a nessun livello.

    La giustizia si deve fare perché dopo il flop
    elettorale si rinsaldi la credibilità delle leggi,
    delle istituzioni e dello stato. Mi riferisco dunque
    alla necessità di una giustizia nazionale e non ad una
    commissione d’inchiesta internazionale; tuttavia
    l’operato della polizia e della giustizia keniana
    dovrà fare l’oggetto di un “monitoring” molto attento,
    magari da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione
    Africana, ma anche da parte di organizzazioni
    credibili della società civile nazionale ed
    internazionale (penso per esempio al Carter Center,
    alla Lega internazionale per i diritti umani, alla
    Commissione keniana per i diritti umani, alla Comunità
    di Sant’Egidio), e della stampa nazionale ed
    internazionale, affinché non si condannino “dei”
    colpevoli, ma “i” colpevoli (mandanti ed esecutori),
    dando così una forte indicazione che il paese può
    tornare alla legalità democratica in cui, tra alti e
    bassi, e con le sue imperfezioni. aveva comunque
    vissuto fino al 27 dicembre.

    E allo stesso tempo, che cosa ci si potrebbe ancora
    augurare per superare l’impasse politica? Che si
    ricontino i voti, da parte di un organismo
    indipendente, come da alcune parti si suggerisce, o
    che si costituisca un governo tecnico di unità
    nazionale con il mandato di riorganizzare nuove
    elezioni in tempo breve, elezioni che tengano conto
    della lezione a cui stiamo assistendo, dove coloro dei
    quali venga dimostrato che hanno ingannato il paese o
    incitato le popolazioni alla violenza siano messi una
    volta per tutte da parte.

    E poi che si rifletta, nei prossimi mesi, nei prossimi
    anni, sul senso e sul futuro di una società tuttora
    diseguale, fondata su un apartheid sociale
    post-coloniale, dove i poveri, gli esclusi, escono
    ogni giorno dai loro tragici slums per venire a
    lavorare a piedi, per un tozzo di pane, nelle
    magnifiche ville fiorite dei privilegiati di questa
    fragile, meravigliosa nazione. Che si rifletta su
    queste ingiustizie keniane, che assomigliano alle
    ingiustizie del mondo intero, e ci mettono tutti in
    pericolo, in Kenya, in Italia, e dovunque vi siano
    troppe persone che non hanno più niente da perdere.

    Enrico Muratore
    Ventimiglia

  7. davidia says:

    Leggo questo post, questi commenti……e mi sento poverissima nell’anima. Mi sento davvero una che si lamenta del brodo grasso.

    Grazie, davvero.

  8. Giandomenico says:

    Ciao Padre Kizito, che felicita’ incontrarti sul web! Da quando ti ho conosciuto a Nairobi, alla Shalom House, nel 2005, i tuoi libri ed i tuoi articoli mi sembravano poco per nutritre la nostra conoscenza. Adesso mi viene in soccorso la quotidianita’ del tuo blog, che fa bene a me ma soprattutto fa bene all’Africa.
    Buon lavoro.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Italiano English
This blog is multi language by p.osting.it's Babel