Una vita in Africa – A life in Africa Rotating Header Image

August, 2009:

E Adesso?

Nel suo testamento spirituale, Don Lorenzo Milani si diceva sicuro che Dio lo avrebbe perdonato anche se qualche volta aveva corso il rischio di avere voluto più bene ai suoi ragazzi che a Lui. Quell’affermazione mi colpì. Poi, nel corso degli anni, quando ho cercato di fare alcune cose, cercando magari maldestramente di imitare Don Milani, mi sono reso conto di quanto questo rischio sia autentico.

Per questa ragione la brutta storia, che sembra finalmente conclusa, mi ha ferito profondamente. Perché mi ha toccato in quei rapporti umani con i bambini e i giovani con i quali ho lavorato negli ultimi vent’anni, rapporti che considero la mia ricchezza più grande. Il fatto che dovunque vada, a Nairobi, come a Lusaka, o sui Monti Nuba, sempre incontro giovani e bambini che mi accostano con fiducia e mi parlano della loro vita, dà un senso alla mia vita.

Le accuse di cui sono stato oggetto miravano a impedirmi di ritornare in Africa, così da consentire ai miei accusatori di impossessarsi delle strutture che, dalla fine degli anni ’80 ad oggi, Koinonia ha costruito al servizio dei poveri. Per far ciò si è cercato di distruggere proprio questo rapporto con la gente e con coloro che sono stati il centro e la ragione del mio, del nostro lavoro in quanto Koinonia. Per me lo scrivere, l’insegnare e tutte le altre attività di animazione e di promozione umana, che magari all’inizio avevano un loro significato, nel corso degli anni sono diventati importanti solo in funzione del servizio ai bambini e ai giovani che si accostano alle tante attività che Koinonia ha avviato per loro.

Cosa cambia adesso? È troppo presto per dirlo. Ci sono ancora alcuni passi difficili da affrontare. Ci sono due querele contro di me, contro i missionari Comboniani e l’arcidiocesi di Nairobi. Sono basate su accuse false e per le quali ovviamente non ci sono prove: probabilmente, dopo la dichiarazione del portavoce della polizia, saranno ritirate. Ma la giustizia umana è sempre passibile di forzature. Un altro passo sarà il decidere se e come querelare le persone e le istituzioni che hanno fatto questo gioco e che certamente avevano, e probabilmente ancora hanno, coperture importanti.

In tutta questa vicenda, per me pesantissima, ho avuto un sostegno fondamentale dalla solidarietà espressami da moltissimi – tanti amici ma anche tante persone che non conosco personalmente – attraverso appelli pubblici, lettere, telefonate, e con la preghiera. Particolarmente vicini mi sono stati i confratelli e i confratelli keniani, che mi hanno protetto e difeso, esponendosi in prima persona..

Cambierà qualcosa nelle mie attività e nel mio modo di vivere in Africa? Ancora non so rispondermi. Io vorrei continuare a migliorare il mio rapporto con tutti coloro che mi stanno intorno, ma mi accorgo che i fatti recenti mi hanno lasciato dei segni negativi. Spero di continuare a crescere e superare tutto positivamente. E che Dio continui a donarmi la pace e la forza interiore, che mi hanno sostenuto in questi mesi.

Custode di mio Fratello – My brother’s Keeper

Il seguente testo è stato scritto da Padre John Webootsa, Comboniano keniano, per il prossimo numero di New People (Sept. – Oct. 2009), dove ha una rubrica. Padre John ha generosamente combattuto al mio fianco in questo periodo per me diffiicle, e gliene sono molto grato.

Voglio condividere con voi un’esperienza che è stata una prova della mia solidarietà fraterna con un confratello. La sera del 15 giugno 2009 un amico mi chiamò avvertendomi che in una delle notizie del più importante telegiornale serale della stazione televisiva KTN avevano parlato di abusi sessuali su bambini delle case di Koinonia che erano stati commessi da padre Kizito Renato Sesana. La solidarietà fraterna mi ha imposto di interessarmi al caso.
Immediatamente dopo, senza praticare seri sforzi di giornalismo investigativo, la maggior parte degli altri media si è buttata sulla notizia, senza pensare alla conseguenze. Cosi la notizia è stata presentata da un gruppo di individui che esibiva alcuni bambini che sarebbero stati abusati da padre Kizito e che accusavano il padre di questo. Un’ esaustiva indagine della polizia invece ha assolto padre Kizito da ogni accusa di abusi sessuali su bambini, nelle sue funzioni di responsabile di Koinonia.
I risultati delle indagini mettono in discussione le motivazioni di chi ha architettato le accuse e degli operatori mediatici che sono stati strumentali nel promuovere le “false cattive notizie” che sono arrivate a diventare titoli in molti mass media. Si possono mettere in discussione anche le motivazioni e la sincerità di legislatori come Bonny Khalwale e Millie Odhiambo che hanno divulgato queste accuse prima di fare una ricerca seria per stabilire le verità, e anche la motivazione di accuse portate contro una persona che ha servito in questo paese per più di vent’anni senza mai approfittare di nessuno sotto la sua responsabilità.
L’innocenza di padre Kizito viene subito dopo una denuncia sporta da due ex-responsabili di Koinonia, che in un loro”affidavit” usano le accuse per chiedere che l’Alta Corte impedisca a padre Kizito non solo di gestire l’istituzione che ha fondato, ma anche di accedere e di gestire i fondi che sono nel conto bancario dell’istituzione stessa. Ironicamente, i fondi per mantenere l’istituzione cosi come quelli che sono serviti a costruire le case e a comperare i terreni, sono stati offerti esclusivamente dai benefattori di padre Kizito, alcuni dei quale hanno creduto o erano sul punto di credere alla truffa.
Il portaparola della Polizia, Eric Kiraithe, è stato molto coinvolto nello sforzo di stabilire la verità. Secondo lui la polizia fin dallo scoppio delle sensazionalistiche accuse contro il padre ha condotto intense e comprensive indagini circa le serissime e altamente diffamatorie accuse e ha rilasciato i risultati. La polizia lo ha trovato innocente. Adesso resta da stabilire quali fossero i motivi nascosti dietro l’orchestrazione di questa sensazionale saga che si è rivelata una grande frode mediatica.
Kiraithe ha dichiarato: “Le indagini condotte circa le accuse di abusi sessuali commessi da padre Kizito sono adesso complete e i miei ufficiali non hanno trovato nessuna evidenza che lo implichi in nessuna condotta impropria, direttamente o indirettamente, anche remotamente….Niente.”
Secondo l’ etica professionale dei giornalisti com’è codificata nel Media Act del 2007, quando ci sono accuse simili contro chiunque, senza discriminazioni per lo status sociale, sarebbe stato dovere del giornalista e dell’editore assicurarsi che la persona accusata fosse informata e avesse il diritto di replica prima di rendere la storia pubblica. E’ stato fatto?

Benedetto Trantran

“Stai facendo il pieno del calore umano di Mthunzi?” mi chiede Mauro, volontario di Amani. E’ per me l’ultima serata a Lusaka, domattina rientro a Nairobi. E’ appena finita una giornata di festa, con la partecipazione di gruppi giovanili di teatro, danza e canto di tutta la nostra zona. I premi sono stati distribuiti, gli ultimi ospiti sono partiti, i ragazzi di Mthunzi stanno ripulendo il grande cortile messo a dura prova dall’invasione. Butto giù qualche nota, scambio qualche battuta con chi passa vicino. I più piccoli vengono a strappare una carezza. L’atmosfera di pace e affetto è palpabile.

In tutte le attività di Koinonia in Kenya e Zambia la presenza di volontari, anche solo volontari per un giorno, è servita per far tornare la normalità, almeno nella la vita dei bambini. A conti fatti, nonostante la brutta storia di cui ho scritto, nessuno ha perso un giorno di scuola o saltato un pasto – a parte i due minori che sono stati costretti dalle loro mamme, pagate per questo, a denunciarmi, per poi ritrattare tutto. Sono quelli che in questa storia hanno sofferto di più. Ormai da oltre un mese siamo nel più prosaico, e benedetto, trantran quotidiano: il maestro che ci informa che un bambino o bambina ha bigiato la scuola, la mamma che viene e chiedere aiuto perchè non riesce a pagare l’affitto mensile di 15 euro, lo studente che ti vuol vendere qualche batik per pagarsi le tasse scolastiche, gli Yassets che vengono espulsi dal campionato perché non sono riusciti a raccogliere i soldi per le trasferte.

I primi amici ad arrivare sono stati a metà luglio gli scozzesi a Lusaka, e poi a Nairobi gli studenti di un’università americana, seguiti da un gruppo parrocchiale di Sant’Arcangelo di Romagna, venti giovani alla loro prima esperienza d’Africa guidati da don Mirko. Poi i sedici scout da Agugliano, il gruppone de La Goccia a Tone la Maji e infine la pacifica invasione di Amani, sia a Nairobi che a Lusaka. Dappertutto i nostri bambini li hanno presi in carico ed hanno incominciato ad insegnar loro i veri valori della vita, trovando quasi sempre degli studenti volonterosi, anche se sorpresi dall’inversione dei ruoli. Gli impegni di ogni giorno hanno aiutato un pò tutti a superare le brutte vicende degli ultimi tre mesi.

Ma non possiamo illuderci. Particolarmente io non posso pensare che i problemi siano terminati. Un dottore tedesco, che ha fondato una famosa organizzazione di intervento umanitario ai tempi dei “boat people”, dopo aver saputo delle accuse contro di me, me lo ha ricordato, scrivendomi “sta attento, ho avuto delle accuse simili anni fa, ed ho imparato che i malvagi hanno una fantasia fertilissima, e che il male ha sette vite, come i gatti”. Il fatto che la polizia a Nairobi mi abbia restituito gli oggetti che aveva prelevato come “prove” dalla mia stanza – cosa poi volessero provare con un proiettore video, una vecchia macchina fotografica a pellicola, alcuni vecchi DVD sulle nostre attività a Nairobi e di cartoni animati per bambini non l’ho mai capito – indicherebbe che il caso è già formalmente chiuso. Ma mi preoccupa il fatto che non ci sia stata ancora una dichiarazione ufficiale e pubblica. Dicono sempre che è una questione di pochi giorni…

John è stato ospite di Kivuli e poi nel 2005, a 18 anni, è tornato a vivere con la mamma, che con l’aiuto del microcredito era riuscita pure ad avviare un piccolo commercio. Ma la vita non è mai facile a Kawangware. La mamma si è ritrovata sieropositiva e John è andato in affanno, non riusca a trovare lavoro fisso, a pagare l’affitto… e tutto è precipitato in poco tempo. Prima che partissi per Lusaka un gruppo del Kobwa (Koinonia Old Beneficiaries Welfare Association, l’associazione composta dai nostri ex ragazzi per continuare a darsi una mano nel dopo-Kivuli), mi ha detto che dovevo incontrare John, preavvertendomi di non impressionarmi per quello che mi avrebbe raccontato. Cosi John mi ha chiesto un aiuto per superar la “droga”: ogni mattina beve e sniffa un mezzo bicchiere di benzina per avere il coraggio di affrontare l’unico lavoro che ha trovato, svuotare il pozzo nero di un piccolo ma affollatissimo nucleo di casupole. Per due o tre ore carica carriolate di cacca che poi svuota, illegalmente, in quello che una volta era un torrente, a duecento metri di distanza. Per questo veniva pagato dall’associazione dei residenti 50 scellini al giorno, cioè circa 46 centesimi di euro. Unica entrata giornaliera sicura. Siamo adesso riusciti a trovargli un lavoro in cui prende 150 scellini al giorno, che sopratutto ha il vantaggio di essere meno nauseante. Abbiamo anche suggerito ai residenti di costruirsi un gabinetto comune decente, che non costringano qualcun altro allo stesso lavoro. Ho raccontato questo episodio ai ragazzi di Mthunzi, suggerendo che anche a Lusaka i tempi sono maturi per costituire un’associazione come Kobwa, perchè possano sostenersi reciprocamente quando ci sono difficoltà di reinserimento.

Coi ragazzi di Mthunzi abbiamo anche incominciato a programmare di riprendere il “lavoro di strada” per identificare una decina o quindicina di bambini più vulnerabili da invitare a venire a stare a Mthunzi incominciando da Natale. La risposta è stata fin troppo entusiasta, tutti quelli che hanno più di 18 anni vogliono essere coinvolti e la prossima volta che torno dovrò fare con loro un workshop per stabilire insieme i criteri di ammisione per i nuovi fratellini.

Insomma, ricominciamo insieme a guardare avanti. Guai a noi se ci fermassimo a piangere sulle nostre sventure, perdendo l’entusiasmo di affrontare nuove sfide. L’idea che possiamo costruire un futuro migliore radicandoci e imparando dal passato è nella nostra visone cristiana, fondata sul perdono e sulla resurrezione. Magari altri se ne sono appropriati e ce l’hanno rivenduta come fede cieca nella crescita (soprattutto economica) illimitata, o come certezza che il sol d’avvenire era ormai dietro l’angolo, bastava solo qualche riforma e eliminare qualche controrivoluzionario. Le cose, ovviamente, sono ben più complicate e difficili, i tempi più lungi. Le disavventure non ci devono togliere il sorriso, e ci devono far capire di non prenderci troppo sul serio. Siamo solo dei collaboratori nella costruzione del Regno di Dio, che va avanti anche quando noi siamo in difficoltà.

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