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Bambini e Cacciabombardieri – Of Children and Fighter Jets

Nairobi. Bambini di strada preparano la cena, in un'aiuola fra Kibera e il traffico della Ngong Road. Street children cook supper, in a strip of land between Kibera and Ngong Road.

Pochi giorni fa L’UNICEF ha presentato in contemporanea in tutto il mondo il suo ultimo rapporto annuale, intitolato “La condizione dell’infanzia nel mondo 2012: Figli delle città”, che esamina la condizione dei bambini e ragazzi che vivono negli ambienti urbani. Nella presentazione del rapporto il direttore generale Anthony Lake, scrive “Quando pensiamo alla povertà, le immagini che tradizionalmente ci vengono in mente sono quelle dei bambini nei villaggi rurali. Oggi, sempre più bambini vivono nelle baraccopoli e sono tra i più svantaggiati e vulnerabili al mondo, privati della maggior parte dei servizi di base e del diritto di crescere bene. Escludendo questi bambini che vivono negli slum non solo li priviamo della possibilità di sviluppare il proprio potenziale, ma priviamo anche le loro società di benefici economici che derivano da una popolazione urbana in buona salute e ben istruita”.
E’ una dichiarazione fredda, asettica, di fronte alla realtà sconvolgente che emerge dal rapporto. Leggendolo, al di là dei numeri si percepisce la sofferenza di milioni di bambini, il loro pianto e la loro richiesta di aiuto. Dati che dovrebbero impegnarci a un cambiamento radicale.
Riassumo solo alcuni dei dati. I bambini e i ragazzi – di entrambi i sessi – che vivono oggi in ambiente urbano sono più di un miliardo. Entro il 2020 saranno quasi un miliardo e mezzo, e almeno mezzo miliardo vivranno nei cosiddetti “insediamenti non ufficiali”, cioè baraccopoli o slum.
Le città sono oggi il luogo di ocncentrazione delle ingiustizie e disparità sociali, tra le cui vittime, i bambini sono i soggetti più vulnerabili. Disparità nell’accesso ai servizi igienico-sanitari, all’istruzione, al diritto alla proprietà, alla protezione e a un ambiente sano, sono in crescita, non in diminuzione. Un terzo di tutti i bambini delle aree urbane non esiste: non sono stati registrati alla nascita, una percentuale che, in Africa sub-sahariana arriva a toccare il 50%. Ci sono nel mondo 215 milioni di “lavoratori” di età compresa tra i 5 e i 17 anni. Tra questi, 115 milioni fanno lavori pericolosi. Nelle aree urbane periferiche e degradate le famiglie non sono in grado di sostenere i costi per l’istruzione dei propri figli e scelgono così di farli lavorare. Nel 2010, quasi 8 milioni di bambini sono morti prima di aver raggiunto i cinque anni di età, la maggioranza di loro nati in insediamenti informali. Il più alto tasso si registra in Somalia, 180 decessi ogni 1000 nati vivi, mentre a Nairobi – dove i due terzi della popolazione vive in slum – si contano 151 bambini morti su 1000 nati vivi. Nei quartieri urbani più poveri delle grandi città Africane un litro di acqua costa 50 volte di più che nei quartieri più ricchi. L’accesso inadeguato all’acqua potabile e l’insufficienza della quantità di acqua necessaria ai fabbisogni igienici quotidiani, minaccia la salute dei bambini che abitano gli slum e favorisce il diffondersi di epidemie.
Solo una notizia parzialmente positiva: nel 2010 meno bambini sono stati contagiati con HIV e si sono malati di AIDS rispetto agli anni precedenti, grazie al miglioramento nell’accesso ai servizi di prevenzione durante la gravidanza e l’allattamento. Ma c’è una bomba pronta ad esplodere: in tutto il mondo, 2,2 milioni di adolescenti tra i 10 e i 19 anni convivono con l’HIV, e per la maggior parte non sono consapevoli della loro sieropositività.
Ovvia conseguenza delle statistiche precedenti è che negli slum cresce la violenza, di cui bambini e ragazzini ne sono prima le vittime e ne diventano poi gli autori.
Continuando il rapporto l’UNICEF elenca, “con forza” come sottolineano i comunicati ufficiali, le cose che si dovrebbero fare, le “buone pratiche”, il programma delle “città amiche dei bambini”, e le “cinque azioni urgenti”: comprendere la natura della povertà e dell’esclusione nelle aree urbane; individuare ed eliminare gli ostacoli all’inclusione; mettere i bambini al primo posto nel quadro di una ricerca più ampia dell’equità nella pianificazione urbana, nello sviluppo delle infrastrutture, nella governance e nella fornitura di servizi; promuovere la collaborazione tra i poveri delle aree urbane e i loro governi; lavorare tutti insieme per ottenere dei risultati indispensabili per l’infanzia.
Cosi il dramma umanitario, la sofferenza di centinaia di milioni di bambini che è stata già mezza nascosta dalla fredde cifre, viene definitivamente diluito dal gergo degli esperti, da parole che che sembrano fate apposta per lenire piuttosto che spronare l’azione. Ma dove sono le “buone pratiche” se ci sono mezzo miliardo di bambini in sofferenza cronica!? No, evitiamo lo sdegno, fingiamo di convincerci che conosciamo le soluzioni e che è solo una questione di tempo prima che le mettiamo in pratica. L’incongruenza delle proposte rispetto alle necessità e sopratutto alle urgenze lascia senza fiato.
Riusciranno queste blande proposte a mobilitarci, noi tutti, perché solo noi tutti potremmo insieme trovare una soluzione? Eppure qui è il banco di prova per dimostrare d’essere un’umanità sola, di credere che ormai siamo tutti legati ad un unico destino. Se affrontassimo coraggiosamente il problema e fornissimo educazione e cure mediche a questo mezzo miliardo di bambini fra vent’anni averemo anche vinto il sottosviluppo, il degrado ambientale, i nazionalismi e i razzismi, le guerre, la crescita demografica incontrollata. L’istruzione, un’istruzione vera, che dà la consapevolezza della dignità umana e del proprio posto nel creato, è la strada maestra per cambiare il nostro futuro.
Invece il rapporto dell’UNICEF, in sé importante e commendabile, sembra essere stato solo occasione di incontri, conferenze, cene benefiche, cocktail parties, e genericamente di fund raising, almeno giudicando da quanto è stato riportato dai media. E’ passata una settimana e non se ne parla più. Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo denunciato queste cose tremende, adesso passiamo alla cose serie, sembra essere il sottinteso.
Bene, passiamo alle cose serie. Il governo italiano vorrebbe comperare 131 cacciabombardieri F35 che costano quasi 150 milioni di euro ciascuno. Con quale logica? E’ logico investire enormi capitali in armi mentre il grido dei poveri, in Italia e nel mondo, si fa sempre più disperato? Con il costo di uno di questi cacciabombardieri si potrebbe dare istruzione, cure mediche, futuro e dignità a diverse decine di migliaia di bambini. Formare cittadini consapevoli e competenti, una straordinaria azione preventiva contro le guerre possibili future. Molto più efficaci di un cacciabombardiere.
Nel frattempo ricevo un altro rapporto, molto più ridotto, di uno degli “operatori di strada” di Koinonia a Kibera. Mi elenca tutti i bambini che ha recuperato dalla strada lo scorso anno e i primi commenti dei maestri delle scuole dove sono stati inseriti. Mi racconta delle giornate e notti passate in strada a cercare i bambini più in difficoltà. Le piccole conquiste fatte: Njiru della quale ha conquistato la fiducia curandole un taglio al piede, Shikuku, l’albino, che ieri ha finalmente accettato di giocare al pallone con gli altri.
Ma è possibile che siamo così in pochi a pensare che bisogna investire in fraternità e pace invece che in muri divisori e in macchine da guerra?

4 Comments

  1. Mikele Mau Mau says:

    Ad un articolo così spero di dare un commento chiaro e rispettoso. Io credo che sarete sempre in pochi a pensare che bisogna investire in fraternità, fino a quando il modello di sviluppo adottato dalla Chiesa Cattolica Italiana, dalla Chiesa Protestante e dal Vaticano in particolare, sarà il Capitalismo, cioè l’idea totalmente anticristiana che il Cristiano o non debba fare politica, o debba fare politica vendendosi a quelli che sostengono i privilegi della classe eclessiastica e della religiosità. Come mai sono proprio i Papi più vicini alle ispirazioni di sinistra che hanno contribuito maggiormente nella cosa più importante a Dio? La Pace e a Giustizia? Parlo in particolare di Giovanni XXIII e il sucessore Paolo VI. C’è bisogno di una svolta radicale perchè il modello economico capitalista e consumista è insostenibile e a forza di distruggere e sperperare le limitate risorse alla fine converrà a tutti politicamente il riarmo internazionale, vedi la Russia che ha ordinato di recente altre 400 testate atomiche, che si contrappongono alle 18000 americane di cui 90 installate in Italia. Forse la strada di alcuni che cercavano una via possibile ad un marxismo credente non era così sbagliata.

  2. Giovanni says:

    Caro Mikele, ho l’impressione che conosca la dottrina sociale della chiesa, almeno di quella cattolica, per sentito dire. Ha presente le ultime encicliche sociali? Ha presente la Rerum Novarum del 1891? Oppure le dichiarazioni per certi versi profetiche del tipo: «Nell’ordine delle relazioni internazionali da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove c’è guadagno» (papa Pio XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931).
    Credo che si sia perso anche le dichiarazioni di vescovi, preti e cattolici impegnati riguardo la folle spesa militare italiana. Il problema, semmai, rimane quello della coerenza. E non solo da parte dei cristiani.
    Un forte abbraccio.

  3. Mikele Mau Mau says:

    Carissimo Giovanni,
    grazie per la precisazione. Conosco poco della Dottrina Sociale della Chiesa, ma ho l’impressione che siano le solite belle parole e che i fatti siano altri. Nella mia città per esempio saranno i soldi di un magnate dell’Acciaio a pagare una casa di riposo per Preti, con i soldi del lavoro degli operai di quell’accacieria, ai quali nemmeno è stato chiesto se volevano o no fare una donazione. Questa è la realtà. Oppure il mio Vescovo alla via crucis si è guardato bene dal parlare di Arrigoni Vittorio che è morto martire in Palestina per testimoniare l’uso di fosforo bianco da parte dell’esercito israeliano e che è morto il Venerdì prima del venerdì santo, no alla via crucis hanno parlato del Ministro delle Finanza Indiano. Sono solo esempi, ma se la Chiesa è finanziata dallo stesso stato Italiano, che lotta sociale vuoi poter fare? Ma Lei ha visto la reazione del portavoce Vaticano alle critiche di Famiglia Cristiana al Governo Berlusconi? Li hanno zittiti subito. Questa è l’amara realtà. Lo stesso presidente della CEI, Angelo Bagnasco, era il capo dei Capellani Militari con le stellette da Generale sull’Abito da Prete, e chiamava Martiri della Pace i soldati armati morti per difendere i pozzi petroliferi dell’Agip a Nassirya. Ma chi vogliamo prendere in giro? Poi con l’obbedianza li si incatenano tutti, i Vescovi e i Preti a servire il sistema capitalista. Mi scusi lo sfogo, spero capisca l’emergenza e la disperata ricerca di una alternativa Cattolica a questa roba.

  4. Michele Mau Mau says:

    Non so se è il caso di pubblicare questo commento successivo, ma forse può aiutare a capire meglio, anche il limite caro Giovanni, della sua osservazione. Ha ascoltato le parole di Benedetto dette in questi giorni in Messico su Cuba contro il Marxismo nella sua capacità di interpretare la realtà? In Italia si parla di minare l’art.18, un Vescovo a parole dice che i lavoratori non sono merce, e quindi sembra che la Chiesa si schieri dalla parte di chi difende il diritto al lavoro contro chi sta strumentalizzando la politica agli interessi puramente economici, e poi appena si sente questa fioca voce…. ecco che dal Papa si attacca il marxismo, in quella che poi è la più importante funzione che ha come strumento anche per i credenti, la capacità di descrivere correttamente la realtà fuori da fantasie e idee di parte. E quale alternativa si propone? Una solidarietà ispirata dalla fede. Cioè fammi capire, se sono cattolico ho diritto al lavoro, se no no. Se sono dell’Opus Dei posso lavorare per quella grossa ditta, se no mi arrangio. Se sono di Comunione e Liberazione mi raccomandano al colloquio di lavoro, altrimenti resto a casa. Se sono evangelico mi assumono come consulente strapagato, oppure da dipendente nessuna azienda offre più contratti a tempo indetterminato, perchè i loro manager devono intascare soldi sui contratti di subappalti anche trasformando il lavoro dipendente in un appalto. E’ questa la solidarietà cristiana? Distruggiamo il pubblico, come la scuola, favoriamo la rimozione dei diritti di chi lavora, mettiamo i nostri manager numerati e legati a movimenti cattolici nei posti di potere della società, così da controllarla, per essere sicuri di poter favorire chi interessa a noi, un lavoro come vogliamo noi, una scuola privata come interessa a noi, una sanità dove il pubblico finanzia noi e la nostra opera? Sono molto preoccupato. Vedo sempre più i vertici della Chiesa lontani dalla gente, dalla retlà del Vangelo, la Base senza una precisa idea su cosa proporre in alternativa, e una realtà sempre più contro l’uomo e la sua difesa sociale, a favore di pochi ricchi, che influenzano sempre più anche i gruppi religiosi, pilotandone i vertici.

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