Il 30 aprile 1997, un centinaio di guerriglieri hutu fece irruzione alle 5 del mattino nel seminario minore di Buta, in Burundi, vicino al confine con la Tanzania. Quarataquattro seminaristi furono uccici e venticinque gravemente feriti perche’ si rifiutarono di dividersi fra hutu e tutsi, come pretendevano i guerriglieri che avrebbero voluto uccidere solo i tutsi. Morirono abbracciati come fratelli, consapevoli di essere uccisi per questo loro rifiuto. Alcuni di loro, feriti gravemente, cominciarono a recitare il rosario e a pregare per chi li finiva ad uno ad uno sgozzandoli. Ora il vescovo locale ha eratto una cappella sul luogo dell’ eccidio ai “martiri della fraternita’â€.
Questi ragazzi hanno dato un esempio straordinario: perche’ aspettare anni e anni di processi canonici? Perche’ non proclamarli tutti santi subito, come martiri della fraternita’? Abbiamo tutti bisogno del loro esempio, non solo in Burundi e Rwanda, ma nel mondo intero, dove regionalismi e etnicismi stupidi creano odi e divisioni. Anche se forse alcuni seminaristi fino al giorno prima non avevano condotto una vita interamente santa, erano comunque persone da presentare a tutta l’ Africa dicendo: “Il Vangelo ci propone la fraternita’ e non possiamo chiamarci cristiani se non ci riconosciamo fratelli e sorelle. Questi ragazzi, con tutti i difetti che volendo si sarebbero potuti trovare in loro, lo avevano capito e sono stati disposti a testimoniarlo con la loro vita, quindi li proclamiamo santi, modelli di vita per tutit i cristianiâ€.
Non e’ bello citarsi, ma scrivevo i due paragrafi che ho riprodotto qui sopra nel 2002, con il coautore Stefano Girola ne La Perla Nera. Resto convinto che nella chiesa primitiva quei ragazzi sarebbero stati acclamati santi immediatamente, e sarebbere cosi diventati dei modelli. Non proclamiamo i santi solo per proporre dei modelli di vita, ma certamente i santi diventano tali anche perche’ rispondono in un modo luminosamente cristiano ai problemi del loro tempo, e i martiri della fratenita’ di Buta ce ne hanno dato un esempio eminente. Se fossero meglio conosciuti potrebbero indicare alla gente cristiana dell’ Africa come superare gli aspetti limitanti dell’identita’ culturale e tribale.
Questa straordinaria storia, una delle tante storie di eroismo cristiano che sono avvenute durante e dopo il genocidio del Rwanda, mi e’ tornata in mente l’ altro ieri, domenica, mentre cercavo di balbettare qualcosa ai ragazzi di Tone la Maji (La Goccia d’ Acqua, una delle case gestite da Koinonia e sostenuta da La Goccia di Senago) sulla grandezza, il mistero e la santita’ della vita umana, nel contesto dei fatti teribili che stanno avvenendo in Kenya in questi giorni. I particolare ricordavo loro la brutale uccisione di padre Michael Kamau Ithondeka, 41 anni, avvenuta il giorno prima mentre viaggiava in auto verso Nairobi. E’ stato fermato ad un posto di blocco di sostenitori dell’ opposizione, tutti Luo, e gli e’ stato chiesto di presentare la carta d’ identita’. Quando lo hanno identitficato come Kikuyu – Michal Kamau e’ Kikuyu come Ambrogio Brambilla e’ milanese – e’ stato ucciso a colpi di panga e di pietre.
A Tone la Maji tutti i ragazzini, dai 9ai 17 anni, provengono da Kibera. Nel marzo del 2005 sono stati scelti ad entrare nella nuova casa perche’ fra quelli piu’ disperamente bisognosi. Non ho mai esaminato i loro record dal punto di vista tribale, ma son certo che provengono da almeno una dozzina di diversi popoli del Kenya. Mentre parlavo, mi son ricordato dei martiri della fraternita’, ed ho raccontato la loro storia – arricchendola di particolari forse un po’ immaginati, ma certamente credibili, basandomi sulla mia esperienza d’ Africa. I ragazzi sono stati ad ascoltarmi rapiti. So di non essere un gran narratore, la loro attenzione era dovuta al fascino profondo delle storie di padre Kamau e dei martiri della fraternita’ di Buta in relazione alla loro esperienza umana a Kibera.
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Stavo per impostare questo testo quando ho sentito per radio che nelle prime ore di questo mattina e’ stato ucciso Melitus Were. Melitus era appena stato eletto deputato per l’ opposizione in un collegio elettorale di Nairobi. Sembra, dai prima rapporti, che stesse rientrando in casa in auto, non si sa da dove, ed e’ stato ucciso mentre aspettava aprissero il cancello. Non si capisce ancora se e’ stata un’ esecuzione o una rapina.
Melitus era stato tirato su da un comboniano, padre Adelmo Spagnolo, che adesso e’ in Ethiopia. Quando io sono arrivato in Kenya, quasi esattamente venti anni fa, Adelmo mi chiese di farlo lavorare un po’ nell’ uffico della nuova rivista che stavo lanciando. Forse allora Melitus non aveva ancora vent’anni, e per quasi un anno gli feci fare i primi passi nello scrivere e nell’ uso del computer. Poi i comboniani gli avevano offerto una borsa di studio in Italia dove nel corso degli anni sviluppo’ molti legami. Una decina di anni fa aveva cominciato ad impegnarsi in politica. Era venuto a trovarmi e mi aveva detto “Vedrai che un giorno saro’ deputato al Parlamentoâ€. Ha fatto qualche anno come consigliere comunale a Nairobi, e lo scorso 29 dicembre, appena conosciuti i risultati elettorali e appena prima che si scatenassero le violenze, e’ venuto a trovarmi solo per dirmi “Hai visto che ce l’ ho fatta!â€.