«Non pensi che quanto sta succedendo nel Sahel, dal Mali al Sudan, passando per il Niger, nord della Nigeria, il Ciad e persino fino alla Repubblica Centrafricana, cioè già in piena Africa Nera, sia parte di un grande disegno islamista?» Chi mi pone la domanda è un confratello che segue con interesse e competenza gli sviluppi sociali e religiosi di quest’area, dove ha passato buona parte delle sua vita, tanto che parla discretamente l’arabo. Gli devo però rispondere, sapendo di deluderlo:«No, non lo penso».
Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle grandi forze che agitano il mondo islamico. Può essere che in questo mondo islamico ci siano persone o organizzazioni che vorrebbero emulare Osama bin Laden. Credo, tuttavia, che se anche questo fosse vero, il focalizzarci su di loro, l’evidenziare il terrorismo più brutale, non ci aiuti a capire cosa sta veramente succedendo.
I disagio è diffuso e le situazioni sono diverse. Generalizzare non serve. Senza dubbio in tutta l’area ci sono delle influenze reciproche, e senza dubbio molta dell’instabilità attuale si è scatenata dopo la caduta di Gheddafi in Libia. Mi sembra però improbabile pensare che qualcuno abbia organizzato e guidato il tutto come un disegno globale. Se c’è un disegno globale, questo si è innestato sul disagio e la rabbia locale, senza la quale non avrebbe avuto agganci. È importante conoscere la situazione locale, i dettagli, la storia. Il Mali non è la Repubblica Centrafricana ed entrambi sono diversissimi dal Ciad. Certo, è più difficile applicarsi a capire i tanti focolai esistenti e le loro possibili connessioni che non identificare un colpevole globale e cercare di colpirlo a morte. Ma così torniamo alla vecchia storia del capro espiatorio. Abbiamo visto con Osama bin Laden che non funziona. Eliminato lui, la “guerra contro il terrorismo” non è stata vinta; è rinata in altre forme, come nella rabbia esplosa in Svezia, come nei recenti terribili, disumani attacchi terroristici di Boston e di Londra. Quando si nega l’umanità degli altri, ci si rifiuta di ascoltare le loro ragioni – anche quelle che sono sbagliate – non c’è da meravigliarsi se chi si sente negato e impotente reagisce con violenza cieca e irragionevole. Così il terrorismo diffuso, senza organizzazioni e senza capi, diventa praticamente impossibile da prevenire.
Commentando un rapporto pubblicato un paio di settimane fa, Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite, super-moderato diplomatico di carriera, ha affermato che l’evasione fiscale, lo sfruttamento minerario incontrollato e l’esportazione clandestina di capitali stanno privando l’Africa dei benefici che potrebbero derivare dal boom dei prezzi delle materie prime. Queste operazioni costano all’Africa ben 38 miliardi di dollari l’anno. Annan ha aggiunto: «L’Africa, attraverso questi canali, ogni anno perde il doppio dei fondi che riceve dai donatori… È come rubare il cibo dalla tavola dei poveri!”. C’è da meravigliarsi se alcuni pensano che la spogliazione dell’Africa e le guerre nelle nazioni islamiche siano frutto di un grande disegno di predominio cristiano, visto che identificano, purtroppo, e sbagliando, i ricchi con i cristiani?
Nel Sahel i poveri si fanno la guerra fra di loro, sono attirati da ideologie di tutti i tipi (anche di matrice cristiana, a volte) perché non capiscono cosa sta succedendo, si percepiscono come vittime, impoveriti, disorientati, spaventati, dominati dall’esterno da forze troppo potenti. I predicatori di odio, i Boko Haram, i Seleka, i Fratelli Musulmani… hanno gioco facile a proporre soluzioni alle quali probabilmente essi stessi non credono ma che rispondono a un loro immediato interesse di potere.
Nessuno vuole giustificare la azioni contro i cristiani che stanno avvenendo in un’ampia fascia del Sahel. Ma il metodico, cronico furto delle risorse africane eseguito in modo anonimo e globale, come denunciato da Annan, è certamente una della principali cause della rabbia diffusa contro l’Occidente.
Non serve ripetere all’infinito che l’ispirazione del terrorismo non è nell’Islam, come ha fatto il premier inglese David Cameron. Suona troppo ipocrita, specialmente se queste affermazioni non vengono accompagnate da un serio impegno a capire le ragioni degli altri, e il loro senso di impotenza.
A livello personale, a Londra abbiamo visto cosa si potrebbe fare. Quell’uomo pazzo di odio, con le mani sporche di sangue, è stato fermato da una donna. Una donna sola. Una madre, pronta a sacrificarsi per salvare i figli degli altri e che, con istinto materno – come ha detto in un’intervista – ha visto in quel “terrorista” solo un ragazzo confuso, e ha cominciato a parlargli. Restare umani, avvicinarci agli altri come persone umane. Non è arrendersi. È la forza più grande: restare umani anche di fronte a chi umano non è più. È capire le dinamiche dell’odio per superarlo e vincerlo.
Tradurre in politica un simile approccio non è facile, ma bisogna provarci.