Sabato scorso la polizia ci ha portato dodici bambini a Ndugu Mdogo Home, a Kerarapon., e due bambine alla Casa di Anita, dopo aver forzatamente chiuso la casa che li ospitava, a una decina di chilometri da noi. Ci hanno raccontato che in quella casa c’erano oltre cento bambini, con camere, cucina e servizi insufficienti, con pochissimo cibo e una routine quotidiana quasi militaresca, i bambini costretti ad ascoltare istruzioni su temi che non capivano. L’assurdo è che molti dei bambini hanno una famiglia normale e avrebbero potuto essere a casa, tanto che il papà di uno dei bambini portati da noi è un piccolo commerciante della zona, benestante secondo tutti gli standard.
Perché allora erano in una casa per bambini di strada? I responsabili della piccola associazione che gestiva la casa, quando si aspettavano la visita di un gruppo di donatori europei, e volevano far vedere di avere la casa piena e di conseguenza aver bisogno di sostanziosi aiuti economici, andavano nelle zone più povere di Ngong e proponevano ai genitori di lasciare che i loro figli partetipasero a un corso, un workshop, di un paio di settimane per i loro figli, il tutto gratuito. Per molte famiglie che fanno fatica a mettere in tavola cibo sufficiente per tutti, la proposta era troppo allettante per poter essere rifiutata. La cosa, sembra, succedeva con regolarità, due o tre volte all’anno. A delegazione partita, i bambini venivano riportati in famiglia, a parte un piccolo gruppo di una decina che era sempre presente nella casa.
Quando sono arrivato da noi erano pulcini impauriti e bagnati. Quella sera pioveva e non avevano nessuna protezione. Il giorno dopo le due bambine e cinque bambini erano già riunificati alla famiglie. Quando ho fatto la foto qui sotto ai sette bambini rimasti, erano già abbastanza integrati e Shirò, la figlia di Anne, responsabile di Ndugu Mdogo Home, era sempre con loro.
Adesso i nostri operatori di strada stano aiutando la polizia a riunificare i bambini alla famiglie, e pensiamo che per fine settimana saranno tutti a casa.
February, 2011:
Erano Sette Bambini Impauriti
Riccardo Muti a Nairobi – Riccardo Muti at Nairobi
Comunicato stampa del Ravenna Festival
Le vie dell’amicizia
Piacenza-Ravenna-Nairobi
É a Sarajevo che, nel 1997, è cominciata l’avventura delle Vie dell’Amicizia, il ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura, divenuto momento irrinunciabile di Ravenna Festival. Oggi, come quindici anni fa, è ancora una chiamata a segnare il cammino del Festival che ora punta al cuore dell’Africa per una grande festa della musica e dello stare insieme che avrà luogo sabato 9 luglio a Nairobi, capitale del Kenya.
Una chiamata arrivata al termine del concerto che Riccardo Muti ha tenuto, con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, poco più di un anno fa al Teatro Municipale di Piacenza a sostegno delle attività di Francesca Lipeti, medico piacentino che opera in Kenya dal 1994, e di Padre ‘Kizito’ Sesana, missionario comboniano in Africa dal 1977 e fondatore delle comunità Koinonia.
In quell’occasione furono presentati a Riccardo Muti un’idea, un sogno: dedicare un concerto alle genti delle baraccopoli cresciute al margine della metropoli di Nairobi con l’intento di sensibilizzare gli animi – grazie al messaggio universale che la grande musica contiene e trasmette senza confini – e portare un segno di tangibile solidarietà e sostegno ad alcuni progetti mirati allo sviluppo ed alla promozione sociale della baraccopoli di Kibera, mai censita nelle sue dimensioni, ma senz’altro la più grande dell’Africa sub-sahariana.
Alla disponibilità immediata di Muti si sono affiancati il Festival di Ravenna e la città di Piacenza (con la collaborazione di Amani, un’associazione laica di cui Padre Kizito è tra i fondatori e il cui impegno è rivolto in particolare alla cura, all’educazione e alla crescita dei bambini più soli in Kenya, Zambia e Sudan), Rai Trade e Rai 1 (che trasmetterà in Italia l’evento) per gettare le basi organizzative del progetto che oggi viene presentato ufficialmente.
Il progetto fin dalle prime fasi organizzative è stato accolto con grande entusiasmo dalla municipalità di Nairobi e reso possibile grazie alla preziosa collaborazione della nostra sede diplomatica in Kenya e dell’Ambasciata della Repubblica del Kenya in Italia.
Una grande festa, aperta a tutti gratuitamente, che la mattina del 9 luglio si svolgerà nella cornice del popolare Uhuru Park (Parco della Libertà) di Nairobi, cuore verde della città, per una scelta che vuole propiziare la partecipazione della popolazione degli sterminati slums che circondano la metropoli. Una festa con e per questa dolente ed umile umanità che, soprattutto nei piccoli e nei più giovani dei suoi componenti, non ha perso la capacità di sorridere ancora alla vita e di sperare in un futuro migliore.
Riccardo Muti dirigerà la Cherubini, a cui si affiancheranno i ragazzi dell’Orchestra Giovanile di Nairobi, con la presenza festante sul palcoscenico della gioventù africana accolta e aiutata dai numerosi missionari italiani (ex bambini di strada provenienti da Kibera e dagli altri slum che si esibiranno con acrobazie, canti e ritmi sulle loro percussioni tradizionali).
Il programma che prevede un’alternanza di sinfonie, arie e duetti del più popolare repertorio italiano sarà concluso dal coro del ‘Va pensiero’ eseguito da oltre 200 giovanissimi allievi delle missioni italiane a Nairobi coordinati da Padre Kizito e da Nino Valerio, ravennate da anni attivo nella metropoli africana per conto dell’Associazione Volontari per il Servizio Internazionale (Avsi).
Un Comitato Promotore dell’evento di solidarietà che affianca il concerto, presieduto dal sindaco di Piacenza Roberto Reggi, sarà costituito al fine di accogliere donazioni da soggetti privati e pubblici di Piacenza e Ravenna dando vita ad un progetto di aiuto concreto: borse di studio per ex bimbi di strada e per giovani meritevoli di proseguire in specifici percorsi formativi; sostegno sanitario per un centro-medico in terra masai, come supporto ad una realtà rurale particolarmente bisognosa di assistenza; risorse e dotazioni logistiche per garantire il funzionamento di un centro di prima accoglienza per bambini nella baraccopoli di Kibera.
Il ponte di amicizia partirà dall’Italia con i due concerti in programma a Piacenza (6 luglio) e Ravenna (7 luglio).
Il Papà di Wanjohi
Wanjohi ha 16 anni e pochi minuti fa abbiamo dovuto dirgli che suo papà é stato trovato morto in strada, al mattino. Non vittima di violenza, piuttosto vittima della vita che conduceva da anni.
La moglie era morta di AIDS da tempo. Con lui, Waweru, la malattia ha avuto un decorso molto più lento, pur senza che facesse nessuna cura, probabilmente solo perché dotato di un fisico più resistente. Lentamente però si è lasciato andare, il banchetto di frutta e verdura che dava da vivere alla piccola famiglia – Wanjohi era l’unico sopravvissuto di tre figli – si é prima ridotto a qualche mucchietto di pomodori e cipolle posati per terra, poi è scomparso del tutto, e Waweru ha cominciato a vagare per Kabiria Road prestando le sue braccia per fare qualche piccolo lavoro, poco più che sufficiente per procurargli da mangiare. Ormai da mesi dormiva in strada, rifiutando ogni aiuto. Poi la malattia ha avuto il sopravvento.
Waweru avrà avuto poco più di 40 anni, apparentemente una vita fallita, eppure c’era una cosa che lo rendeva orgoglioso e felice, e la raccontava sempre a tutti: “mio figlio Wanjohi vive a Kivuli, anzi negli ultimi due anni frequenta la scuola superiore, alla Domus Mariae, e gli insegnanti dicono che è un ragazzo molto bravo e intelligente”. Quando riusciva a mettere da parte qualche spicciolo, magari il corrispondente di un euro in una settimana, lo portava a Wanjohi perché si comprasse qualcosa di più. Era una scena che si svolgeva davanti agli occhi di tutti, quest’uomo che sembrava ormai un vecchio, che aspettava pazientemente il figlio vicino al cancello di Kivuli, e quando lo vedeva rientrare dalla scuola gli metteva in mano qualche soldo.
Adesso, alla notizia della morte del papà, Wanjohi cerca di trattenersi, poi si lascia andare in un pianto da bambino. Io prego che il semplice gesto d’amore del papà gli resti sempre inciso nell’anima.