Nelle scorse settimane l’attenzione internazionale è stata richiamata dal referendum sull’indipendenza del Sud Sudan, un voto storico che corona l’Accordo di pace globale (CPA) firmato nel 2005 dal governo centrale del Sudan e dall’Esercito di liberazione popolare del Sudan/Movimento (SPLM/A) per mettere fine a una lunga guerra civile che ha causato oltre due milioni di morti.
Dai primi risultati sembrerebbe che i sud sudanesi abbiano scelto di separarsi formando un nuovo Stato. Le immagini dei sud sudanesi euforici perché si lasciano finalmente alle spalle un passato di sangue sono state ampiamente diffuse da giornali e televisioni, ma in tutta questa copertura mediatica emerge un vuoto eclatante: la sorte delle popolazioni dei Monti Nuba, una regione schiacciata tra il Nord e il Sud Sudan, che durante la guerra civile ha combattuto dalla parte del Sud.
L’ex presidente dell’SPLM, John Garang, si recò per la prima volta in visita sui Monti Nuba nel dicembre 2002. Incontrò centinaia di delegati all’ombra di un bosco di manghi a Kauda, cittadina nel cuore delle zone liberate dallo SPLA. Motivo della sua visita era partecipare alla All Nuba Conference (Conferenza di tutti i Nuba), istituzione politica democratica unica dei Monti Nuba durante la guerra civile, costituita dai rappresentanti di tutte le comunità Nuba e delle tribù arabe nomadi allo scopo di deliberare su questioni riguardanti la sopravvivenza del popolo Nuba. Yusuf Kuwa, il carismatico leader dei Nuba e alto comandante dello SPLA, aveva convocato per la prima volta la All Nuba Conference nel 1991, dopo che il regime di Khartoum aveva scatenato una repressione senza pietà e una jihad contro i Nuba. Kuwa chiese ai Nuba se volevano continuare la loro rivolta o arrendersi. La risposta collettiva fu a favore della continuazione della ribellione contro Khartoum.
Fu una decisione senza ritorno. Da allora i Nuba hanno appoggiato pienamente lo SPLA e vissuto anni di reinsediamenti coatti, distruzioni, bombardamenti, uccisioni, senza mai vacillare nella loro determinazione di stare con il Sud.
Davanti a quei delegati a Kauda, Garang promise che «lo SPLA non vi deluderà. Qualsiasi accordo raggiungeremo… includerà anche voi». Fu solennemente promesso ai Nuba che sarebbero stati presi in considerazione nell’accordo di pace che si stava allora negoziando a Naivasha. Due giorni dopo le parole di Garang, presi nota del commento di Adam, un vecchio amico Nuba che era rimasto nella sua terra a Kauda: «Ora siamo sicuri. Garang ha parlato. Staremo con il Sud».
Non sarebbe stato così. La promessa solenne non è stata mantenuta. I Nuba – che avevano dato mandato allo SPLA di garantire che durante i negoziati sarebbero stati rispettati i principi di autodeterminazione, equa distribuzione del potere, delle ricchezze e soprattutto della terra e che il loro destino sarebbe stato strettamente legato a quello del Sud – sarebbero andati incontro a un’amara delusione. Quando l’Accordo globale di pace (CPA) fu finalmente firmato a Nairobi, i Nuba scoprirono che non avevano nemmeno ottenuto il diritto di partecipare al referendum sull’indipendenza. Con il CPA, lo SPLA/M accettò il principio che i Monti Nuba, ufficialmente parte dello Stato del Kordofan meridionale, sarebbe rimasto al Nord. La stessa sorte fu decisa per la popolazione del Nilo azzurro meridionale, un altro territorio conteso vicino al confine del Sudan con l’Etiopia. I due territori hanno condiviso la sofferenza degli anni di guerra civile ma sono ora esclusi dal risultato dell’autodeterminazione. È soltanto ad Abyei – piccola area di confine che non ha mostrato alcuna particolare volontà di combattere con il Sud durante la guerra civile – che alla popolazione è stato garantito il diritto di scegliere a chi vuole appartenere. Ma la gente di Abyei gode anche di un vantaggio particolare: la loro terra è ricca di riserve petrolifere.
I Nuba sono la prima popolazione etnicamente e culturalmente africana che si incontra viaggiando verso sud da Khartoum. La loro posizione geografica (con un deserto al Nord e le paludi al Sud) li ha sempre mantenuti isolati e, nei secoli, la loro determinazione a restare ancorati alla propria cultura e religione ancestrale è stato un ostacolo alla diffusione della cultura araba e musulmana nella zona attualmente conosciuta come Sud Sudan. Soltanto all’inizio del secolo scorso sono avvenute alcune irruzioni/incursioni. Tuttavia, fu nei Monti Nuba che, già nel 1965, un prete anglicano Nuba, Philip Ghabbush, formò l’Unione Generale dei Monti Nuba (GUN) e avviò la campagna per l’autodeterminazione.
Alla fine degli anni Ottanta, la leadership dei Nuba passò a Yusuf Kuwa, un uomo più giovane e carismatico, nato in una famiglia musulmana. Dopo diversi tentativi falliti di ottenere una garanzia politica per il riconoscimento dei diritti Nuba – soprattutto il diritto alle terre strappate ai Nuba e assegnate a società e gente di Khartoum per avviare «fattorie meccanizzate» – Kuwa si unì allo SPLM/A nella lotta armata e diventò il punto di riferimento per tutti i Nuba.
Ne derivò una brutale repressione governativa, che rimase inosservata e incontrastata per oltre un decennio. Con l’attenzione internazionale puntata sul conflitto nel Sudan meridionale, Khartoum isolò la regione dal 1991 al 1995. Dal 1991, i Nuba, tagliati fuori perfino dallo SPLA del Sud, combatterono da soli senza rifornimenti, dipendendo unicamente dal supporto locale. Tuttavia, con la leadership di Kuwa e nel bel mezzo di una carestia di tre anni, istituirono un’amministrazione civile operativa e un sistema giudiziario che integrava la legge tradizionale. Kuwa sostenne fermamente la tolleranza religiosa e sotto la sua leadership i Nuba non hanno mai conosciuto i conflitti intertribali che hanno invece sconvolto lo SPLA in altre zone del Sud. Ma tutti questi risultati non hanno sempre giocato a favore di Kuwa. Molti leader del Sud erano chiaramente infastiditi dalla crescente popolarità che aveva raggiunto prima di morire nel marzo 2001.
Al suo culmine, la guerra civile sui Monti Nuba non fu un semplice conflitto per sconfiggere i ribelli che avevano importato la ribellione dello SPLA dal Sud “Africano” al Nord “Arabo”. Come ha osservato Julie Flint, giornalista inglese e prima outsider a visitare i Nuba nel 1995, «si è trattato di un programma di ingegneria sociale per spostare l’intera popolazione dalle aree in rivolta in campi che avrebbero cancellato l’identità Nuba. Agli inizi degli anni Novanta, l’esercito e le milizie paramilitari delle Forze di difesa popolare (PDF) hanno ucciso tra i 60 e i 70 mila Nuba in appena sette mesi. Massicce offensive militari sono state condotte nel nome della jihad. È stato negato l’accesso agli aiuti umanitari. Leader di comunità, gente istruita e intellettuali sono stati arrestati e uccisi per fare in modo che i Nuba non avessero più voce per denunciare la loro situazione».
Migliaia di giovani Nuba sono partiti per il Sud, mettendo a rischio la propria vita, per combattere nelle forze dello SPLA. Il loro contributo al lungo conflitto in corso non è sempre stato pienamente riconosciuto. Ora, con l’imminente proclamazione dell’indipendenza del Sud, i Nuba si ritroveranno isolati nel Nord Sudan, sotto un governo che appena pochi anni fa intraprese azioni genocide contro di loro e potrebbero non ricevere alcun aiuto dal Sud. «Ancora una volta – mi racconta uno sconsolato Nuba – siamo stati trattati come merce di scambio nel confronto tra Juba e Khartoum». La prospettiva che il presidente del Nord Sudan possa diventare ancora più intollerante in campo religioso fino al punto di applicare la sharia non è un buon auspicio per un futuro democratico e rappresenta una grave minaccia per le decine di migliaia di Nuba convertiti al cristianesimo. Anche i resoconti degli spostamenti militari non sono positivi: fonti molto attendibili riportano che la presenza militare nel Kordofan meridionale è aumentata con truppe pesanti passate da 15 a 45 mila uomini, la maggior parte dei quali dislocati lungo la linea di confine della parte più meridionale dei Monti Nuba – e dello Stato del Nord – con il Sud.
Oggi, mentre i Nuba si uniscono ai loro fratelli e sorelle dei Sud nel celebrare la nascita di una nuova nazione, il loro destino è molto incerto. Un rapporto del 2008 del Gruppo internazionale di crisi ha parlato dei Monti Nuba come del «prossimo Darfur», a causa della loro marginalizzazione, dell’incertezza politica e della potenzialità di scoppio di un conflitto. Quello che il CPA prevede per i Nuba e per l’area del Nilo azzurro meridionale nell’immediato futuro dipende da quelle che vengono denominate «consultazioni popolari». La separazione tra Nord e Sud Sudan sarà completata entro il 9 luglio di quest’anno; una consultazione popolare dovrebbe avere luogo prima di quella data per determinare il destino dei Nuba. I termini di questa consultazione non sono molto chiari nel CPA: secondo l’interpretazione comune, ci saranno elezioni governative e parlamentari nel maggio o giugno 2011, e i leader eletti indicheranno la strada da percorrere in seguito. Se il nuovo governatore e la maggioranza dei parlamentari locali vengono dal ramo dello SPLM nei Monti Nuba, ci sarà la vaga possibilità che possano indire un referendum per chiedere ai Nuba se vogliono staccarsi con il Sud o restare nel Nord. Altrimenti, la partita è conclusa e i Nuba, in un prevedibile futuro, resteranno parte del Nord. E data la loro situazione di marginalizzazione, la possibilità di elezioni manipolate dal Nord è estremamente alta.
Si può solo sperare che la volontà di pace e riconciliazione prevalga anche nel Nord e che il regime di Khartoum, avendo imparato la lezione dal lungo conflitto nel Sud e nel Darfur, si impegni ad affrontare le questioni da lungo tempo irrisolte alla base della battaglia dei Nuba: per prima cosa, il riconoscimento della dignità dei Nuba e il loro diritto a godere di un certo grado di autonomia nell’amministrazione della loro area; in secondo luogo, la depredazione delle risorse naturali e la politica di arabizzazione e islamizzazione insieme al tentativo concreto di sradicare la cultura indigena Nuba.