Ho un amico, A., che vede gli angeli. A volte anche li fotografa, e lì incominciano i problemi fra di noi, perché se non ho ragioni per metter in dubbio le visioni che mi racconta, le sue foto mi lasciano più scettico. La mia formazione da perito meccanico e da fallito aspirante fotografo mi fa vedere una lampadina sovraesposta dove lui vede una presenza angelica. Dove lui, in una foto fatta nella nostra casa di Ndugu Mdogo a Kibera vede il dito di in angelo che indica il cielo e sullo sfondo il volto di un altro angelo, io vedo una combinazione di errori di messa a fuoco e di esposizione per cui il ditino che Wallace stava per mettersi nel naso è risultato chiarissimo mentre la sciabolata di sole sul viso di Eliud circondato da volti neri nella stanza buia gli dà effettivamente un aspetto evanescente, eventualmente però più simile ad un fantasma che ad un angelo.
Settimana scorsa A. mi ha scritto, mettendo altri due amici in copia, di aver visto in una trasmissione televisiva in Italia due persone che dicono di aver fotografato degli angeli durante un incidente aereo, poi finito bene. Adesso A. li vuole contattare per comparare le foto. Uno degli amici in copia, B., che è un vero mistico e che scrive bellissime poesie, gli ha risposto: “io lascerei perdere le “immagini” del sacro. Nei suoi bellissimi scritti San Giovanni della Croce (insieme ad altri grandi mistici) ci suggerisce come ci si debba liberare delle manifestazioni “sensibili” di Dio, false o autentiche che siano. Penso che l’unica cosa interessante sia la ricerca di Dio nel cuore, dove non vi è nulla di eclatante ma solo un rapporto profondo di amore silenzioso, oscurato da tenebre che lo custodiscono.”
Partecipo a questo scambio di corrispondenza in email mentre sono a Lusaka., in visita a Mthunzi, e, pur nel mio scetticismo, il pensare agli angeli ha stimolato una riflessione sulla vera natura di Noah. Che é un ex bambino di strada come tanti altri, che non emerge in nessun modo, solo un po più timido e obbediente. E’ arrivato da noi lo scorso giugno, avrà sei anni adesso, ed ha cominciato a frequentare la prima elementare all’inizio di quest’anno. Una caratteristica che lo distingue è di essere l’unico bambino africano che ho conosciuto in quasi quarant’anni – il mio primo viaggio in questo continente ormai risale al luglio 1971 – che non balla, non canta, non suona il tamburo, non batte il tempo in nessun modo. Ma la caratteristica più straordinaria è il sorriso.
Noah ha sorriso trasognato, interrogativo, sorpreso, ma pieno di dolcezza e di comprensione. Che non ti prende in giro, non giudica. E’ impregnato di una sapienza che viene da lontano ed ha una sfumatura di distacco, a volte di scetticismo. Che non ti mette a disagio, anzi, ti fa sentire benvoluto . Sembra che dica, mentre si mette in disparte e guarda gli altri che ballano improvvisando un ritmo su una pentola rovesciata. “ma guarda questi simpatici mattacchioni, chissà perché si divertono a fare sta cosa, comunque sono proprio bravi”. Altre volte si guarda intorno con un sorriso perplesso, come si domandasse “ma io qui, come ci son capitato?”
A. mi ha contagiato, ed ho cominciato a pensare che Noah sia un angelo in incognito. Ma quando ho tentato di fotografare quel suo sorriso più enigmatico di quello della Gioconda non sono mai riuscito a catturarne il mistero. In foto diventa un sorriso qualsiasi. Al contrario delle foto di A., dove si vede ciò che non esiste, le mie non riescono a catturare ciò che è visibile a occhio nudo. Ve ne metto qui sotto una delle tante che gli ho fatto in questi giorni, sempre insoddisfatto per non essere riuscito a cogliere le misteriose e mutevoli qualità del suo sorriso.
La sera, ogni volta che rientro a Lusaka, godo di uno straordinario privilegio; sono l’unico spettatore di uno spettacolo che i bambini di Mthunzi fanno solo per me. Mettono una comoda sedia al centro dello spazio che usano per questo scopo, io mi ci siedo, e tutti vanno in scena. Lo staff non assiste perché ha visto questi spettacoli centinaia di volte. I bambini si scatenano e fanno cose straordinarie. A me sembra sempre che questi spettacoli siano immensamente più belli di quelli che fanno davanti agli altri, perfino di quelli che li ho visti fare in Scozia, durante una delle loro uscite internazionali.
Da quando c’è Noah, il rito cambia, perché anche lui fa lo spettatore. Si siede in terra, davanti a me,e usa i miei stinchi come schienale. Ogni tanto si gira e mi guada in su, con un sorriso che vuol dire “ma ti rendi conto di quanto siano bravi questi miei fratellini?”
In una cosa Noah non assomiglia per niente agli angeli. A tavola mangia fettone di polenta con manciate di pesciolini secchi che a me manderebbero in catalessi. Forse già mentre contemplava il volto di Dio dall’inizio dei tempi, pensava ad una pausa con “pulenta e pesit”, come si usava a Lecco, e adesso che ne ha l’occasione non si tira indietro. Non lo so, non mi faccio domande di spiritualità o di teologia, mi dico solo che – sia un angelo in libera uscita o un bambino con anni di fame arretrata – io ho la responsabilità di nutrirlo. Se è a Mthunzi é perché doveva venire qui.
Ieri notte, dopo lo spettacolo, ho fatto un sogno. Era la fine del mondo, e mentre mi avvicinavo agli angeli incaricati di discernere gli eletti, ho pensato che non fossero molto simpatici, e che poi magari erano fra quelli che si divertivano a giocare a nascondino nelle fotografie di A. Un gioco un pò sciocco, a dir poco. Ho fatto male, perchè evidentemente mi hanno letto nel pensiero, mi hanno afferrato e buttato come un sacco là dove c’è pianto e stridore di denti. Mentre cadevo nel baratro, due manine, odorose di pesce secco, mi hanno afferrato e portato al cospetto di Dio. E Noah, con la sua vocina intercedeva per me “Perdonalo, Padre, è stato davvero per tanti un rompiscatole non da poco, ma con me è stato buono, mi ha dato tante buone cose da mangiare, non dimenticherò mai la sua pulenta e pesit”. E Dio ha sorriso e mi ha preso a riposare nelle Sue Mani.