E’ domenica, e col parroco di Kauda Fok concelebro alla Messa della comunità. C’è ormai da tempo un manipolo di preti presenti in modo stabile e il vescovo di El Obeid, Tombe Trille, egli stesso Nuba, sta pensando di aumentarne il numero. “La gente – mi disse quando lo incontrai a Nairobi – ha fame di educazione, e di educazione cristiana. Tutti pensano che la presenza di un prete sia la certezza che i loro figli avranno un’educazione migliore”.
Il vescovo Tombe è stato nominato lo scorso anno come leader della diocesi più vasta dell’Africa, con giurisdizione oltre che sull’area dei monti Nuba (o South Kordofan) anche sul Darfur. Qui lui non può venire perché il governo di Khartoum non gli darebbe il permesso, anzi considererebbe una provocazione solo il chiederlo, e di entrare clandestinamente, come faccio io, non se ne parla neppure. Il suo predecessore, il vescovo Micheal Didi, pure Nuba, è stato nominato da papa Francesco arcivescovo di Khartoum, l’unica altra diocesi del Sudan. La chiesa sudanese è oggi governata da quei Nuba che all’inizo del secolo scorso venivano considerati buoni solo per essere schiavi. Daniele Comboni, a fine ottocento, li incontrò solo negli ultimi anni della sua vita, e ne lasciò una descrizione entusiasta, intravedendo nella loro apertura al cristianesimo e nel loro forte carattere la via di penetrazione nell’interno dell’Africa che aveva cercato per anni. Questo non avvenne, sia per le politiche coloniali inglesi che hanno impedito ai missionari cattolici di accedere al Souh Kordofan fino all’indipendenza del 1956, sia per gli ostacoli naturali che si sarebbero incontrati cercando di andare verso sud.
Dopo la Messa supero una barriera di persone che si prodigano in “Al Hamdu lilai!” (grazie a Dio, una delle poche espressioni arabe che capisco) incontro una giovane donna, sopravissuta alla bomba che a pochipassa dalla chiesa nel 2001 uccise quindici scolari e la loro maestra. Vado verso nord, a Heiban dove sta per aprirsi il National Liberation Council, che vede la partecipazione di 130 rappresentanti sia dei Nuba che delle genti del Southern Blue Nile, un’altra area in ribellione conto il govenro, situata fra il Nilo Bianco e l’Etiopia, là dove il Nilo Blu entra in Sudan. Prevedono di stare insieme per 45 giorni
Il luogo dell’incontro è il Bible College, un campus costruito dalle chiese protestanti durante il breve periodo di pace fra il 2005 e il 2011, per la formazione dei leaders delle chiese. E’ composto da diverse strutture – chiesa, ostelli, aule, mensa, biblioteca, punti d’incontro – distribuite su un ampio spazio, ed è aperto a tutti, anche ai musulmani, secondo la migliore tradizione Nuba.
Il National Liberation Council è stato convocato per dare un’ossatura legislativa alle aree liberate, e per creare le strutture amministrative necessarie a quello che ormai è un’area autogestita all’interno del Sudan. “Dobbiamo – dice Jabir Komi – stabilire le istituzioni fondamentali e assicurare tutti di governare nel rispetto delle leggi e dei diritti fondamentali”. Bisogna organizzare l’educazione, la sanità, la manutenzione delle strade, e la raccolta delle tasse sui minerali e sul commercio. Sta nascendo uno stato indipendente?
(continua)
quante cose importanti si vengono a sapere leggendo questi “Frammenti di vita Nuba”. L’esistenza di una struttura come il “Bible College” costruito da protestanti, ed ecumenicamente aperto a tutte le altre fedi cristiane ed ai mussulmani e la struttura della chiesa cattolica retta da due vescovi Nuba è quello che più mi colpisce.