Fabrizio mi ha mandato un’approfondimento delle sue riflessioni sul senso di visitare gli slums, e gli ho chiesto il permesso di riproporlo nel blog. Come suo solito dice cose molto vere, da angoli diversi. Il suo invito finale di continuare un dialogo su questo tema fra le persone che Amani – ed io aggiungo anche Koinonia – hanno portato a visitare Kibera e altri slums in questi ultimi anni mi sembra molto opportuno. Abbiamo messo semi per un vero incontro fra persone e culture?
Caro Kizito,
sono diversi gli interrogativi che mi pongo in seguito alla lettura dell’articolo di Kennedy, le riflessioni sono molte e portano a risposte contraddittorie. In primis ricordo le tue parole che ricorrevano e i tuoi racconti ai gruppi di visitatori che passavano da Kivuli:”ascolta, ascolta, non giudicare…”. Il racconto divenuto per me un classico dell’italiano che appena uscito dall’aeroporto aveva già due o tre cose da suggerire per arrivare dopo mezz’ora a Kivuli con un piano di azioni da fare e che non si capiva come fin’ora nessuno ci avesse pensato. Inevitabile associare questo tuo discorso alla parola che più ricorre nei testi biblici shema, ascolta.
Quindi la domanda e’ le esperienze in Africa cosa lasciano? Da un lato capita, come mi era successo nel 1996, che si vivono situazioni così sconvolgenti che intimamente ci si pone al di sopra degli altri si pensa di essere migliori perché ciò che si e’ vissuto è stato più importante di quello che vivono gli altri. Come se l’essere stato in una baraccopoli sia, in una improbabile classifica, più stimabile dell’accudire i figli, del sostenere una famiglia, del fare con attenzione il proprio lavoro… insomma si giudicano gli altri in modo superficiale.
In fondo un po’ lo fa anche Kennedy perché anche pochi minuti o lo scatto di una fotografia che richiama il ricordo di una visita potrebbe successivamente stimolare grandi cambiamenti viceversa un viaggio più approfondito potrebbe far sentire la persona al pieno senza più bisogno di interrogarsi perché ormai sa già tutto.
Quanto a Kennedy che cosa è che gli da fastidio? Il fatto che non si lasci l’obolo? Da fastidio il sentirsi osservati, fotografati? Ricordo che al gruppo del Mukuru dava fastidio il primo aspetto, passava gente, gruppi, funzionari, vedevano, visitavano, fotografano e a loro di tutto questo via, vai non restava niente. Per il secondo aspetto anche a me non fa piacere essere fotografato se mi sento identificato negativamente, ma alla fine penso che la gente a Kibera abbia già così tanti problemi che non faccia molto caso.
C’è poi il rischio di un consumismo dell’esperienza, della visita fugace ed e’ vero che chi passa in questi luoghi per poche ore scrive un articolo, chi ci sta una settimana ne tira fuori un libro e chi ci sta vent’anni produce a stento qualche riga. Tuttavia, non e’ forse neanche solo un fattore di tempo, ma dipende dal desiderio e dall’attenzione, dal lasciarsi interrogare, dal non avere gia’ la risposta, dal saper scendere dall’ardita struttura delle proprie idee, teorie, abitudini, farsi vicino sia in senso fisico, ma anche direi culturale.
Ricordo che un giornalista di primo piano durante un incontro in una baraccopoli ai tempi del social forum disse alla gente che lui, a differenza dei suoi connazionali, aveva avuto la possibilita’ di vergognarsi. Quindi pochi minuti per una riflessione importante.
Le contraddizioni sono molte. Un amico, ad esempio, mi racconta che molte persone che visitano gli slum di Nairobi non conoscono le periferie delle proprie citta’ questa e’ certo una contraddizione pero’ a volte, come spiega Levi-Strauss, e’ necessario guardare lontano per vedere vicino.
Ricordo, infine, le riflessioni di Gino Filippini ai giovani di passaggio nel periodo estivo: «non preoccuparti di cosa potresti fare..aspetta, ascolta, siediti, guarda, interroga, renditi conto, fatti delle domande… se tu fai questo per un mese, andrai a casa e ne sarai molto arricchito. Il “che fare” verrà la prossima volta. Questa esperienza sarà come un germe dentro di te e se tu lo coltivi produrrà qualche cosa, ma non avere la preoccupazione all’inizio di dire “cosa vengo a fare?”. E così per molte altre persone che vengono “…ah mi piacerebbe venire a fare qualcosa, come posso essere utile?” La prima cosa, se vuoi stare qui per lavorare, è che tu ascolti poi vediamo cosa si può fare, se è il terreno giusto per te oppure no».
Non so, mi pare che varrebbe la pena, cogliere l’occasione di questo articolo per fare una riflessione sui campi che noi come Amani proponiamo, interpellare i campisti che hanno vissuto queste esperienze e vedere a distanza di anni cosa e’ rimasto, cosa ha portato.
Un caro saluto
Fabrizio
August 24th, 2010:
Ascolto e Rispetto, per un Incontro Vero
Mthunzi Festival
Ieri il Mthunzi Cultural Festival é stato un grande successo, con 22 gruppi partecipanti. In tutte le categorie ha stravinto il gruppo della parrocchia di Lilanda, accompagnati dal comboniano padre Carlos. Però non mi è venuta bene neanche una foto del loro gruppo, quindi metto una foto di Yama, del Mthunzi Cultural Group, che comunque è stato il danzatore più applaudito.