Ogni celebrazione dell’anno liturgico viene abitualmente associata a un valore cristiano. Il Venerdì Santo è il sacrificio e il perdono, la Pasqua la resurrezione e la vita nuova, la Pentecoste la testimonianza e l’impegno nel mondo, il Natale è la famiglia, i bambini, l’amore, la pace.
Chissà perché quest’anno per me il Natale si colorisce soprattutto di perdono, che di solito non è considerato il messaggio più immediato che viene da Betlemme.
È stato il presepio preparato da Frederic Sibomana che mi fa pensare al Natale nella prospettiva del perdono. Frederic e’ uno dei migliori scultori in legno che hanno il laboratorio all’interno di Kivuli, il centro al servizio dei bambini di strada e dele persone in difficolta’ che ho iniziato nel 1997 con i miei amici della comunicta’ Koinona di Nairobi (Kenya). Quest’anno ha fatto un presepio davvero speciale, intagliato a mano, su una tavola di legno di jacaranda. Rappresenta tutta la vita di Gesù: al centro c’è la Natività, intorno scene di vita africana che evocano la missione di Gesù secondo Isaia «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio, ad annunziare ai prigionieri la liberazione e il dono della vista ai ciechi; per liberare coloro che sono oppressi». Vi si vedono i bambini di strada che sniffano la colla, gli schiavi incatenati, i malati trasportati in barella tradizionale, i mendicanti, gli anziani, i ciechi, i bambini, la vita di villaggio. In secondo piano si vede la Crocifissione e all’orizzonte il sole che sorge rappresenta la Resurrezione. Tutta la vita di Gesù e’ simbolicamente descritta in questo grande quadro di un metro per un metro e mezzo. Probabilmente anche tutta la vita di Frederic, che è di origine ruandese, rifugiato in Kenya dal 1994, cercatore di fortuna in Mozambico e Sudafrica, infine rientrato in Kenya perché qui si trova meglio che negli altri paesi dove ha provato a lavorare, essendoci una grossa comunità ruandese che lo fa sentire più a casa. Ieri, primo giorno di Avvento, ha portato la sua opera a Ndugu Mdogo, la casa di prima accoglienza per i bambini di strada che abbiamo avviato a Kibera, la piu’ grande baraccopoli di Nairobi nel 2008, e l’ha` messa nel portico, appoggiata contro il muro. Subito alcuni dei bambini vi si sono seduti intorno mentre lui spiegava cosa rappresenta.
Sul volto del Gesù bambino del presepio di Frederic c’è pace e serenità, anche se e’ gia’ consapevole di cosa gli riserva il futuro. Nonostante i vari gruppi di persone rappresentino situazioni di disagio e dolore che saranno destinatarie dell’annuncio di Gesù, l’umanità sofferente a cui Dio Padre ha inviato il Figlio, anche queste figure sono composte, dignitose. Sono persone abituate alla durezza della vita, non si lamentano, portano il loro fardello con determinatezza. Il Bambino guarda e sembra già accettare tutto, perfino la croce che si intravede in lontananza. Ha già perdonato tutti in anticipo. Anche se sa bene in che mani si è messo. La sua non è rassegnazione ma piuttosto fede e speranza che la tranquilla forza del bene vincerà.
O io vedo troppe cose? Forse quello che vedo sul volto dei Bambino è invece sui volti dei bambini di Ndugu Mdogo.
I bambini sono accovacciati sul pavimento, a contemplare la scultura. Questa è ormai la loro casa da diversi mesi. Indossano vestiti puliti, hanno appena finito colazione e quando è arrivato Frederic stavano parlando con Jack, l’educatore di strada, sulla possibilita’ di un loro reinserimento in famiglia.
Juma, il più piccolo del gruppo, avrà forse sette anni, tocca col dito, esitante, la statua del bambino che sniffa la colla, quella più vicina al Bambino. « È come me» dice rivolgendosi agli altri. Poi si corregge con un sorriso appena accennato «Com’ero». Juma ci ha raccontato che era scappato di casa due anni fa per raggiungere in strada il fratello maggiore, Idriss. La mamma stava via da casa, o meglio dalla baracca, anche per due o tre giorni di seguito, e loro non avevano da mangiare, e non vedevano altra soluzione che andare in strada a rubacchiare o mendicare. Dopo che hanno deciso di andarsene hanno vissuto in strada, insieme, per due anni, prima di venire da noi poche settimane fa. Ma quando abbiamo chiesto ai due fratelli dove vorrebbero stare in futuro ci hanno detto che, se li aiutiamo un poco per poter andare a scuola, e Jack va a visitarli con regolarità, loro sarebbero contenti di stare con la mamma «perché lei ha bisogno di noi». Seduto accanto a Juma c’è Mothami, dodici anni, che era fuggito di casa tre anni fa perché il patrigno tornava sempre a casa ubriaco, picchiava prima la moglie e poi il figli. «Però – dice Mothami – l’ultima volta che ho visitato la mamma in casa non c’era violenza, le cose vanno meglio. Potrei andare a scuola e poi la sera preparare la polenta prima che gli altri rientrino».
Quella mamma e quel papà sono stati perdonati senza che lo abbiano chiesto. Juma, Idriss, Mothami sanno che la vita ha messo i loro genitori in difficoltà, capiscono e perdonano. Sperano che il male che hanno visto e sperimentato non si ripeta più. Che gli adulti possano cambiare in meglio, anche se hanno imparato che non è sempre così facile.
Il Bambino che dirà «Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati. Perdonate e vi sarà perdonato» guarda, capisce, approva.