L’altro giorno uno dei ragazzi di Ndugu Mdogo a Kibera, chiamiamolo Kamau, mi dice “mio papà mi ha chiesto di ringraziarti perché quando era in prigione a Kamithi, tanti anni fa, tu hai portato in regalo molte copie di New People e per per qualche settimana i detenuti hanno potuto distrarsi e imparare molte cose nuove”. Cerco di ricordarmi. Sono sicuro di essere entrato a Kamithi, che è la prigione di massima sicurezza, solo una volta, quando celebrai la Messa il mattino di Natale del 2006 o 2007. Celebrai nel fetido stanzone su cui si aprono le celle dei condannati a morte, le persone accalcate intorno al tavolo che serviva da altare. In Kenya la sentenza capitale non viene eseguita dal 1987, e viene di fatto mutata in carcere a vita. Salutandoli, non potei non domandarmi quanto potesse durare la vita per quei poveretti ammassati in condizioni terribili. Ma mi ricordo che non mi era stato permesso di portare nessuna rivista. Come poteva il papà di Kamau aver ricevuto copie di New People?
Poi mi ricordo che nel 93 o 94, padre Arnold Grol, l’olandese che per primo si è preso cura dei bambini di strada a Nairobi, e che aveva accesso libero a tutte le prigioni del paese, mi aveva chiesto di dargli copie vecchie di New People da distribuire ai carcerati. Forse distribuendo le copie mi ha nominato, o forse il papà di Kamau fa un po di confusione. Ma che un gesto cosi piccolo sia ricordato con gratitudine dopo tanto tempo mi stupisce.
Ci sono altri ragazzi che ascoltano e non chiedo a Kamau come mai suo papà fosse in carcere a Kamiti e come mai adesso sia fuori, ma per non lasciare cadere la cosa e cercare di capire qualcosa di più, gli chiedo quanti anni abbia suo papà. “Trentaquattro”, è la risposta sicura. Quindi a quel tempo suo papà aveva appena compiuto 18 anni, perché non ti mettono a Kamithi se non sei maggiorenne, e so che lo stesso Kamau farà diciotto anni il marzo del prossimo anno, perché ho letto da poco la sua storia preparata da Jack, il nostro “assistente sociale di strada”. Rifletto che andando a questa velocità, io, che ho appena compiuto i sessantotto anni, potrei essere il bisnonno di Kamau, con ottime probabilità di diventare trisnonno in tempi brevi. Continuo a chiedere, sempre cautamente perché so di avventurarmi in terreno minato, e che potrei toccare situazioni dolorose: E la mamma? E quanti sorelle e fratelli hai? “La mamma ha forse 35 anni, ma non è più insieme al papà da tanto tempo ed è stata la sorella della mamma a farmi crescere fino ai dodici anni, quando sono andato in strada perché a casa non c’era abbastanza da mangiare”. Il conto dei fratelli prende parecchio tempo, perché ce ne sono quattro dalla stessa mamma e papà, ma poi entrambi hanno avuto figli da altri partners, e alla fine sembra che il totale sia di undici, ma non è cosi sicuro.
Non c’è da sorprendersi che il Kenya sia passato da circa 22 milioni di abitanti nel 1988, l’anno in cui sono arrivato a Nairobi, ai quasi quaranta odierni, e che continui a crescere al ritmo di un milione di persone all’anno. La sorpresa è che un ragazzo come Kamau, con questa famiglia alle spalle, tre anni di vita in strada, riesca ancora a impegnarsi e dopo essere tornato a stare con la zia e aver ripreso la scuola, venga a Ndugu Mdogo una volta alla settimana per farsi consigliare da Jack, oltre a due semplici ma abbondanti pasti.
Poi mi ricordo che nel 93 o 94, padre Arnold Grol, l’olandese che per primo si è preso cura dei bambini di strada a Nairobi, e che aveva accesso libero a tutte le prigioni del paese, mi aveva chiesto di dargli copie vecchie di New People da distribuire ai carcerati. Forse distribuendo le copie mi ha nominato, o forse il papà di Kamau fa un po di confusione. Ma che un gesto cosi piccolo sia ricordato con gratitudine dopo tanto tempo mi stupisce.
Ci sono altri ragazzi che ascoltano e non chiedo a Kamau come mai suo papà fosse in carcere a Kamiti e come mai adesso sia fuori, ma per non lasciare cadere la cosa e cercare di capire qualcosa di più, gli chiedo quanti anni abbia suo papà. “Trentaquattro”, è la risposta sicura. Quindi a quel tempo suo papà aveva appena compiuto 18 anni, perché non ti mettono a Kamithi se non sei maggiorenne, e so che lo stesso Kamau farà diciotto anni il marzo del prossimo anno, perché ho letto da poco la sua storia preparata da Jack, il nostro “assistente sociale di strada”. Rifletto che andando a questa velocità, io, che ho appena compiuto i sessantotto anni, potrei essere il bisnonno di Kamau, con ottime probabilità di diventare trisnonno in tempi brevi. Continuo a chiedere, sempre cautamente perché so di avventurarmi in terreno minato, e che potrei toccare situazioni dolorose: E la mamma? E quanti sorelle e fratelli hai? “La mamma ha forse 35 anni, ma non è più insieme al papà da tanto tempo ed è stata la sorella della mamma a farmi crescere fino ai dodici anni, quando sono andato in strada perché a casa non c’era abbastanza da mangiare”. Il conto dei fratelli prende parecchio tempo, perché ce ne sono quattro dalla stessa mamma e papà, ma poi entrambi hanno avuto figli da altri partners, e alla fine sembra che il totale sia di undici, ma non è cosi sicuro.
Non c’è da sorprendersi che il Kenya sia passato da circa 22 milioni di abitanti nel 1988, l’anno in cui sono arrivato a Nairobi, ai quasi quaranta odierni, e che continui a crescere al ritmo di un milione di persone all’anno. La sorpresa è che un ragazzo come Kamau, con questa famiglia alle spalle, tre anni di vita in strada, riesca ancora a impegnarsi e dopo essere tornato a stare con la zia e aver ripreso la scuola, venga a Ndugu Mdogo una volta alla settimana per farsi consigliare da Jack, oltre a due semplici ma abbondanti pasti.
il racconto di Kamau, fra i tanti spunti che offre, mi fa pensare che i gesti che facciamo nel corso della nostra vita lasciano, spesso a nostra insaputa, una traccia positiva o negativa, che non verrà dimenticata e che magari incroceremo ancora nel corso della nostra vita.