Kenyatta potrebbe avere circa dieci anni. Nessuno sa come la mamma lo abbia chiamato, è lui che si fa chiamare con questo nome cosi solenne e presidenziale, almeno in Kenya. Jack l’ha trovato in strada lo scorso novembre e attraverso di lui è arrivato ad un gruppo di una quindicina di bambini che vivevano per le strade di Ngong. Kenyatta era il leader del gruppo. Tracagnotto e crapone, come dicono dalle mie parti, sia in senso figurato che di fatto. Dopo un percorso di conoscenza e crescita insieme di qualche mese, lo scorso aprile Jack aveva pensato che il gruppo fosse pronto per entrare a Ndugo Mdogo, una tappa di transizione verso una sistemazione ancora più stabile. Ma all’ultimo momento Kenyatta si era tirato indietro.
“Perché – disse a Jack – io posso cavarmela da solo.” E se n’era andato, tornando in strada. Sarebbe stato controproducente chiedere l’aiuto dell’ufficio governativo che si dovrebbe occupare dei bambini di strada, e Jack ha preferito aspettare, però verificando di tanto in tanto che Kenyatta fosse sempre operativo in quel tratto di strada, vicino al grande mercato all’aperto di Ngong, che era il suo regno.
Ai primi di agosto, Kenyatta si è presentato a Ndugu Mdogo, ha salutato i suoi amici ed è rimasto. Senza una spiegazione. Jack ha scelto ancora di non reagire, semplicemente osservandone il comportamento. Una settimana dopo alla grande festa del Koinonia Children’s Day, durante la Messa, l’ho presentato a tutta la comunità come l’ultimo arrivato. Quando l’ho chiamato si è messo di fianco a me, dritto dritto, guardando tutti senza imbarazzo, sorridendo felice.
Dopo un paio di settimane ero a Ndugu Ndogo mentre George faceva una lezione di canto, e durante un intervallo mi si è seduto vicino, e senza che io gli avessi chiesto niente, ha cominciato a parlare, come se stesse riprendendo un discorso interrotto qualche minuto prima. “Non mangiavo da due giorni e son tornato a casa. Ho trovato mio papà ubriaco e mia mamma non c’era più. C’era un’altra donna. Lei mi ha cacciato come se fossi un bestia, lui mi guardava senza dire niente. Forse non mi ha riconosciuto. Poi la donna mentre uscivo mi ha urlato che mia mamma è morta di quella malattia di cui muoiono tutti, e che anche mio papà morirà presto, e poi anche lei. Che non mi faccia più vedere”. Si è fermato, poi ha aggiunto “Adesso sono qui e da qui non mi manda via nessuno”. Non l’ha detto in tono di sfida, come mi sarei aspettato da lui, ma semplicemente come un fatto assodato, definitivo, su cui non si discute. Jack era poco lontano, ha sentito tutto e prima che io potessi parlare ha chiesto “C’è forse qualcuno che ti vuol mandar via?”. Kenyatta si è guardato intorno lentamente, poi, sempre lentamente, ha fatto cenno di no con la testa. Poi, finalmente, le guance si sono coperte di lacrime silenziose.
Kenyatta is about ten years old. No one knows how his mother had called him, he has chosen for himself this name so solemn and presidential, at least in Kenya. Jack found him in the street last November, and through discovered a group of fifteen children living on the streets of Ngong town . Kenyatta was the leader, stocky and stubborn. After a journey of discovery and growth together for a few months, in April this year Jack had thought that the group was ready to enter Ndugo Mdogo, a stage of transition to a more stable arrangement. But at the last moment Kenyatta had pulled back .
“Because – he said to Jack – I can handle myself.” And he was gone, back to the streets. It would have been counterproductive to seek the help of the government agency that should take care of street children, so Jack decided to wait, though verifying from time to time that Kenyatta was always operating on that stretch of road near the large outdoor market of Ngong, his personal kingdom.
In early August , Kenyatta showed up in Ndugu Mdogo, greeted his friends and remained. Without an explanation. Jack has once again chosen not to react, he simply kept observing his behavior. A week later, at the great feast of the Koinonia Children’s Day, during Mass, I introduced Kenyatta to the whole community as the latest addition to our big family. When I called him next to me he stood straight, looking at everybody without embarrassment, smiling happily.
After a couple of weeks I was in Ndugu Ndogo while George was giving a singing lesson. During a break he came to sit next to me, and while I did not speak, he began to talk, as if resuming a speech he had interrupted a few minutes before. “I had not eaten for two days and I went back home. I found my dad drunk, and my mom was gone. There was another woman. She chased me like I’m a beast. He looked at me without saying anything. Perhaps it did not recognize me. Then she yelled at me as I was leaving that my mom had died of the disease that is killing so many, and that my dad will die soon, and then she too will die. That I should not show up ever again”. Then he stopped, adding after a brief pause: “Now I’m here, and from here nobody will chase me.” He did not speak defiantly, as I would have expected from him, but simply as a definitive fact, that is not to be argued. Jack was not far away, and had heard everything, and before I could speak he asked “Is there anybody who wants to chase you from here?” Kenyatta looked around slowly, then slowly shook his head. Then, finally, the cheeks were covered with silent tears .