I pirati somali, le cui gesta sono occasionalmente riportate dai mass media internazionali, Â probabilmente sono interessati solo alle centinai di migliaia di dollari di riscatto che riescono a estorcere per restituire le navi sequestrate, ma, involontariamente, ci aiutano a capire come va il mondo.
Agli inizi di quest’anno c’e’ stato un notevole aumento di navi sequestrate. In questi gironi i pirati somali hanno in ostaggio almeno 16 navi straniere con un totale di 323 marinai. Nel 2008 ci sono stati 49 casi pienamente documentati di navi prese in ostaggio, ma di molti altri casi non si sa quasi nulla, perche’ i proprietari preferiscono pagare il riscatto senza far sapere dell’accaduto. Magari la nave in questione trasportava merci illecite (rifiuti tossici) o praticava la pesca illecita, sia perche’ troppo vicina alla costa, o perche’ usava metodi proibiti da convenzioni internazionali, come le esplosioni subacquee, o perche’ pescava specie protette.
Fra i paesi che si sono mobilitati per contrastare i pirati che rendono problematico e costoso l’ uso del canale di Suez, per entrare nel quale le navi devono passare davanti alla costa somala, ci sono non solo molti paesi dell’ Unione Europea, e gli Stati Uniti, ma anche l’India e la Cina, a sottolineare l’ importanza crescente di questi due paesi nel commercio mondiale. Se nella lotta contro i pirati vengono commessi degli errori il mare aiuta a nasconderli. Recentemente una nave indiana ha annunciato di aver fatto fuoco conto una barca di pirati. Poche giorni i dopo il governo della Thailandia ha denunciato la sparizione di un peschereccio del loro paese. I luoghi e i tempi fanno pensare che si trattasse della stessa barca…  Ci sono fondati sospetti che la guerra contro i pirati venga anche usata per sperimentare l’uso di un intero arsenale di cosiddette armi non-letali recentemente sviluppate negli Stati Uniti, che includono i “sonic blasters†che anche a 500 metri possono provocare danni permanenti all’ udito. La Corea del Sud e’ rappresentata nelle acque somale da una flotta dedita alla pesca illegale del tonno, e ormai su ogni peschereccio c’e’ personale armato. E da dove provengano le navi che dispongono rifiuti tossici nelle acque somale tutti trovano conveniente non accertarlo, o meglio far finta di non sapere che succeda. Certo e’ che le coste delle Somalia sono diventate una parabola del mondo d’oggi.
La linea di demarcazione fra “pirati†e difensori della legge comincia a farsi confusa, e si puo’ capire come molti somali considerino la pirateria un modo per farsi pagare i danni subiti. I primi episodi di “pirateria†hanno avuto come protagonisti dei poveri pescatori che cercavano di impedire ai pescherecci stranieri di avvicinarsi alle loro coste, giustamente accusandoli di operare in acque riservate, e per ostacolare lo scarico di rifiuti tossici. Organizzazioni serie hanno calcolato che la pesca illegale “preleva†dalle acque somale un valore in pesce di almeno 300 milioni di dollari all’anno, mentre i pirati ogni anno riesco ad estorcere agli armatori neanche un decimo di questa somma. Quella che era incominciata come una protesta e’ indubbiamente diventata una gigantesca operazione criminale. Ma e’ evidente che di pirati ce ne sono da entrambe le parti.
Il caso piu’ emblematico e istruttivo e’ quello della motonave MV Faina, di proprietà ’ di un armatore Ucraino, catturata dai pirati lo scorso 25 settembre. Il cargo include 33 modernissimi carri armati, e un vastissimo assortimento di 1,000 tonnellate di armi e munizioni, molte con “depleted uraniumâ€, uranio spento, con un terrificante potenziale di inquinamento.
Dove stava andando questo carico? La prima comunicazione dei pirati, che chiedevano un riscatto di 100 milioni di dollari, diceva che erano armi destinate al governo del Sud Sudan. Il quale ha immediatamente negato la cosa. Ma la nave stava andando a Mombasa e il governo del Kenya e’ stato chiamato in causa. Dopo un lunghissimo e imbarazzante silenzio il portavoce del governo del Kenya disse che le armi erano in effetti destinate a questo paese. Ma i pirati hanno replicato faxando una documentazione ineccepibile che dimostra che le armi erano dirette in Sud Sudan. In Kenya si sono levate voci, anche in Parlamento, a denunciare l’illogicità ’ della cosa, era chiaro che il Kenya cercava solo di togliere dall’ imbarazzo il Sud Sudan e gli altri paesi conniventi, dopo essersi prestato ad un’ operazione di traffico d’armi proibita dalle convenzioni internazionali. L’ imbarazzo diplomatico e’ stato enorme e non si e’ trovata una via d’ uscita. Il governo del Sud Sudan e’vincolato dal trattato di pace firmato quattro anni fa a non riarmasi.. Comunque si voglia guardare alla cosa e’ evidente che i finanziatori di questa operazione non sono i soliti terroristi di Al Qaeda, o estremisti islamici, o potentati arabi. I governi che non hanno potuto dimostrare di essere estranei – Sud Sudan e Kenya – sono, da quando esistono, alleati di Gran Bretagna, Europa e Stati Uniti. Questi ultimi sono stati la forza che ha spinto il movimento di liberazione del Sud Sudan a firmare il trattato di pace e a costituire un governo semiautonomo. Inoltre per usare le armi del tipo presente sulla MV FAINA l’ esercito Sud Sudanese ha bisogno di istruttori. La conclusione non puo’ essere che una: il Sud Sudan si sta riarmando fino ai denti, perche’ non crede nella possibilita’ che nel 2011 si effettui il referendum che permetta ai suoi cittadini di scegliere se restare uniti a Khartoum o diventare uno stato completamente autonomo, come previsto dal trattato di pace. E questo riarmo avviene con la connivenza delle potenze che hanno fatto firmare lo stesso trattato, che proibisce il riarmo.
Naturalmente a Khartoum non e’ parso vero il vedersi offrire su di un piatto d’argento la prova delle del riarmo del Sud, e non perde occasione di ricordare al mondo l’esistenza della MV FAINA. Invece tutta o quasi la stampa internazionale sembra aderire al tacito ordine di ignorare il fatto. La MV FAINA, una costosissima bomba inquinante, e’ cosi da ben oltre tre mesi nelle mani dei pirati, guardata a vista da navi da guerra statunitensi e europee, ma nessuno ne parla. Come si risolvera’ il caso? Pagare il riscatto equivarrebbe ad un’ammissione di colpa. Il governo delKenya, che ha già ben altri problemi non accettera’ più che venga scaricata a Mombasa. E allora? Mi diceva un cinico anziano giornalista esperto di cose internazionali. “Lasceranno passare del tempo fino a che l’ opinione pubblica se ne sara’ dimenticata, poi magari col pretesto di un’ azione dei pirati la bombarderanno cosi che se ne vada in fondo al mare insieme al suo imbarazzate cargo, ai pirati e alla verita. Poi tutti verseranno lacrime di coccodrillo sull’ inquinamneto causato dai pirati”.