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January 17th, 2009:

Padre Giuseppe

Sono in Tanzania, con collegamenti,  anche telefonici, molto aleatorii. Pochi minuti dopo aver messo online il testo precedente ho ricevuto la notizia che ieri mattina a Nairobi, nell’ ufficio della’istituto di filosofia in cui ha lavorato per piu’ di due decenni, hanno ucciso padre Giuseppe Bertaina, missionario della Consolata, originario della provincia di Cuneo.Una violenza assurda e assolutamente non necessaria, oltre che stupida. Sembra che il responsabile del gruppo che ha tentato la rapina fosse un ex-seminarista.

Padre Bertaina era un gentiluomo, magro, dritto, affabile, sempre sorridente, che cercava di educare gli studenti – ha speso la piu’ parte della vita nelle scuole del Kenya – con l’esempio. Seguiva con simpatia gli ex-seminaristi. In diverse occasioni, su mia richiesta, mi ha dato documenti e raccomandazioni per loro, chiedendomi poi con trepidazione se erano riusciti a sistemarsi nella vita. Era felice quando, diversi anni fa, ho potuto raccontargli che uno studente di filosofia che era stato postulante dei comboniani, dopo esserenstato dimesso era poi entrato nel seminario della sua diocesi di origine in Sudan ed era diventato un bravissimo prete diocesano. Negli ultimi anni l’ ho visto raramente, e solo alla Shalom House, deve veniva per una pizza con i confratelli nelle rare occasioni in cui si concedeva qualcosa.

Sembra che sia morto soffocato dal bavaglio che i rapinatori gli hanno messo. Immagino il dolore di quest’uomo gentile di 82 anni quando ha visto un ex-allievo fra di loro. Immagino che lo abbia subito perdonato, ma che forse sia morto col cuore trafitto dal dolore che gli causato il riconoscere quel volto piu’ che per il soffocamento. Tantissimi suoi allievi piangono la sua morte, come quello che me l’ha annunciata per telefono. Che il suo esempio ci aiuti a superare tutte le violenze.

Un Ciclone di Simpatia

Mi arrivano ancora reazioni, tutte positive, al giro fatto in Italia dai bambini di Kivuli. Teresa Giorgi, di Chiavari, 
da poco laureata all’accademia di Belle Arti di Genova, li ha accompagnati da Caserta alla Malpensa, insieme a
 Roberta Cerboneschi, di Larderello, un’insegnante socia di Amani, che e’ venuta per la prima volta a trovarmi in
Zambia nel 1988. Teresa, che ha contribuito anche a far crescere la qualita’ dello spettacolo, ha poi chiesto 
ad alcuni amici di scrivere le loro impressioni, e le ha legate con le sue riflesisoni. Ecco il suo testo.

 

“Sono arrivati come un uragano, sono rimasti giusto il tempo di lasciare delle tracce di sé negli occhi e nei cuori del pubblico che li ha applauditi, e sono andati via. Caserta è stata la prima città che ha visto diciotto ragazzini sul palco, e non più sei come nelle tappe precedenti. I dodici ragazzi in arrivo da Roma, dove erano appena atterrati con il volo da Nairobi, e quelli giunti da Bari, si sono riabbracciati davanti al teatro dove un paio d’ore dopo si sarebbero esibiti, carichi di stanchezza ma anche di entusiasmo. E’ stata una tappa vissuta di corsa, preparata a lungo ma consumata in brevissimo tempo. Però, nonostante tutto, lo spettacolo ha avuto un gran successo, gli acrobati hanno stupito tutti con la loro bravura e la loro simpatia; dai più piccoli, che hanno intenerito gli spettatori con i loro sorrisi e le loro battute, ai più grandi, timidi e orgogliosi di loro stessi e dei loro fratelli minori.

Sono riusciti a farsi ammirare per la giusta ragione: non tanto per la perfezione delle loro acrobazie, quanto per il coraggio che mostrano ogni giorno della loro vita, per la fiducia che nutrono verso se stessi e verso i loro compagni, che è così lampante, quando si esibiscono”.

Le parole di Chiara Avezzano riassumono un po’ il pensiero dei tanti che hanno visto i Koinonia Children esibirsi in Italia.

Roberta ed io, che li abbiamo accompagnati da Caserta fino all’ ultimo minuto prima del loro rientro a Nairobi, siamo state nell’ occhio del ciclone di simpatia causato dai Koinonia Children per quindici giorni, e adesso speriamo che il loro ricordo rimanga impresso a lungo e faccia da stimolo per una voglia di conoscenza sempre più profonda di loro e dei loro problemi. Perchè, come scrive padre Kizito, iniziatore del progetto del centro di accoglienza di Kivuli, dal quale i bambini provengono, “l’esperienza occasionale rischia di restare soltanto un bel ricordo, il rapporto continuo invece cambia il modo di mettersi di fronte agli altri, la prospettiva e il senso del vivere”.

Il progetto nacque durante un viaggio a Nairobi di Paolo Comentale, direttore del teatro Casa di Pulcinella di Bari, recatosi in Kenya per tenere alcuni spettacoli di marionette. All’arrivo a Kivuli, i circa 60 ragazzi che vivono nel centro lo accolsero con entusiasmo: canti, balli e acrobazie, ma soprattutto sprigionando un’allegria tale da far nascere l’idea di portare in Italia alcuni di loro. E il progetto si è concretizzato lo scorso dicembre: iniziato proprio da Bari, dove al gruppo è stato assegnato il premio”Pulcinella d’Oro 2008”, il tour ha visto i ragazzi esibirsi in diverse città italiane. Caserta, Fabriano, Torino, Piacenza, Milano. Tappe frutto della rete di relazioni che gli stessi bambini hanno creato tra noi italiani che da anni ormai li seguiamo e li vediamo crescere nella loro casa a Nairobi. Le richieste per portare lo spettacolo nella propria città erano molte di più ma purtroppo per motivi di tempo non è stato possibile esaudirle tutte. In ogni tappa l’accoglienza è stata tanto calorosa da lasciare impressionati gli stessi ragazzi che delle relazioni umane sono i maestri. Gli italiani si sono mostrati ottimi discepoli in quell’arte, così sacra in Africa, di donare tempo agli altri, contribuendo a creare un clima estremamente disteso e gioioso.

E i bambini hanno fatto il resto. “Sono stati straordinari, e sono riusciti a stupirmi ancora una volta”, ha commentato Kizito.  “All’inizio erano solo in sei (NdA: per problemi con i visti gli altri si sono uniti soltanto a Caserta) e anche in sei sono stati capaci di tener vivi gli spettacoli con grande impegno e disponibilità“. Non è stato importante il numero dei ragazzi, né le spesso ridotte dimensioni del palco; ognuno di loro ha dato il massimo ogni volta come fosse il primo spettacolo. Merito non solo dell’impegno, ma della voglia di stare insieme, divertirsi e divertire. E i sentimenti puri inevitabilmente traspaiono nonostante i piccoli problemi logistici. Ci hanno raccontato che dopo lo spettacolo a Matera un bambini di dieci anni, ringraziandoli al microfono ha detto: “Avete fatto delle cose stupefacenti, ma la cosa più bella e’ che in ogni momento del vostro spettacolo si capisce che vi volete veramente bene come fratelli”.

Gli amici di Fabriano cosi raccontano il passaggio del ciclone Koinonia Children.

Per poter godere di ogni prezioso momento offerto da questa esperienza, i ragazzi del Kenya sono stati ospitati nelle famiglie dei ragazzi, giovanissimi e giovani di AC: di fronte ai sorrisi luminosi e agli occhi luccicanti sui volti scuri, la timidezza e le prime difficoltà di comunicazione sono state superate in fretta, e sin da subito mani bianche e nere si sono intrecciate in saluti, giochi e abbracci.

Giovedì 4 dicembre è stata la giornata dedicata agli spettacoli: i ragazzi si sono esibiti per ben due volte al Pala Guerrieri, in uno show di grande impatto: la mattina è stata la volta dello spettacolo per le scuole, invitate dall’Azione Cattolica nell’ambito di una proposta volta all’approfondimento e al confronto sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (di cui il 10 dicembre ricorre il 60° anniversario). Più di 1000 studenti, provenienti dalle scuole medie inferiori e superiori della città, sono quindi giunti al Pala Guerrieri, e l’emozione è stata grande da entrambe le parti: i giovani artisti si sono trovati di fronte ad un pubblico di coetanei davvero numeroso e caloroso, che sono riusciti a stupire e conquistare sin dai primi minuti; con grande abilità interpretativa, gli ex-bambini di strada hanno inizialmente messo in scena episodi di vita nelle baraccopoli per raccontare al pubblico di coetanei il background dal quale provengono, proseguendo poi con una avvincente serie di acrobazie  e giocolerie che ha lasciato gli spettatori a bocca aperta. Gli applausi si sono susseguiti ininterrottamente durante tutto lo spettacolo, ed hanno trasmesso agli acrobati tutta l’ammirazione e l’affetto del giovane pubblico che, alla fine dell’esibizione, è stato trascinato in canti e danze. Al termine dello spettacolo gli studenti, scesi dalle gradinate, hanno avuto l’opportunità di congratularsi di persona con i piccoli artisti che, come sempre, sono andati incontro a tutti coloro che li acclamavano, presentandosi con i loro grandi sorrisi.

In serata, il Koinonia Children Team è riuscito a replicare il successo ottenuto la mattina con le scuole anche nello spettacolo rivolto alla cittadinanza, al quale hanno risposto circa 700 persone (un numero eccezionale per Fabriano!), e anche questa volta non hanno deluso le aspettative: hanno costruito altissime piramidi umane mantenendo equilibri incredibili, hanno coinvolto il pubblico con la forza e l’energia tipica di chi ha voglia di riscatto e trova in un applauso il calore e l’affetto a lungo cercati. Di nuovo al termine dello spettacolo il pubblico, questa volta di tutte le età, è finito in pista, a ballare danze africane al ritmo scandito dai bravissimi percussionisti.

In 3 giorni i nostri piccoli amici africani hanno lasciato un segno profondo nei cuori di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di ospitarli, incontrarli, parlarci, giocare con loro.

Noi che ci eravamo presi l’ impegno di accompagnarli in giro per l’Italia, lo abbiamo fatto. Ma spesso sembrava come se le parti si invertissero e fossero loro a portarci per mano lungo nuovi percorsi; e noi lì, affascinati, a guardarli incantati e a momenti imbambolati. Poi riprendevamo il sopravvento appena arrivati in una nuova città. Pochi minuti e l’iniziale loro timidezza si trasformava in entusiasmo e il gioco tornava nelle loro mani. Loro vogliosi di fare e noi di guardare e imparare. Sembrerebbe un’inversione di parti dell’antico stereotipo di un nord esportatore di civilizzazione e un sud pronto ad apprendere; ma quando il campo si restringe fino a scendere nel rapporto uno ad uno con esso si cancella, se mai ce ne fosse stata, qualsiasi forma di presunta superiorità. A livello umano ogni volta sembra palese come siamo noi alla fine ad uscirne arricchiti ed estremamente grati delle gioie del momento regalateci. Perchè quando i bambini diventano Stephen o Martin, Harrison o Kelvin, ecco che le facce assumono espressioni e le parole significato profondo pur nella loro semplicità. E non esistono appelli corali, per quanto lodevoli, che restino impressi più di una singola battuta di uno Stephen o di un Martin, di un Harrison o di un Kelvin. Perchè è a quel punto che il “loro” più volte ripetuto crolla e resta un “io” di fronte a un “tu”.

Fabrizio Floris, uno degli amici torinesi di Koinonia di piu’ lunga data e grande conoscitore degli slums di Nairobi sui quali ha scritto piu’ di un libro, ha commentato:

“Se si guardano le statistiche sui bambini di strada si scopre che il tasso di delinquenza è alto, che l’accattonaggio è prevalente e che i servizi sociali in loro favore sono inesistenti. Gli street children appaiono solo come potenziali clienti dell’assistenza delle ONG, destinati a diventare criminali. Sono figli dello slum, di un paese povero, di un quartiere povero e di una famiglia povera e tutto questo comunica loro che “dallo slum non può venire niente di buono” quindi sono loro stessi a essere “buoni a nulla”. La loro vita appare segnata fin dall’inizio, il futuro non è una prospettiva, ma una minaccia. Il tempo che possono vivere è solo quello presente. Non possono andare a scuola perchè troppo costosa, ma non possono nemmeno lavorare perchè la disoccupazione e’ alta e chi sarebbe cosi folle da assumere un ragazzo di Kibera o di Korogocho? Quindi sono vittime e agiscono come tali. Per la Banca Mondiale rientrano in quel miliardo di persone “senza futuro”, sono di troppo, in eccesso.

Eppure vedendo e ascoltando i Koinonia Children, provenienti da un rifugio (kivuli) della periferia di  Nairobi, saltare, ballare e cantare ricordandoci il diritto alla pace e alla giustizia, ci si accorge che il quadro delle statistiche e’ sbagliato: siamo di fronte a persone di grandissma umanita’. E ti vien da pensare che non solo non sono scarti, ma che loro ci stanno precedendo su strade nuove e che noi dobbiamo impegnarci molto di piu’ se vogliamo tenere il passo.”

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