L’altro ieri a Jos, in Nigeria, si è scatenata ancora una volta contro i cristiani la violenza omicida di alcuni fanatici musulmani. Ho notato anche con disappunto che ormai per trovare questa notizia – almeno 37 morti, si dice – nel sito della BBC bisogna andare sulle notizie locali africane. Trentasette uccisi perché sono cristiani non fa più notizia internazionale.
Ormai è raro che passi una domenica senza la notizia che in Kenya o un Nigeria ci siano attentati contro cristiani di ogni denominazione.
In risposta a queste carneficine i vescovi di Nigeria e Kenya, oltre a manifestare il loro sdegno per i fatti e il cordoglio per le vittime e le loro famiglie, ripetono più o meno questo messaggio: “Non è una guerra di religione. E’ la religione, in questo caso l’Islam, usata impropriamente per fini politici o terroristici”.
Fanno bene a dirlo, perché è vero e perché i vescovi e noi tutti abbiamo la responsabilità di impedire che il disegno di chi vuole aizzare le due comunità una contro l’altra abbia il benché minimo appoggio.
L’esperienza quotidiana in Kenya è di pacifica coesistenza, magari con qualche occasionale tensione ma su cose minori, e spesso di cooperazione per risolvere problemi comuni. A Kibera, lo dico spesso, la casa di Mdugu Mdogo è un un’area a grande maggioranza musulmana, e noi siamo sicuri di poter sempre contare sulla loro collaborazione e protezione. Per i musulmani di quelle famiglie il buttare bombe in una chiesa è un atto impensabile.
Ma i nostri vescovi devono pur esigere che i responsabili musulmani sconfessino la violenza in modo alto e chiaro, inequivocabile. Non basta che facciano delle dichiarazioni distanziandosi da questi fatti orrendi. Devono fare dei gesti pubblici e visibilissimi, che coinvolgano un grande numero di fedeli (una giornata di preghiere? Un rally? Sta a loro decidere) che indichino una mobilitazione di tutta la comunità musulmana contro il terrorismo e contro l’uso di ogni forma di violenza. Non è possibile che il giorno dopo aver detto che il governo dovrebbe schiacciare i responsabili di questi atti criminali, il presidente del Supreme Council of Kenya Muslim (Supkem) protesti perché la nuova legge proposta contro il terrorismo “è discriminatorio e focalizza sulla comunità musulmana””, cosa assolutamente non vera. Il messaggio che arriva ai fedeli musulmani di base, specialmente alla piccola frangia di quelli che hanno tentazioni ideologiche islamiste, e che magari sono giovani senza lavoro e senza soldi, è troppo confuso.
The day before yesterday in Jos (Nigeria), once again a murderous violence has been unleashed against Christians by some Muslim fanatics. Rarely a Sunday passes without the news that in Kenya or Nigeria some Chrisitans were attacked and killed. I also noted with disappointment that to find this news – at least 37 people killed, they say – in the website of the BBC you have to go to the local African page. The killing of thirty-seven people because they are Christians is no longer worth the front page.
In response to these massacres, the bishops of Nigeria and Kenya, in addition to expressing their horror for the facts and offering their condolences, repeat a message that says more or less: “There no war of religion. It is religion, in this case Islam, that is improperly used for political or terrorist purposes”.
They are right to say it, because it’s true, and the bishops, as well as all of us, have a responsibility to prevent that the plans of those who want to incite the two communities against each other find any support.
The daily experience in Kenya is of peaceful coexistence between Muslims and Christians, perhaps with some occasional tension on minor issues, and often there is cooperation to solve common problems. In Kibera our Mdugu Mdogo house is situated in an area of Muslim majority, and we are sure we can always count on their cooperation and protection. For the Muslim families living close to us to throw grenades into a church is unthinkable.
But our bishops should demand that Muslim leaders disavow violence in a loud, clear, unequivocal way. It is not enough for them to make statements distancing themselves from these horrific events. They must make very public and very visible gestures, involving a large number of the faithful (a day of prayer? A rally? Is up to them) to indicate a mobilization of the entire Muslim community against terrorism and against the use of all forms of violence. It not reasonable that the day after he said the government must “crack down” on those responsible for these criminal acts, the president of the Supreme Council of Kenya Muslim (Supkem) protests because the proposed new law against terrorism “is discriminatory and focuses on the Muslim community” “, which is absolutely not true. The message that reaches the Muslims community, especially those who have Islamist ideological temptations, and are young, without work and without money, is too confusing.