“Stai facendo il pieno del calore umano di Mthunzi?” mi chiede Mauro, volontario di Amani. E’ per me l’ultima serata a Lusaka, domattina rientro a Nairobi. E’ appena finita una giornata di festa, con la partecipazione di gruppi giovanili di teatro, danza e canto di tutta la nostra zona. I premi sono stati distribuiti, gli ultimi ospiti sono partiti, i ragazzi di Mthunzi stanno ripulendo il grande cortile messo a dura prova dall’invasione. Butto giù qualche nota, scambio qualche battuta con chi passa vicino. I più piccoli vengono a strappare una carezza. L’atmosfera di pace e affetto è palpabile.
In tutte le attività di Koinonia in Kenya e Zambia la presenza di volontari, anche solo volontari per un giorno, è servita per far tornare la normalità , almeno nella la vita dei bambini. A conti fatti, nonostante la brutta storia di cui ho scritto, nessuno ha perso un giorno di scuola o saltato un pasto – a parte i due minori che sono stati costretti dalle loro mamme, pagate per questo, a denunciarmi, per poi ritrattare tutto. Sono quelli che in questa storia hanno sofferto di più. Ormai da oltre un mese siamo nel più prosaico, e benedetto, trantran quotidiano: il maestro che ci informa che un bambino o bambina ha bigiato la scuola, la mamma che viene e chiedere aiuto perchè non riesce a pagare l’affitto mensile di 15 euro, lo studente che ti vuol vendere qualche batik per pagarsi le tasse scolastiche, gli Yassets che vengono espulsi dal campionato perché non sono riusciti a raccogliere i soldi per le trasferte.
I primi amici ad arrivare sono stati a metà luglio gli scozzesi a Lusaka, e poi a Nairobi gli studenti di un’università americana, seguiti da un gruppo parrocchiale di Sant’Arcangelo di Romagna, venti giovani alla loro prima esperienza d’Africa guidati da don Mirko. Poi i sedici scout da Agugliano, il gruppone de La Goccia a Tone la Maji e infine la pacifica invasione di Amani, sia a Nairobi che a Lusaka. Dappertutto i nostri bambini li hanno presi in carico ed hanno incominciato ad insegnar loro i veri valori della vita, trovando quasi sempre degli studenti volonterosi, anche se sorpresi dall’inversione dei ruoli. Gli impegni di ogni giorno hanno aiutato un pò tutti a superare le brutte vicende degli ultimi tre mesi.
Ma non possiamo illuderci. Particolarmente io non posso pensare che i problemi siano terminati. Un dottore tedesco, che ha fondato una famosa organizzazione di intervento umanitario ai tempi dei “boat people”, dopo aver saputo delle accuse contro di me, me lo ha ricordato, scrivendomi “sta attento, ho avuto delle accuse simili anni fa, ed ho imparato che i malvagi hanno una fantasia fertilissima, e che il male ha sette vite, come i gatti”. Il fatto che la polizia a Nairobi mi abbia restituito gli oggetti che aveva prelevato come “prove” dalla mia stanza – cosa poi volessero provare con un proiettore video, una vecchia macchina fotografica a pellicola, alcuni vecchi DVD sulle nostre attività a Nairobi e di cartoni animati per bambini non l’ho mai capito – indicherebbe che il caso è già formalmente chiuso. Ma mi preoccupa il fatto che non ci sia stata ancora una dichiarazione ufficiale e pubblica. Dicono sempre che è una questione di pochi giorni…
John è stato ospite di Kivuli e poi nel 2005, a 18 anni, è tornato a vivere con la mamma, che con l’aiuto del microcredito era riuscita pure ad avviare un piccolo commercio. Ma la vita non è mai facile a Kawangware. La mamma si è ritrovata sieropositiva e John è andato in affanno, non riusca a trovare lavoro fisso, a pagare l’affitto… e tutto è precipitato in poco tempo. Prima che partissi per Lusaka un gruppo del Kobwa (Koinonia Old Beneficiaries Welfare Association, l’associazione composta dai nostri ex ragazzi per continuare a darsi una mano nel dopo-Kivuli), mi ha detto che dovevo incontrare John, preavvertendomi di non impressionarmi per quello che mi avrebbe raccontato. Cosi John mi ha chiesto un aiuto per superar la “droga”: ogni mattina beve e sniffa un mezzo bicchiere di benzina per avere il coraggio di affrontare l’unico lavoro che ha trovato, svuotare il pozzo nero di un piccolo ma affollatissimo nucleo di casupole. Per due o tre ore carica carriolate di cacca che poi svuota, illegalmente, in quello che una volta era un torrente, a duecento metri di distanza. Per questo veniva pagato dall’associazione dei residenti 50 scellini al giorno, cioè circa 46 centesimi di euro. Unica entrata giornaliera sicura. Siamo adesso riusciti a trovargli un lavoro in cui prende 150 scellini al giorno, che sopratutto ha il vantaggio di essere meno nauseante. Abbiamo anche suggerito ai residenti di costruirsi un gabinetto comune decente, che non costringano qualcun altro allo stesso lavoro. Ho raccontato questo episodio ai ragazzi di Mthunzi, suggerendo che anche a Lusaka i tempi sono maturi per costituire un’associazione come Kobwa, perchè possano sostenersi reciprocamente quando ci sono difficoltà di reinserimento.
Coi ragazzi di Mthunzi abbiamo anche incominciato a programmare di riprendere il “lavoro di strada” per identificare una decina o quindicina di bambini più vulnerabili da invitare a venire a stare a Mthunzi incominciando da Natale. La risposta è stata fin troppo entusiasta, tutti quelli che hanno più di 18 anni vogliono essere coinvolti e la prossima volta che torno dovrò fare con loro un workshop per stabilire insieme i criteri di ammisione per i nuovi fratellini.
Insomma, ricominciamo insieme a guardare avanti. Guai a noi se ci fermassimo a piangere sulle nostre sventure, perdendo l’entusiasmo di affrontare nuove sfide. L’idea che possiamo costruire un futuro migliore radicandoci e imparando dal passato è nella nostra visone cristiana, fondata sul perdono e sulla resurrezione. Magari altri se ne sono appropriati e ce l’hanno rivenduta come fede cieca nella crescita (soprattutto economica) illimitata, o come certezza che il sol d’avvenire era ormai dietro l’angolo, bastava solo qualche riforma e eliminare qualche controrivoluzionario. Le cose, ovviamente, sono ben più complicate e difficili, i tempi più lungi. Le disavventure non ci devono togliere il sorriso, e ci devono far capire di non prenderci troppo sul serio. Siamo solo dei collaboratori nella costruzione del Regno di Dio, che va avanti anche quando noi siamo in difficoltà .
anche a me (e credo anche agli altri amici lontani ma vicini), leggendo delle esperienze in corso dei gruppi di giovani di Amani ed altri a Lusaka e Nairobi, sembra di essere presenti e di “fare il pieno di calore umano”.
Per quel che ti (ci) aspetta in futuro condivido il consiglio del dottore tedesco di “stare attento, che il male ha sette vite, come i gatti”, ma sono sicuro che saprai (sapremo) come riorganizzare le varie attività , con la cooperazione ed il diretto coinvolgimento di tutti i veri amici, in modo da far fuggire a gambe levate tutti i “gatti dalle sette vite” di questo mondo.
Toni
Ho letto e sofferto di quanto è accaduto, ma sono felice di sapere che lo scoglio è stato superato e i progetti e la felicità che portano continuino nonostante la prova dolorosa a cui sono stati sottoposti.
Ti ringrazio di condividere via blog quello che succede ogni giorno nelle oasi di solidarietà che hai creato.. anche se arrivano dall’altra parte del mondo, i tuoi racconti aiutano anche qui in Italia a dare una prospettiva alla vita quotidiana.
Elena Rossi
Padre le scrivo per ringraziarla ancora infinitamente per l’accoglienza ricevuta nel brevissimo tempo in cui siamo stati insieme.
Mentre leggo il suo blog la mia videocamera sta scaricando un pò delle immagini “rubate” a Nairobi.
Ci sono le ragazze di Anita che mi salutano, felici sulle NgongHill e mi rendo conto che è semplicemente difficile esprimere quello che abbiamo raccolto noi del gruppo di Santarcangelo con i suoi ragazzi.
E’ roba rara, unica.
Nel nostro piccolo, con i nostri 15gg, speriamo di aver contribuito a riportare quell’atmosfera di festa e accoglienza che avete nel cuore e che gli ultimi mesi avevano provato ad incrinare.
Vi pensiamo sempre.
Carissimo Renato,
questo messaggio del tuo blog mi ravviva la speranza che tutto ormai volga a buon fine, anche se condivido la cautela suggerita dal dottore tedesco.
Comunque mi rasserena anche davanti alle mie difficoltà quotidiane, in questo momento di relativa quiete prima della ripresa di settembre. Non ho mai cessato di innalzare la mia preghiera a Nostro Signore per te, per tutte le persone care che ho conosciuto da te. Ti prego di pregare anche per me, mio carissimo amico e fratello.
don Tommaso