Sono a Loki. Era uno sperduto villaggio Turkana nel Nord del Kenya, al confine col Sudan, quando ci sono passato la prima volta nel febbraio del 1989, successivamente e’ diventato centro operativo della quella che e’ stata la piu’ lunga e costosa operazione umanitaria delle Nazioni Unite, l’ Operation Lifeline Sudan, o OLS. Sono appena uscito dopo poco piu’ di 48 ore sui Monti Nuba. Piu’ di un giorno intero diversi voli per entrarci, poco meno di un giorno per uscire. Saltando da un aereo all’ altro, l’ultimo, un grande Antonov cargo, preso letteralmente di corsa, mentre coi motori gia’ al massimo iniziava a muoversi sulla pista di Kauda. Sono entrato dal portellone posteriore a scivolo ormai pronto a chiudersi, e gli amici Nuba sono riusciti a buttarmi dentro il bagaglio prima che si chiudesse l’ultimo spiraglio.
Un viaggio segnato dalla presenza invasiva delle capre. Arrivando a Kauda su un aeroplanino con altri cinque passeggeri, il pilota ha tentato tre volte di atterrare, sempre ostacolato da un gregge di capre che non avevano nessuna intenzione di spostarsi, fino a che un pastorello e’ arrivato di corsa e le ha convinte a lasciarci via libera. Poi carne di capra a pranzo e a cena, per due giorni. Un capretto ieri sera si era pensosamente accomodato sul mio “lettoâ€, non so quanto a lungo, ma per il tempo sufficiente da impregnarlo del suo odore e a costringermi a dormire legandomi sul naso un fazzoletto impregnato di succo di limone. Poco comodo, ma l’alternativa sarebbe stata dormire all’ aperto, per terra. Altre capre ci guardavano beffarde stamattina, mentre cercavamo disperatamente di far ripartire l’ auto insabbiata per non arrivare in ritardo all’ aereo, che poi appunto abbiamo rischiato di perdere.
Nel viaggio di andata verso i Nuba ho fatto una sosta di qualche ora a Rumbek, in Sud Sudan. C’ero stato per la prima ed ultima volta nel luglio del ’97, accompagnando l’allora Amministratore Apostolico, mons. Mazzolari e l’ ambasciatore che gli USA avevano ritirato alcuni mesi prima da Khartoum. Era con me, in funzione di video-operatore, Andrew Awour, uno dei primi ragazzi di Koinonia a Nairobi. Andavamo a prendere visione di cio’ che era rimasto della citta’ a della missione cattolica, pochi mesi dopo che era stata conquistata dallo SPLA. Dall’aeroplanino, anche volando bassi, si vedevano pochissime tracce di presenza umana. Dopo l’atterraggio venni subito bloccato dal personale delle famigerata “polizia segreta†dello SPLA che mi informo’ di essere “un rischio per la sicurezza del sud Sudan†e mi obbligo’, usando come argomento 4 Kalashnikov puntati, ad aspettare all’ ombra dell’ala dell’ aereo che gli altri tornassero dal giro di ispezione.. Gli altri, anche i due gorilla dell’ ambasciatore, preferirono fingere di non vedere e di non capire, per evitare incidenti. Solo Andrew ritorno’ sui suoi passi e si fermo’ a protestare, e voleva restare con me, ma lo convinsi ad andare a fare il video. Andrew mori nel novembre dello stesso anno, in un banale incidente stradale. Una perdita che un quel momento avrebbe potuto essere fatale per Koinonia, tanto centrale la sue figura are diventata per l’allora piccolissima comunita’. Oggi per gli standard sudanesi, Rumbek e’ una cittadina: qualche strada, qualche casa in muratura, molte capanne in fango e paglia, molte ONG e molti servizi disponibili alla gente, scuole e ospedali. Siamo al colmo della stagione secca, e c’era un caldo feroce, certamente sopra i quaranta, e meno sopportabile del caldo dei Monti Nuba, dove l’ aria e’ sempre mossa.
Ho fatto questa escursione sui Monti Nuba per riportare con me a Nairobi un maestro bisognoso di cure mediche non disponibili sul luogo, e ne ho approfittato per rimpinguare le casse dei progetti con un po’ di fondi in contanti e visitare le sue scuole elementari e l’ istituto per la preparazione dei maestri. I progetti funzionano bene, insegnanti e alunni sono impegnati al massimo, ma la finanze vacillano. Con la pace in Sudan i Nuba sono sono neanche piu’ nella lista non dico delle emergenze, ma neanche in quella delle necessita’ croniche. Cosi la cooperazione internazionale se ne va. Se non troviamo qualche modo nuovo per sostenere queste scuole non so come faremo a continuare.
E’ stata un’ opportunita’ anche per incontrare i nostri “maestri missionariâ€. Quasi esattamente due anni fa durante una delle mie visite ai Nuba mi ero trovato ad avere tre circostanze favorevoli: la prima era che era la stagione secca e si poteva viaggiare abbastanza discretamente, poi avevo tre giorni liberi e avevo anche a disposizione un’ auto in condizioni decenti. Decisi di tentare il viaggio da Kauda a Kau, il mitico villaggio Nuba dove la Leni Riefenstahl aveva scattato a meta’ degli anni settanta delle foto che sono diventate iconiche per chi si interessa di fotografia: i lottatori Nuba, i loro volti dipinti con disegni geometrici di incredibile bellezza fantasia, le danze delle ragazze. A Kauda due Nuba erano disposti ad accompagnarmi e uno diceva di sapere la strada. Stimavano che ci sarebbero volute delle 5 alle sei ore d’auto. Cosi una mattina alle 7 siamo pariti in cerca della mitica Kau, col il pick-up Toyota 4×4 con bidone con 60 litri di diesel, tende e qualcosa da mangiare. Cammina e cammina, attraverso paesaggi da mille e una notte, anzi guida e guida, e dopo cinque, sei, sette ore comincio a pensare che la mia guida non sappia dove siamo. Ma lui mi assicura del contrario, anche perché, facendosi la notte vicina sembrava la cosa piu’ ragionevole da farsi. La pista dopo qualche ora era scomparsa, e mantenevamo una media di non piu’ di 20 kilometri all’ ora, attraversando lentamente boschi, savane, wadi (o letti di fiumi temporanei che nella stagione secca non hanno acqua) sempre col pericolo di insabbiarci e non muoverci piu’. Devo usare tutte le mie risorse e esperienze di guida in Africa. Dopo un falso allarme alle otto di sera, una sera senza luna, finalmente alle nove e mezza siamo arrivati. Meno male perche’ il diesel sta per finire. La pista si fermava in mezzo ad alcune capanne. E dalle capanne uscirono delle persone vestite con i lungi gellaba arabi. Scendiamo per chiedere dove siamo, ma le cose non sono cosi semplici. Siamo in Africa, nell’ Africa tradizionale, dove prima di scambiarsi informazioni e’ importante conoscersi. Ci confermano che siamo a Kau, ma dobbiamo sederci, aspettare che ci portino acqua da bere e kisra con carne da mangiare. Poi ci chiedono la ragione del nostro viaggio. Spiego che vorremmo stare un giorno con loro, e incontrare il loro “mekâ€, il re. Assentono, offrono di accompagnarci dal mek., che , dicono, e’ mezz’ora di distanza se si va a piedi. Faccio salire altri due accompagnatori sull’ auto, ma i nostri due che vanno a sedersi nel cassone scoprono con allarme che probabilmente durante l’ ultima fase del viaggio quando eravamo tutti stanchissimi e non capivamo piu’ niente, il box del diesel sie era rovesciato. Eravamo senza diesel a circa 250 km da Kau.
E’ arrivato l’ aereo. Chiudo e fra poche ore a Nairobi inseriro’ questo testo nel blog. Continuero’ la storia domani.
Caro Padre Kizito,
sto proprio leggendo il bellissimo Io sono un Nuba: l’argomento e la storia di questo popolo mi affascina molto e le Tue parole scorrono veloci sotto gli occhi, nonostante la difficoltà dell’entrare bene nella realtà delle sue genti.
Questa inaspettata pagina mi convince sempre più della grandezza di questo mondo, che pochi capiscono e ancor meno vogliono capire.
Non so se può servire, ma penserei di inserire sia in Osservatorio Africa (spazio dedicato su Salviamo Italia, che gestisco) oltre che sul mio blog e su quello di amici i dati per eventuali donazioni. Pensi possa essere utile per “rimpolpare” un po’ le casse e dare un po’ di respiro per scuola e quant’altro?
Se mi autorizzi, magari mi viene anche qualche altra idea, che Ti sottoporrei ovviamente.
Aspetto con gioia la secnda parte…
Buon viaggio, Padre Kizito caro, e buona notte, questa volta senza capretta!
un abbraccio
laura
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