A fine dicembre un gruppo di giovani clown dell’ associazione Vivere in Positivo hanno visitato il nostro Mthunzi, a Lusaka. Sono stato qualche giorno con loro. Sono ragazzi – in verita’ il gruppo venuto a Lusaka era composto in grande maggioranza da ragazze – che fanno volontariato come clown in ospedale per alleggerire le sofferenze dei pazienti, specialmente dei bambini. Quindi sono persone particolarmente sensibili e comunicative, e sono entrate subito in sintonia con i nostri ragazzi. Ho chiesto loro di mandare una breve presentazione della loro associazione, ma si fanno attendere, allora metto qui sotto per il momento la breve relazione di una di loro, molto immediata. Leggendola, mi veniva di riflettere: ma perche’ le domande che si fa adesso non le ha fatte quando era in Zambia? E’ una delle cose che io ho imparato a fare: con delicatezza, aspettando il momento piu’ opportuno, bisogna domandare perche’ poi dalle risposte si imcomiciano a capire tante cose e si avvia il dialogo a l’ apprezzamento reciproco. Ma forse Ciriola aveva troppe domande e non e’ riuscita ad esprimerle tutte mentre era a Lusaka.
27 dicembre 08 – 12 gennaio 09
Non amo scrivere ma stamattina mi è venuta voglia di mettere nero su bianco le sensazioni sullo Zambia.
Sono in treno, e accendo, come tutte le mattine ormai, il mio ipod con le canzoni che ci hanno dato i ragazzi del Mthunzi. Solo al pensiero già mi si riempiono gli occhi di lacrime per la malinconia. Penso di essere stata in trance per 2 settimane lì e forse un po’ lo sono ancora. Se non fosse per il tamburo (scelto accuratamente da Rickon e Richard), il grande batik appeso al muro sopra il mio letto ed il piccolo ippopotamo in pietra fatto da Bernard e Jonas……., penserei che è stato solo uno splendido, meraviglioso, incredibile sogno.
Non so se prima parlerò delle cose brutte e poi di quelle belle.
Arriviamo il 28 dicembre 2008 all’aeroporto di Lusaka. Fin qui è tutto molto normale, almeno se sei del sud oppure hai atterrato almeno una volta all’aeroporto di Reggio Calabria, perché dopo l’atterraggio prendi i tuoi bagagli a mano e a piedi ti dirigi verso l’uscita. Ad aspettarti tanti ragazzi che fanno i facchini per una mancia, e anche qui la sensazione di trovarmi nella Sicilia di un tempo. Ed ecco adesso il nostro fantastico pulmino (della famiglia Bredford, per chi se lo ricorda), con la meravigliosa scritta “MTHUNZI CENTERâ€, omologato per 9 ma non eravamo mai meno di 16. Lì, il mitico Joseph (uno degli educatori che cerca di mandare avanti il centro nel miglior modo possibile) ed il fantastico Malama (molto Big Jim), commercialista, autista, insomma un po’ un tutto fare del centro, sempre molto profumato e vestito alla moda (in passato faceva il DJ nei locali).
Quindi si parte tutti con i nostri bagagli verso il centro.
Il periodo scelto per partire credo sia il più bello poiché vedi un’Africa che non immagineresti nemmeno. E’ di un verde pazzesco, così vivo, acceso, meraviglioso. Non puoi capacitartene del fatto che poi diventerà tutto così arido e secco da far paura.
La prima parte del viaggio sembrava molto normale, sembrava di essere in una normalissima città . Palazzoni, centro commerciale etc. ma ad un tratto il pulmino fa una svolta e lì il paesaggio cambia improvvisamente, non più asfalto ma tanta terra rossa e sassi, buche, pozzanghere. La cosa, però, più terribile era quella di trovare tutti i giorni, dall’alba al tramonto, sul ciglio della strada, bambini e mamme che spaccavano delle grosse pietre per farne di piccolissime e poi metterle in un sacchetto e venderle al miglior offerente camionista (credo le usassero nell’edilizia). Accanto a loro una capanna fatta di soli 4 paletti rivestiti di sacchetti di plastica dove riposarsi per pochi minuti, quando sei troppo stanco ed il sole diventa troppo cocente.
Prima domanda: “Ma gli uomini dove sono?â€
Arriviamo al centro e tutto sembra molto tranquillo. Scarichiamo i bagagli e iniziamo a preparare i nostri letti per vincere le zanzare, poi cena, qualche chiacchiera e a letto che domani si inizia presto.
Iniziano così le nostre giornate, scandite da visite nei villaggi, giochi con i bambini, visita alle scuole, distribuzione del materiale portato dall’Italia, visita alla clinica, all’ospedale di Lusaka e poi chiacchiere, canti, musica e balli con i ragazzi del Mthunzi.
A pranzo e a cena eravamo sempre una marea di gente e quindi si cucinava tantissimo (mitica Pallola) e mi sembrava strano, delle volte, buttare il cibo che avanzava, in Africa. Diciamo che forse dipendeva dal fatto che non c’era il frigo oppure dal fatto che quando arrivano gli Italiani è davvero una festa, però, comunque mi faceva un certo effetto fare un gesto del genere lì. Poi i nostri commensali si preparavano dei piatti stracolmi, che puntualmente non riuscivano a finire e quindi altro cibo buttato. Che strano!!!
Quando si andava in giro non si cercava mai di organizzare il tragitto in modo da ottimizzare i tempi e sprecare meno benzina ma si andava su e giù. Che strano!!!
Forse perché per loro quelle 2 settimane con i Muzungu (uomo bianco) erano una festa. Non so.
In Africa i tempi sono veramente molto lenti, direi quasi snervante come situazione però poi ti ci abitui ed effettivamente cominci a godertela di più.
I bambini dei villaggi erano splendidi, sempre allegri e molto disciplinati. Lì il più grande guarda il più piccolo, si ha cura l’uno dell’altro. Nessuno sembra apparentemente abbandonato a se stesso.
Cosa differente, invece, nei quartieri poveri della città , dove vige la legge del più forte. La ragazza più grande da uno spintone al bimbo piccolo per rubargli la caramella ed in precedenza aveva rubato almeno 4 braccialetti colorati alle altre bimbe. Mentre sei tranquillo in macchina con il finestrino aperto ecco che all’improvviso ti rubano gli occhiali dal viso. Insomma in città è meglio stare sempre con gli occhi bene aperti e magari sempre scortati. I ragazzi erano grandi in questo, erano sempre con noi, non ci mollavano mai, erano ormai diventati i nostri stupendi “Bodyguards.â€
Cosa molto importante era anche quella di chiedere sempre ai ragazzi se nei posti dove ci trovavamo potevamo fare foto, perché poteva essere molto pericoloso se lo facevamo in posti dove non gradivano.
Adesso è appena passato un mese dal nostro ritorno e ancora, ogni tanto, mi sembra ieri e allo stesso tempo una vita fa. Come il tempo in Africa, certi giorni ti sembra di essere lì da sempre, altri invece, di essere appena arrivata. Le giornate ti sembrano lunghissime e ti sembra che in un giorno riesci a fare una marea di cose. Poi senti così forte il calore del posto, il calore della gente, di tutti quei bambini, i loro sorrisi, le loro mani e i loro occhi che ti cercano. E’ meraviglioso!!!!
Non può finire qui. Sento che l’Africa mi chiama e mi desidera, come io desidero Lei.
I bambini e i ragazzi del Mthunzi ci aspettano, non possiamo deluderli. Anche se lontani noi tutti con loro staremo insieme in ogni dove. La canzone dice: “SOMEWHERE OVER THE RAINBOW……†come i 2 arcobaleni dai colori super intensi che ci hanno accolto e accompagnato al nostro arrivo dall’aeroporto di Lusaka e a Mthunzi.
Cosa ti rimane dentro dell’Africa? Io penso che non sia tanto l’ingiustizia e la povertà che vedi attorno a te, anche se terribile, quanto le persone, i loro volti, i loro occhi vivi, i loro sorrisi, la vitalità dei bambini (in realtà già grandi), dei ragazzi (in realtà già adulti). La loro sincerità , semplicità e soprattutto la loro DIGNITA’.
Dov’è finito in noi tutto questo?
LIBERTA’? Nonostante i diversi disagi che vivono il loro mondo ed il nostro, chi si può considerare un uomo veramente libero, NOI o LORO?
Ciriola