Barak Obama, presidente degli Stati Uniti, figlio di uno studente keniano che era andato in America con un programma di borse di studio organizzato dal presidente John F. Kennedy, sta per arrivare a Nairobi. La prima volta in Kenya come presidente. I segni dei preparativi sono ovunque. Fra la gente degli slums gira addirittura voce che per tutti i tre giorni della sua presenza in città i network telefonici saranno oscurati, e cosi forse anche internet!
Se questa visita fosse avvenuta agli inizi del suo primo mandato per Obama sarebbe stato un trionfo popolare, i keniani si erano convinti che uno di loro era diventato presidente della prima potenza economica e militare mondiale. All’euforia subentrò l’attesa – non pochi contavano su sostanziosi aiuti per il paese – poi la delusione e perfino l’indifferenza. Oggi, nonostante i mass media giochino bene il loro ruolo di cheer-leaders, la gente comune sembra preoccupata per queste conseguenze ma poco interessata alla visita.
Il giornalista
Un giornalista che lavora per il più importante quotidiano keniano e che è della stessa etnia di Obama senior, mi dice: “Come tutti sanno i servizi di sicurezza americani hanno completamente preso in mano la situazione, estromettendo i servizi keniani, notoriamente incapaci e corrotti. Gli americani riusciranno a tenere tutto sotto controllo, e il loro presidente non correrà pericoli, ma ci potrebbero essere attentati i margini delle zone in cui Obama sarà presente, magari fra la folla. Grazie a Dio io son riuscito a far coincidere le mie ferie con questa visita”.
La profetessa
Achieng Awiti, un’anziana donna anche lei della stessa etnia del padre di Obama, è ancor piu pessismista. Ieri, fuori dal cancello di Kivuli, e forte della sua fama di profetessa diceva a tutti con aria misteriosa: “Obama sa di dover venire a morire qui, dov’è nato suo padre. Porterà dolore per tutti”.
Il ragazzo di strada
Martin invece non si azzarda in pronostici e profezie, guarda la realtà che sta vivendo. E’ un ragazzo di strada di sedici anni molto indipendente, ogni giorno viene a Kivuli Ndogo solo per il pasto di mezzogiorno: “La polizia ci perseguita, vogliono ripulire le strade, secondo loro Obama non deve sapere che noi esistiamo. Dove possiamo andare? Hanno distrutto le nostre basi, ci rincorrono e picchiano appena ci vedono. Ci mettono in prigione. Poi ci lasceranno andare quando Obama sarà partito. Ma siamo noi la minaccia?”. Martin dice il vero. Questi ragazzi-spazzatura, come vengono chiamati, per i governanti sembra siano i colpevoli di tutti i mali de Kenya, mentre invece ne sono le vittime, e il segno più chiaro di un’economia che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri.
L’educatore
Un educatore del centro di prima accoglienza preferisce guardare al futuro con ottimismo e azzarda in un paragone difficile ed una facile profezia: “Spero che questa visita sia il segno che il Kenya è guardato con ottimismo dalla comunità internazionale. Ma la visita a cui guardo con speranza è quella di Papa Francesco. Lui è davvero un leader speciale, non Obama. Son sicuro che quando verrà in Kenya a fine novembre, come ha promesso, non si arroccherà dietro i servizi di sicurezza, andrà a visitare i poveri a Kibera. Neanche il nostro presidente osa andarci, figuriamoci Obama. Ma lui, Francesco, ci andrà”. Non mi ero accorto che a popolarità di papa Francesco fosse arrivata cosi lontano, fra i poveri di Kawangware.
Il piccolo commerciante
La scorsa settimana i mass media hanno messo per giorni e giorni in grande evidenza a riapertura del Westgate, il lussuoso centro commerciale in cui avvenne un feroce attentato terroristico nel settemebre del 2013. L’evento e’ stato presentato come il segno della capacita del Kenya di superare le difficoltà. Personaggi dell’alta borghesia sono stati intervistati con sullo sfondo vetrine di lusso, bambini felici che guardano a bocca aperta avveniristici intrecci di scale mobili.
Sfogliavo il giornale al Baraza Cafe, e un conoscente si avvicina e commenta: “Io avevo un piccolo negozio di cartoleria a Kibera. Qualche mese dopo i fatti di Westgate il mio negozio è bruciato in uno dei periodici incendi che devastano Kibera. Ho perso tutto, e nessuno era colpevole. La banca che conosceva il mio piccolo business si è rifiutata di farmi un prestito, mi hanno detto che non c’erano i soldi. Ho sudato e faticato, con l’aiuto di mia moglie che si è rimessa a vendere frittelle ai margini della strada, come faceva da ragazza, e finalmente siamo riusciti a ripartire. Mi domando dove quelli del Westgate abbiano trovato tutti i soldi per ricostruire il loro gigantesco e sfarzoso palazzo in meno di due anni”.
Mai come in questi giorni in Kenya si percepisce quanto sia necessario passare dall’economia dello spreco, l’economia che uccide, ad un’economia del bene comune. Non sono profeta come Awiti, ma è facile pronosticare che se papa Francesco verrà a Nairobi, questo sarà una parte centrale del suo messaggio evangelico.