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Fallimento

Sto guidando l’auto, carica di bambini, nel centro di Nairobi ed ho, molto imprudentemente lasciato il finestrino aperto. Mi si avvicina una tipica persona di strada. Vestiti sdruciti e sporchi, alto, magrissimo, occhi arrossati, una smorfia che forse é un sorriso ma quasi privo di denti. Se non conoscessi le strade di Nairobi potrei dargli 50 anni, conoscendole penso che ne possa avere fra i venticinque e i trenta. E’ all’ultimo stadio della parabola discendente di una “vita di strada”. Gli stenti, la fame, lo sniffare la colla e la benzina, le infezioni, le discriminazioni e il disprezzo, le malattie di tutti i generi fanno si che a un certo punto la persona non reagisca più, si lasci morire. Penso che ormai avrà qualche mese di vita, e il recupero é quasi impossibile. Solo le suore di Madre Teresa accettano una persona ridotta cosi, e possono aiutarla a vivere gli ultimi giorni con solidarietà e affetto. L’uomo si appoggia al finestrino dell’auto, ferma a un semaforo. Sorride ancora, si, é proprio un sorriso, mi fissa con quegli occhi malati. La gente ben vestita continua a passare sul marciapiede, frettolosa. Sono impiegati, funzionari governativi, gente che fa ha fatto le ultime spese prima che i negozi chiudano. L’uomo continua a fissarmi. “Non mi riconosci?” No, non lo riconosco. Scavo nella memoria ma non ritrovo un volto che possa assomigliare a questo volto devastato. “Sono Lwanga, non ti ricordi?”

Mi si stringe il cuore. Lwanga era un ragazzo di strada di non ancora 10 anni quando insieme ad Andrew nel 1992 incominciammo ad avvicinare un gruppo che stazionava nel mercato di Riruta Satellite. Mi aveva colpito perché Lwanga é il nome di un altro dei Martiri d’Uganda, come Kizito, e i nostri nomi erano stati un buon aggancio quando lui mi si era avvicinato per chiedere da mangiare. Lwanga era diventato un entusiasta giocatore degli Yassets, la squadra di calcio organizzata da Andrew e si era trasformato in un adolescente allegro e aperto. Da qualche parte devo avere ancora una foto fatta durante gli allenamenti nel campetto della scuola di Riruta, con Andrew esultante perché la sua squadra ha vinto, e Lwanga, come al solito, gli é vicino. Non gli pareva vero di aver trovato un adulto che si interessasse di lui, lo proteggesse. Poi Andrew, poco prima di morire in un incidente d’auto nel novembre del 1997, lo rimise in contatto con la famiglia, e lo aveva sistemato nella casa di una zia, iscrivendolo anche ad una scuola di meccanici per auto. Ricordo la trepidazione con cui Andrew aveva seguito la crescita di Lwanga.

Poi, dopo la morte di Andrew, lo avevamo perso di vista. Lo rivedo solo oggi, stritolato dalla vita. Gli chiedo di venirmi a trovare a Kivuli, ma temo che non lo rivedrò. Il ragazzino che stimolato da Andrew aveva re-imparato a guardare alla vita con fiducia non c’è più. Anche lui lo sa. Mi dice che verrà, ma si capisce che non ci crede. Ormai non si aspetta più niente.

Nairobi e’ una macchina che stritola i più deboli. Chi non é forte dentro, viene distrutto. Come sempre, quando una persona come Lwanga fallisce ti fa riflettere sulla ragione del fallimento e sull’efficacia e significato del nostro impegno a fianco delle persone di strada. Andrew ha dato a Lwanga protezione e affetto, lo ha rimesso in contatto con la famiglia dedicandogli innumerevoli visite, gli ha trovato la scuola, ha dovuto convincere gli insegnanti a accettarlo nella loro classe… E tutto questo per cosa?

Per motivarci possiamo pensare alle tante persone che sono passate nelle nostre case e adesso sono giovani adulti normalmente integrati e normalmente felici, per lo meno come si può essere felici in questo mondo, per convincerci che il nostro lavoro non é stato comunque inutile.

Ma una persona ridotta come Lwanga é una sconfitta bruciante. Eppure, pensando a lui e a qualcun altro come lui, non mi pento di aver sprecato tempo, fatiche e risorse perché qualcuno di Koinonia potesse restargli vicino. Il bene resta. E’ eterno. I momenti di felicità che Andrew ha saputo donare a Lwanga, anche fossero gli unici della sua vita, saranno per sempre, oltre la morte, sia in Lwanga che in Andrew. Dobbiamo cercare di fare bene il bene, ma anche se facciamo qualche sbaglio, il bene resta.

6 Comments

  1. Vanessa says:

    Non e’ un fallimento, perche’ dici tu, il bene resta.

  2. luisa says:

    Grazie, Kizito. L’amore non andrà distrutto, anche se il nostro punto di vista limitato vede il fallimento. Un giorno sapremo leggere la storia con gli occhi di Dio e avremo delle sorprese. Un abbraccio.

  3. Michele La Rosa says:

    Carissimo Kizito,

    la tua ultima lettera “Fallimento” è quella che più mi è vicina nel toccarmi il cuore direttamente. Quella che l’umana ragione chiama fallimento, il Dio di Abramo la chiama Vocazione. E’ la Vocazione originale della Chiesa che si è persa nei secoli: negli ultimi Gesù è vivo, presente, misticamente sacramento incomprensibile alla nostra logica umana. Di fronte a lui vedi le vocazioni più alte, vedi San Francesco, Madre Teresa, il Comboni che liberava gli schiavi, ma poi vedi Mosè e il popolo di Israele, Don Milani e i suoi orfani e la sua scuola, San Guido Maria Conforti, tutti quelli che hanno avuto il coraggio di dare tutto al Signore come fece anche Elia.
    E’ la nostra vocazione, trovare il modo di aiutare anche i FALLIMENTI perchè loro sono la VITTORIA di CRISTO!!!

  4. giorgio says:

    leggendo mi è venuto in mente ciò che Gesù disse: e quando avete fatto tutto quello che dovevate fare dite -siamo servi inutili-

    ciao kizito

  5. Alessandro Galimberti says:

    Caro Kizito, che dire? Mi sto affezionando a Said, un bimbo di strada di Maputo. Mi sono interessato: qui non esiste nulla tipo Kivuli. Questo fatto già dice tutto circa il bene fatto.
    E poi, solo Cristo salva. Non è vana consolazione ma speranza. La Speranza cristiana che NON delude: chi salva Lwanga non sei tu. Non sono gli educatori di Koinonia. Neppure il cuore più grande del mondo, nemmeno il progetto migliore del mondo!
    Si poteva stargli più vicino nei momenti in cui la presenza di Andrew è venuto meno? Forse. Perchè sempre l’uomo deve collaborare al disegno di Dio: mica possiamo stare con le mani in mano ad aspettarla passivamente questa benedetta salvezza…
    In ogni caso, il Bene resta. E, di più, darà anche frutto. Secondo la Sua misura. Non la nostra.
    Ti mando un grande abbraccio ricordandoti sempre con grande grande affetto!
    Alessandro Galimberti, Maputo

  6. Caro Kizito, leggo solo oggi qs tuo bel post. Condivido e capisco il senso di “fallimento” (anche il card. Martini parlava del fallimento educativo). Anche come genitori si rischia di provare sentimenti simili quando si vedono i figli prendere strade opposte ai valori insegnati e trasmessi. Che dire? certo, il bene resta. E Qualcuno ne tiene conto, per fortuna… Un caro saluto

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