Qualche giorno fa a Lusaka ho incontrato un bambino che si chiama Njira, che in chinyanja vuol dire strada. Un nome che evidentemente la madre – e non è difficile immaginare che “mestiere” facesse – gli ha dato come fosse un programma di vita. Eravamo nel grande mercato all’aperto, e lui era con una banda subito riconoscibile come bambini di strada, vestiti di stracci e con in spalla un sacco dove mettere il cibo scartato dalle bancarelle, o rubacchiato. Mi ha visto da lontano, e si è diretto subito verso di me, mentre io fingevo di ignorarlo, Mi ha toccato leggermente il braccio e quando è stato sicuro di avere la mia attenzione mi ha detto con voce sicura: “Mi chiamo Njira, vorrei venire a stare a Mthunzi, la tua casa, come loro”, indicando i due ragazzini che mi accompagnavano.
Ho pensato: “Ma chi lo ha imbeccato, chi gli ha detto di Mthunzi, magari la mamma o un parente che si vuole disfare di lui e lo vuole affibbiare a noi? E perchè lui solo di tutta la banda?”. Ma poi Njira ha alzato gli occhi e mi ha guardato in modo diretto e disarmante, un sorriso timoroso che diventava sempre più serio negli attimi in cui è durata la mia esitazione. Qualunque sia la ragione che lo ha spinto ad avvicinarmi in quel modo, è chiaro che lui ha bisogno di una soluzione alternativa alla tremenda vita di strada.
Faccio un calcolo veloce: si, è vero, con gli educatori di Mthunzi ci eravamo prefissi di non accettare altri ospiti se non all’inizio del prossimo anno scolastico, in gennaio, ma vuoi che non possiamo aggiungere un posto a tavola per questo bimbo di forse dieci anni che mi guarda con tanta fiducia e che mangerà come un uccellino? Stasera ci sarà tempo per ascoltare la sua storia, e domani gli operatori sociali potranno cercare di raggiungere la sua famiglia, se esiste, e di verificare la veridicità della sua auto presentazione ed eventualmente ne chiederanno l’affido legale alla nostra casa. Ma adesso non c’è tempo di fare tutto questo.
E poi domani, o il prossimo mese, chi ritroverà più Njira nella confusione del mercato di Lusaka?. Lui è il mio prossimo, quello che Dio mi fa incontrare qui e adesso, così prossimo che sento l’odore del corpicino che non si lava da parecchi giorni. Non posso nascondermi dietro il fatto che senza dubbio ai primi di gennaio di bambini di strada purtroppo ne troveremo a decine, senza difficoltà. Lui è qui, adesso, ed ha una richiesta precisa. Njira mi guarda preoccupato, ha percepito l’esitazione che mi è passata dentro. Ma poi gli basta un cenno per capire di essere stato accettato e corre a sistemarsi insieme agli altri nel furgoncino, tra il variopinto e odoroso carico di banane, cavoli, carote, “carne di soia”, pesciolini secchi e mezza tonnellata di farina da polenta: E via tutti insieme sulla strada accidentata che ci porta a Mthunzi.
Quale storia si porta nel cuore questo piccolo? Riuscirà a socializzare con gli altri, a piegarsi alla disciplina richiesta dalla scuola, a guardare al futuro come ad un’opportunità e non con paura? È solo uno dei milioni di bimbi africani che vivono in strada. Ma anche una persona umana unica. Anche in lui, come in ogni persona umana, si focalizza tutto il piano di Dio, tutta la Storia Sacra, tutto l’amore che Dio ha per noi, tutto lo slancio verso la trascendenza di tutta l’umanità, con una limpidezza e con una freschezza uniche ed irripetibili. Lo guardo nello specchietto retrovisore, se ne accorge e mi offre un timido sorriso. Mi sta leggendo i pensieri ed ha capito tutto, molto meglio di me.
Arriviamo nel cortile di Mthunzi e appena annucio ai pochi ragazzi che non sono a scuola perché hanno già finito gli esami che è arrivato un nuovo amico gli offrono una festosa accoglienza, se lo contendono perché stia nel loro dormitorio. Vincono quelli del dormitorio di Crispino perché il furbo Crispino gli mette in mano uno dei primi manghi maturi di questa stagione.
Come cercheremo di educare Njira? E’ la tremenda responsabilità che si ripropone ogni volta che ci troviamo di fronte ad un nuovo bambino che Dio in qualche modo ci manda. L’ Africa vive in bilico fra tradizione e modernità e noi educatori siamo abbiamo il difficile compito di guidare questi ragazzi in un cammino che li aiuti a superare i limiti della tradizione africana senza che cadano negli eccessi della modernità. Eppure essi sono attratti dalla modernità e da tutte le cose facili che essa offre. Ma l’ultima cosa che vorrei, sarebbe di fare di questi bambini dei piccoli europei, dei figli che imitano senza senso critico gli aspetti più deteriori della modernità, l’arricchirsi senza limiti, il carrierismo, il desiderio sfrenato di apparire, l’arroganza, l’individualismo ignorante e volgare. Devo riuscire a far crescere in loro i semi della solidarietà, il gusto dei legami comunitari che già hanno nel cuore e che fanno parte della loro tradizione più genuina.
Idealmente vorrei che questi bambini crescessero come persone mature e capaci di fare le loro libere scelte. Ma dare contenuti educativi a queste parole non è facile. Che tipo di educazione scolastica è più adeguata per ciascuno di loro? Quali valori coltivare? Ci vuole vicinanza quotidiana, rispetto, attenzione, sofferenza condivisa, per poter avere il privilegio di crescere insieme a questi ragazzi.
Guardo Njira che è appena tornato da un giro di ispezione della casa e dell’orto, e mi risponde ancora con un sorriso fiducioso. Vorrei che il nome di Njira non indicasse più un destino inevitabile di povertà, di accattonaggio, di piccola delinquenza sulla strada, ma indicasse un punto di partenza verso il futuro, una strada dove non ci sono limiti all’avventura della vita che lo aspetta. Come la strada del ritorno dall’esilio in Egitto, quella dalla Galilea a Gerusalemme, quella che va verso Emmaus e quella per Damasco. Quella da Lusaka a Mthunzi. La strada di una vita non priva di sofferenze e di drammi, ma piena e dignitosa.
Nei mesi trascorsi sono stato oggetto di accuse infami, che mi hanno ferito profondamente perchè hanno toccato la mia ricchezza più grande, la relazione franca e aperta coi giovani e coi bambini di Nairobi, di Lusaka, dei Monti Nuba. La stada è diventata difficile, lo è ancora, pur se le accuse si sono dimostrate infondate. Njira è un segno che si può ricominciare a camminare.
Continuiamo l’Avvento, avviamoci verso Bethlemme. Riprendiamo a camminare insieme a questi bambini feriti, fermandoci ogni tanto a prendere quelli che si sono troppo stanchi e si sono seduti ai margini della strada.
Caro Padre Kizito, d’impulso mi è venuto da dire “bellissimo”, le sue parole mi sono entrate dentro per dare un senso a quello che anche noi stiamo facendo per i bambini di Kapenguria, per superare i momenti di difficoltà. Siamo tornati a fine novembre dal Kenya e i lavori alla cucina della scuola sono quasi finiti, un segno della strada che stiamo percorrendo a favore dei più piccoli.
Buon Natale.
Possa la STRADA alzarsi per incontrarti.
Possa il vento essere sempre alle tue spalle.
Possa il sole splendere caldo sul tuo volto,
e la pioggia cadere leggera sui tuoi campi.
E finchè ci incontreremo di nuovo
Possa Dio tenerti sul palmo della sua mano.
questa è la più bella immagine di “strada” che io conosco
e come dici tu sarebbe bellissimo che nella mente di Tutti la “strada” assumesse questa visione di strada da percorrere: strada che sa di futuro e di Amore.
BUON NATALE
Caro Kizito,
la strada nella quale hai incontrato Njira mi tocca il cuore; vorrei tanto esserti vicino per provare la gioia del Vangelo che continua a traversare i tuoi passi.
A mia volta sto anch’io camminando su una strada sulla quale il Signore mi ha posto e chiedo che il Signore accresca la mia fede e mi faccia sentire un po’ della gioia che ha in serbo per ciascuno di noi.
Un abbraccio
don Tommaso
Padre Kizito, quanto tempo è trascorso senza poterci scambiare una parola. Ma il pensiero è sempre stato con Te.
Un Natale gioioso per i tuoi bimbi, per i tuoi ragazzi, per tutte le persone per le quali da sempre ti adoperi.
Ma soprattutto Buon Natale a Te, con tutto l’affetto del nostro cuore
laura, roberto e claudia
E’ sempre bello leggerti. Una preghiera per te e per i tuoi bambini. E per me, perche’ il Signore possa rendere chiaro cio’ che mi chiede. Virginia
COME UNA LUCE NEL BUIO DELLA STRADA…