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January, 2008:

Vittime e Santi

Il 30 aprile 1997, un centinaio di guerriglieri hutu fece irruzione alle 5 del mattino nel seminario minore di Buta, in Burundi, vicino al confine con la Tanzania. Quarataquattro seminaristi furono uccici e venticinque gravemente feriti perche’ si rifiutarono di dividersi fra hutu e tutsi, come pretendevano i guerriglieri che avrebbero voluto uccidere solo i tutsi. Morirono abbracciati come fratelli, consapevoli di essere uccisi per questo loro rifiuto. Alcuni di loro, feriti gravemente, cominciarono a recitare il rosario e a pregare per chi li finiva ad uno ad uno sgozzandoli. Ora il vescovo locale ha eratto una cappella sul luogo dell’ eccidio ai “martiri della fraternita’”.

Questi ragazzi hanno dato un esempio straordinario: perche’ aspettare anni e anni di processi canonici? Perche’ non proclamarli tutti santi subito, come martiri della fraternita’? Abbiamo tutti bisogno del loro esempio, non solo in Burundi e Rwanda, ma nel mondo intero, dove regionalismi e etnicismi stupidi creano odi e divisioni. Anche se forse alcuni seminaristi fino al giorno prima non avevano condotto una vita interamente santa, erano comunque persone da presentare a tutta l’ Africa dicendo: “Il Vangelo ci propone la fraternita’ e non possiamo chiamarci cristiani se non ci riconosciamo fratelli e sorelle. Questi ragazzi, con tutti i difetti che volendo si sarebbero potuti trovare in loro, lo avevano capito e sono stati disposti a testimoniarlo con la loro vita, quindi li proclamiamo santi, modelli di vita per tutit i cristiani”.

Non e’ bello citarsi, ma scrivevo i due paragrafi che ho riprodotto qui sopra nel 2002, con il coautore Stefano Girola ne La Perla Nera. Resto convinto che nella chiesa primitiva quei ragazzi sarebbero stati acclamati santi immediatamente, e sarebbere cosi diventati dei modelli. Non proclamiamo i santi solo per proporre dei modelli di vita, ma certamente i santi diventano tali anche perche’ rispondono in un modo luminosamente cristiano ai problemi del loro tempo, e i martiri della fratenita’ di Buta ce ne hanno dato un esempio eminente. Se fossero meglio conosciuti potrebbero indicare alla gente cristiana dell’ Africa come superare gli aspetti limitanti dell’identita’ culturale e tribale.

Questa straordinaria storia, una delle tante storie di eroismo cristiano che sono avvenute durante e dopo il genocidio del Rwanda, mi e’ tornata in mente l’ altro ieri, domenica, mentre cercavo di balbettare qualcosa ai ragazzi di Tone la Maji (La Goccia d’ Acqua, una delle case gestite da Koinonia e sostenuta da La Goccia di Senago) sulla grandezza, il mistero e la santita’ della vita umana, nel contesto dei fatti teribili che stanno avvenendo in Kenya in questi giorni. I particolare ricordavo loro la brutale uccisione di padre Michael Kamau Ithondeka, 41 anni, avvenuta il giorno prima mentre viaggiava in auto verso Nairobi. E’ stato fermato ad un posto di blocco di sostenitori dell’ opposizione, tutti Luo, e gli e’ stato chiesto di presentare la carta d’ identita’. Quando lo hanno identitficato come Kikuyu – Michal Kamau e’ Kikuyu come Ambrogio Brambilla e’ milanese – e’ stato ucciso a colpi di panga e di pietre.

A Tone la Maji tutti i ragazzini, dai 9ai 17 anni, provengono da Kibera. Nel marzo del 2005 sono stati scelti ad entrare nella nuova casa perche’ fra quelli piu’ disperamente bisognosi. Non ho mai esaminato i loro record dal punto di vista tribale, ma son certo che provengono da almeno una dozzina di diversi popoli del Kenya. Mentre parlavo, mi son ricordato dei martiri della fraternita’, ed ho raccontato la loro storia – arricchendola di particolari forse un po’ immaginati, ma certamente credibili, basandomi sulla mia esperienza d’ Africa. I ragazzi sono stati ad ascoltarmi rapiti. So di non essere un gran narratore, la loro attenzione era dovuta al fascino profondo delle storie di padre Kamau e dei martiri della fraternita’ di Buta in relazione alla loro esperienza umana a Kibera.

*

Stavo per impostare questo testo quando ho sentito per radio che nelle prime ore di questo mattina e’ stato ucciso Melitus Were. Melitus era appena stato eletto deputato per l’ opposizione in un collegio elettorale di Nairobi. Sembra, dai prima rapporti, che stesse rientrando in casa in auto, non si sa da dove, ed e’ stato ucciso mentre aspettava aprissero il cancello. Non si capisce ancora se e’ stata un’ esecuzione o una rapina.

Melitus era stato tirato su da un comboniano, padre Adelmo Spagnolo, che adesso e’ in Ethiopia. Quando io sono arrivato in Kenya, quasi esattamente venti anni fa, Adelmo mi chiese di farlo lavorare un po’ nell’ uffico della nuova rivista che stavo lanciando. Forse allora Melitus non aveva ancora vent’anni, e per quasi un anno gli feci fare i primi passi nello scrivere e nell’ uso del computer. Poi i comboniani gli avevano offerto una borsa di studio in Italia dove nel corso degli anni sviluppo’ molti legami. Una decina di anni fa aveva cominciato ad impegnarsi in politica. Era venuto a trovarmi e mi aveva detto “Vedrai che un giorno saro’ deputato al Parlamento”. Ha fatto qualche anno come consigliere comunale a Nairobi, e lo scorso 29 dicembre, appena conosciuti i risultati elettorali e appena prima che si scatenassero le violenze, e’ venuto a trovarmi solo per dirmi “Hai visto che ce l’ ho fatta!”.

Non Vogliamo un Kenya Diviso

Scontri a Nakuru. Coprifuoco. Conferma che giovani disoccupati disperati sono stati e sono pagati per incendiare e uccidere. Voci, molto credibili, che mi dicono che intorno ad Eldoret cominciano ad arrivare armi e che gli anziani della comunita’ Luo, che pure sono immigrati in questa zona, hanno fatto prestare giuramento ai loro giovani di combattere fino a che tutti i Kikuyu non saranno stati cacciati. Il tribalismo seminato n questi due anni da politici irresponsabili incomincia a dare i suoi amarissimi frutti. 

Voci, anche queste da fonti credibili, dicono che l’ opposizione si sta dividendo, con Raila Odinga piu’ disposto a trattare e un’ ala irriducibile che vuole arrivare a tutti i costi alla presidenza, cosi da poter poi nascondere i misfatti perpetrati. Per questo gruppo, in cui ci sono molti che hanno fatto carriera ai tempi di Moi, non ci possono essere mezze misure.

 Tutto questo mentre a Nairobi la vita e’ tornata quasi normale. I segni degli scontri bisogna andarli a cercare. A Kibera le fila di baracche bruciate sono ancora visibili, come pure la chiesa protestante bruciata e con un buon quarto di tetto crollato, un container in mezzo alla strada principale per cui puo’ passare a stento un’ auto alla volta, l’ albero abbattuto che sta ancora bruciando, le file di gente che gia’ prima dell’ alba e’ al Jamhuri Park sperando di ricevere un po’ di farina e di fagioli.  Ma chi va a Kibera?

 Tutto il West del Kenya, da Nakuru fino a Eldoret e Kisumu, rischia di entrare in uno stato di permanente agitazione e insicurezza, staccato del resto del paese. La necessita’ quindi di risolvere questa crisi in modo credibile diventa sempre piu’ urgente, prima che la violenza si incancrenisca, come abbiamo visto avvenire in Uganda.

E’ importante che la pressione internazionale continui.

 A proposito di Nakuru. Lunedì scorso, mentre la tensione era ancora alta ma non era ancora esplosa la violenza di questi ultimi tre giorni, John Kanene, il responsabile di Kivuli, ha deciso di andarvi per prendere quattro dei nostri bambini che ci erano rimasti bloccati e avevano paura di viaggiare, e per portarci invece altri tre ragazzi piu’ grandi che frequentano la scuola superiore a Nakuru, in una specie di collegio. Come fare per evitare problemi in un viaggio di circa 200 km di sola andata? John ha avuto un’ idea brillante e ha fatto mettere, sporgenti dai finestrini ma alte sopra il tetto, da un lato la bandiera della pace, con scritto PEACE in grande evidenza, dall’ altro la bandiera di Amani, che pure vuol dire pace in kiswahili, e sul retro la bandiera di Koinonia. Cosi addobbati sono andati e tornati senza incidenti. Ai posti di blocco della polizia come ai posti di blocco di manifestanti nessuno ha fatto domande, venivano immediatamente lasciati passare. E la sera un John raggiante poteva annunciare a tutti i ragazzi di Kivuli “Missione Pace compiuta!”

 Stamattina, a Kibera, nella nostra Ndugu Mdogo,  i piccoli fratellini e sorelline – Ndugu Mdogo vuol dire “piccolo fratello” – che sono arrivati l’altra sera erano serenamente impegnati a disegnare. Con me e’ venuto Raphael, n quattordicenne che avevamo accolto a Kivuli qualche giorno prima di Natale. Era preoccupato perche’ non aveva saputo piu’ niente della nonna, che, malaticcia, era rimasta da sola a Kibera. L’ abbiamo trovata un una baracca dove c’e’ appena posto per un materasso perche’ il tetto e’ per meta’ crollato – stranamente il ‘padrone di casa’ non si fa vedere da due anni e lei e’ contentissima perche’ non paga l’ affitto. Ma e’ anziana e malata, e in questi giorni ha mangiato solo saltuariamente. Prima aveva l’ aiuto di Raphael, che alla sera riusciva sempre a portarle qualcosa con le ‘attività’ che svolgeva in strada. Raphael e’ stato felicissimo di trovarla viva, temeva fosse rimasta vittima negli scontri, i peggiori sono avvenuti proprio in quella strada, ma la nonnina ha detto sorridendo che lei avrebbe anche voluto protestare, ma che non aveva avuto la forza di alzarsi dal letto. Raphael le ha promesso che ogni sabato andra’ a trovarla e con il  nostro aiuto le portera’ qualcosa da mangiare.

Sfollati. Eta’ media sei Anni

Stamattina sono arrivato a Ndugu Mdogo, nel cuore di Kibera, per vedere i nove bambini che la polizia ha portato ieri sera tardi perche’ hanno perso il contatto con la famiglia duranze le violenze di questi giorni. Si stavano lavando e vestendo, poi, mentre Jack scaldava il latte, abbiamo tentato di capire le loro storie, ma con poco successo perche’ alcuni sono proprio piccoli e non riescono a spiegare cosa e’ successo. Inoltre erano distratti dal profuno del pane e latte zuccherato e caldo che Jack stave mettendo in tavola… Poi, dopo mangiato, si sono rilassati ed hanno incominciato a familiarizzarsi con noi e con la casa. Eunice, la piu grande, ha fatto fare il bagno alla sorellina e il fratellino, mentre Kevin e Eric hanno scoperto un vecchio monopattino ed hanno incominciato a giocare. Adagio adagio i sorrisi sono tornati.

E’ venuta in visita un’ assistente sociale mandata dalla polizia, e anche lei non ha saputo dirci niente di piu’ sulla loro provenienza.

Eccone alcuni qui sotto. E grazie a chi ci ha mandato gli aiuti che ci permettono di non dire mai di no a questi bambini.

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La Fine di un Mito

Finalmente i due protagonisti della crisi Kenyana hanno incominciato a parlarsi. Il presidente Mwai Kibaki e il leader dell’ opposizione Raila Odinga si sono incontrati ieri pomeriggio con la mediazione di Kofi Annan. Ieri sera li abbiamo visti in televisione, circondati dalle loro due corti, tutti giulivamente sorridenti e stupidamente dimentichi che per giorni hanno incitato la gente ad ammazzarsi. Inebriati dal potere. Le speranze di una soluzione veloce della crisi restano minime, ma e’ un passo avanti. E resta deprimente il fatto che il futuro della gente del Kenya dipenda da questi personaggi.

In questo contesto e’ importante notare la conversione della BBC (per pura coincidenza oggi celebriamo la festa della conversione di San Paolo, ma il parallelo fra la BBC e San Paolo finisce qui). Nelle settimane precedenti le elezioni e fino a ieri mattina la BBC ha dato le notizie sul Kenya favorendo in modo incredibile e non professionale una delle due parti. In alcune occasioni si e’ comportata come se fosse l’ ufficio stampa dell’ opposizione, con speciale attenzione ad esaltare la figura del leader Raila Odinga.

In particolare sono stati rilevantissimi i peccati di omessa informazione. Per esempio in oltre tre settimane di scontri ha sempre evitato di identificare i principali protagonisti degli eccidi piu’ sanguinosi come membri e sostenitori dell’ opposizione. Durante lo stesso periodo i famosi giornalisti investigativi della BBC non sono riusciti a trovare una singola testimonianza del fatto che centinaia di giovani disoccupati e disperati sono stati pagati due euro al giorno per partecipare alle “azioni di massa” che hanno bloccato Nairobi per giorni interi ed innescato la spirale della violenza. Eppure bastava andare a Kibera e chiedere a qualche osservatore indipendente. Ancora l’ altro ieri la BBC e’ riuscita a non dire, con incredibili acrobazie giornalistiche, sia nelle notizie internazionali che locali, che dopo l’ “incontro di preghiera” per i morti di Kibera, organizzato e presenziato da Raila a un paio di centinaia di metri dalla casa provincializia dei comboniani, sulla Ngong Road, le poche centinaia di persone presenti hanno assaltato e devastato l’ adicente centrale del telefono, con danni nell’ordine di centinaia di migliaia di euro (e lasciando Comboniani e Shalom House senza telefono e fax).

Oggi invece la BBC anche nel sito web ha il coraggio di citare un rapporto di Human Rights Watch – una ONG americana indipendente e specializzata in ricerche sugli abusi dei diritti umani, con una ineccepibile reputazione fatta di decenni di lavoro e di rapporti sul Sudan, Rwanda, Somalia ecc. – in cui si accusano “i leaders dell’ opposizione di aver aiutato ad organizare la violenza etnica che ha devastato la regione della Rift Valley, durante la quale centinaia di Kikuyu, membri della comunita’ etnica di Kibaki, sono stati individuati  ed uccisi con predeterminazione”. Il rapporto dice anche di avere evidenza che uomini politici dell’ opposizione e leaders locali hanno attivamente fomentato parte della violenza post-elettorale.

Ieri sera, pochi minuti dopo aver visto in televisione i nostri due eroi felici e sorridenti, ricevo una telefonata da Kibera. E’ Jack, e mi dice che il vicecapo della locale stazione di polizia ha portato alla nostra Ndugu Mdogo nove bambini che durante la violenza dei giorni scorsi hanno perso il contatto con la famiglia, e ci ha chiesto di tenerli “provvisoriamente”.  Adesso, mentre sto finendo di scrivere, si sta facendo giorno, e corro a Ndugo Ndogo per riceverli con con tutta l’ attenzione a cui hanno diritto.

Rinnovare la Speranza

La Conferenza dei Superiori degli Istituti Religiosi del Kenya pubblichera’ domani questo comunicato, che vi riporto qui sotto nel testo originale. Non e’ un testo che togliera’ il sonno a nessuno in Kenya. E’ importante perche’ e’ stato accompagnato da uno sforzo massiccio di portare aiuti (cibo, pentole, materassi, coperte) e una parole di fraternita’ alle vittime degli sconti, la’ dove sono, nei centri di raccolta e vicino alle loro povere case che stanno ricostruendo. Per donazioni che vanno ad aumentare questi aiuti vedi qui di fianco il link di Africa Peace Point.

 

RELIGIOUS SUPERIORS CONFERENCE OF KENYA (RSCK)

Hope in the Lord at all times!

 We thought it would never happen.  But it did!

Kenya, one of the most stable and reliable nations in Africa, has been experiencing ethnic hatred and violence that has threatened her regular way of life.  Predictably, the blame game has started and the sad road to reconciliation and healing has to be traveled before we dare move on to reconstruction. 

 THE REALITY

Out of the ashes of wanton destruction of life and property in recent weeks, we dare to hope!  Our vision for Kenya is predicated on God, who is “the fulfillment of our hopes” the one who empowers us.  For we foresee a nation where there will be no more Kenyans versus Kenyans, but a single nation of people living in harmony and enriching each other out of the abundance and dynamism of their cultures. 

 Our hearts go out in solidarity to the families torn apart by the violent departure of their loved ones; to the many children orphaned by mindless barbarity; to employers and workers who have lost their investments and livelihoods; and to the elderly and infirm, innocent victims of those who carry out acts of violence against their neighbors in the pretext of freedom and democratic rights. 

 In addition, many have expressed the view that those in positions of authority and trust in the Media, Religion, and Government have not been objective in their words and deeds.  This has only resulted in more destruction, disappointment, and injustice.  We are saddened by these lost opportunities for healing. 

TO RECOVER DIGNITY AND FREEDOM

When we reflect on all these events we remain hopeful.  God is mightier than evil.  The image in the Gospel of the persistent widow and the hardhearted judge (Lk. 18:1-8) immediately comes to mind.  That woman is a living and vibrant symbol of millions upon millions of Kenyans who know in their hearts that their hell-on-earth existence is not because the will of God is done, but because it is too frequently and blatantly opposed in this beautiful country.  That woman symbolizes the dignity and strength of all who refuse to be cowed down by the trappings of earthly power.  The God of her hope granted her cause of justice. 

We, therefore, implore and earnestly beseech the people of this country to deny the evils and its consequences by coming to their senses to work together for good.  The events of these days are not able to overcome our hopes of a better, more just future for Kenya. 

 In such a situation, where there are few saints and many sinners, our first call is to any guilty individual – who in any way contributed to this violence – to kneel and beg God’s forgiveness as the blood of the innocent and the years of hard work of millions cry out for the righteous judgment of God, who watches over his little ones. 

In the firm belief that forgiveness is the catalyst of liberation we implore the victims of violence not to look back in anger, for anger leads to hatred. And hatred is the mother of all murderers.  It becomes a self perpetuating cycle that eliminates even the desire for reconciliation, forgiveness and justice. 

It is our conviction that this nation, so full of promise and so bountifully endowed by the God of Hope, has become hostage to the barons of political corruption and deceit.  The nation is being polarized along ethnically based party alliances which are appealing to tribal allegiances in order to capture the seats of power.  This is a recipe for both political and cultural suicide.  It attempts to identify personal ambition with ethnic and national aspirations.  It can have only one legacy – the perpetuation of the cycles of poverty and violence as politicians play the game of homicidal theatrics with the lives of the people they claim to serve.  These political strategies are self-defeating in a multi-ethnic society such as Kenya. 

REVIVAL

On the heels of reconciliation and healing, reconstruction must have its day.  We, therefore, call on all Kenyans to become the makers of a new spiritual revival.  A revival based on justice for all, a revival which fulfills the hopes of a people bruised by years of hopelessness, false promises, and a wide ranging prevalence of social injustice.  It means to liberate them so that in the call of Nelson Mandela each of us may become the active catalyst in fulfilling God’s dream for each other.  The leaders in Media, Religion, and Government must rise above tribal loyalties to objectively speak the truth to foster this revival. 

Furthermore, there has to be identifiable responsibility and accountability at all levels of government.  Ours is not the task to provide a definitive political blueprint for this nation.  It is clearly the task of the politicians – but not only them.  The nation needs to progress in the quality of its political maturity.  This can only be achieved through a comprehensive national program of civic education where faith-based and other community leaders are not passive observers of government policies, but are themselves active partners in forging such a way forward out of the richness of their wisdom.  The time has come for all holders of authority in the nation to realize that it is not sufficient to do things for the people.  They must do it with the people and for them to achieve social justice for all the people. A review of the constitution is needed now more than ever.

Reconciliation can never happen until we have named the injustices and the perpetrators of all what has happened since 1992. Reconciliation can only be based on truth. We hope a forum will be created to address these needs.

The eyes of the world look on Kenya today in a mixture of anxiety and hope.  But at the end of the day, while the international community has its own merit in regard to Kenya’s stability, it is Kenyans themselves who become the architects of that hope.  Ours is the simple but indispensable task of reminding all builders that such hope must be firmly rooted in God, so that never again may the lives and aspirations of the little ones of this nation be so brutally dashed. 

Signed by RSCK Executive and Justice and Peace Department

 (The RSCK comprises of 63 Catholic Religious Orders of missionaries based in Kenya.  It has personnel of over 3500 members, indigenous and expatriate, working with millions of Kenyans in various development activities, throughout the whole country).

 

Altri morti

Giovedi 17. Oggi e’ stata un’ altra giornata di violenze. Episodi isolati in tutta Nairobi e anche nelle altre citta’. Finche’ i nostri due leaders non riescono ad avviare un dialogo non riusciremo ad avere pace.

Due aspetti cominciano a balzare agli occhi. Il primo e’ che la violenza e’ voluta ed orchestrata. Non e’ una reazione spontanea della gente. In tutta Nairobi, oltre 5 milioni di persone, quelli che si vedono nelle strade a manifestare sono poche centinaia di giovani. La citta’ e’ in ostaggio di questi gruppi.

Il secondo e’ il ruolo che la stampa gioca nel promuovere la violenza. Come succede da decenni in tutto il mondo, molte volte la manifestazione sembra fatta solo perche’ c’e’ la stampa. Ieri un giornalista italiano mi raccontava: Ero con un gruppo di giornalisti, quasi trenta. Dall’ altra parte della grande strada c’ era la polizia in pieno assetto antisommosa e fra di noi c’era un gruppo di manifestanti, che non raggiungevano i cento. Come le videocamere comincavano a riprendere la scena i manifestanti su animavano e gridavano slogans. Sembrava di essere sul set di un film. La polizia ad un certo punto ha pure deciso di fare la sua parte come da copione ed ha tirato dei lacrimogeni. I manifestanti si sono subito dispersi, e cio’ che e’ stato divertente e’ che i tre o quattro leaders dell’ opposizione si sono infilati di corsa nell’ ingresso del Grand Regency Hotel (il nome dice tutto), e son stati lasciati passare dal personale, ma quando gli altri hanno cercato di fare lo stesso, sono stait immediatamente bloccati. Una rivoluzione popolare con due classi.

Purtroppo non e’ sempre cosi. La polizia spara davvero e ci sono i morti.

Il testo che segue e’ un’ intervista che ho dato al Die Tagespost - Katholische Zeitung für Politik, Gesellschaft und Kultur. 
Naturalmente loro hanno tradotto in tedesco.

La missione del presidente del Ghana e’ fallita. L’ ultima speranza e’ con l’ annunciata e rimandata visita di Kofi Annan?

Le posizioni di Kibaki e Raila sono molto distanti, e molto difficili da riconciliare. Kibaki sostiene di essere stato eletto legittimamente, e quindi non ha la necessita’ e la volonta’ di negoziare con nessuno, mentre Raila dice che ci sono stati brogli. Ma Raila diceva questo gia’ una settimana prima delle elezioni, e non era e non e’ certamente disposto a perdere. E’una vita che insegue la presidenza del Kenya, e se gli sfugge questa volta avra’ non ci sara’ un’ altra occazione. Ma d’altro lato devono necessarimente negoziare. Secondo la costituzione in vigore il governo e’ formato dal Presidente, ma questo governo non potra’ governare perche Raila ha 5 o 6 voti in piu’ in parlamento e puo’ bloccare tutto… Pero’ Raila non ha i due terzi dei voti, che protrebbero permettergli di sfiduciare il presidente e chiedere nuove elezioni. E’ un’ impasse difficile da superare. … Non credo che neanche l’ abilita’ diplomatica di Koffi Annan sia sufficiente…

E se questo incontro fallira’ cosa quali vie resteranno aperte?

Certamente Kibaki e Raila dovranno venire ad un compromesso, ma perche’ questo avvvanga ci vuole un po’ di tempo, di modo che possano ammorbidire le loro posizioni salvando la faccia. Dieci giorni fa Raila diceva che l’ unica soluzione possibile era che Kibaki si dimettesse… Adesso e’ disposto a negoziare e dalle ultime notizie sembra sia disposto ad un governo di unita’ nazionale. Entrambe le parti hanno bisogno di tempo. Ci sono pero’ personaggi in tutti e due i campi che sembrano determinati a convincere i leaders a resister sulle loro posizioni e usano il tempo per alzare ulteriori steccati invece che per aprire strade al dialogo. L’ attuale confornte per le strade e’ una scelta che vain questo senso, che non tiene assolutamente conto di cio’ che la maggioranza della gente veramente vuole.

Se la Comunita’ Europea intervenisse aumentando la pressione politica e commerciale…

Potrebbe essere controproducente. I kenyani sono molto orgogliosi e in questi giorni a Nairobi molti commentano che l’ abbastanza chiaro supporto che Gran Bretagna e USA danno a Raila e’ dovuto al fatto che il governo di Kibaki, per la prima volta dall’ indipendenza, ha fatto un contratto per acquistare le auto del governo e della polizia non dalla Land Rover ma dalla Toyota. Ed e’ un contratto di milioni di euro. Kibaki ha pure rifiutato agli USA il permesso di installare una base navale sulla costa keniana, e non ha firmato il trattato secondo cui i militari americani possono essere processati solo negli USA. Una pressione eccessva potrebbe far scattare sentimenti nazionalisti molto forti.

Una situazione dramatica allora. Come sta intervenendo la Chiesa Cattolica?

Dobbiamo ammettere con rammarico che la chiesa in questa sitauzione particolare non ha una grande autorita’ morale. Troppi vescovi sono stati percepiti gia’ dal tempo del referendum dell’ ottobre 2005 come di parte. Che sia vero o no, non ha importanza, la percezione e’ questa. Ieri ero con un gruppo che lavora per la difesa dei diritti umani. Un parteciapnte ha proposto un sit-in nel parcheggio della cattedrale, che e’ in posizione strategica perche’ vicinissimo al parlamento, ma subito altri hanno obiettato che la scelta del posto era inopportuna perche la gente li avrebbe percepiti come di parte.

E perchè è così difficile per la chiesa, per la conferenza episcopale cattolica fare un appello pubblico agli politici e alla gente?

Ci sono gia’ troppi appelli, qui ne viene fuori uno o piu’ al giorno, e anche troppi mediatori che si autopropongono! La chiesa e’ capqace di fare formazione delle persone a lungo termine e deve fare questo, purtroppo secondo me al momento non ha la credibilita’ di proporre soluzioni immediate. Questo e’ un problema di tutta la chiesa in Africa. Dopo il genocidio del Ruanda si fece qui a Nairobi nel ’97 una consultazione con una settantina di caridnali, arcivescovi e vescovi da tutta l’ Africa sul problema dei Grandi laghi e quindi sul problema del tribalismo. Ma il documento che ne usci fu molto deludente, e che io sappia non e’ seguita nessuna azione. Dopo questi fatti la chiesa in Kenya e in Africa dovrebbe impostare dei piani pastorali a lunga scadenza che affrontino il problema del tribalismo sui tempi lunghi. Altrimenti quando esplodono queste situazioni non si ha la credibilita’ necessaria per farsi ascoltare. A livello di base i laici sono a volte piu’ lucidi e piu’ capaci di interventi ricchi di spirito cristiano. Gli appelli all’ aiuto umanitario che parrocchie e associazioni cattoliche hanno fatto in questi gironi hanno avuto riscontri molto positivi, e l’ impegno di alcuni laici in associazione che promuovono pace e riconciliazione e’ straordinario. Conosco diverse persone che hanno tenuto in casa loro amici e conoscenti che avevano paura a viaggiare, condividendo con loro il poco che avevano.

Come vede il futuro del Kenya?

I kenyani sono capaci, come hanno ben dimostrato in molti anni, di una convivenza positiva e reciprocamente arricchente. Sono stati traditi dai loro uomini politici che in questi ultimi due anni hanno fomentato in una piccola minoranza – vulnerabile perche’ povera e disperata – sentimenti di odio tribale. Ora ci vorra’ molto tempo per riparare al male fatto. Ma la sociata’ civile e’ sana e sapra’ lavorare seriamente. A questo punto devo dire che mi preoccupano molto le interferenze esterne. Mi pare sempre piu’ chiaro che quanto sta succedendo e’ anche dovuto a fortissime pressioni dall’ esterno. Europa, Cina e USA stanno giocando una partita importante per il controllo dell’ Africa e delle sue risorse, e il Kenya e’ solo una pedina. E i politici locali che vogliono arrivare a tutti i costi al potere o che vogliono restarci, sono troppo facilmente corruttibili. E la gente paga.

Geshon, Jack e Lavu

In Zambia sta piovendo molto, troppo. Ma stamattina all’ alba nel cielo c’ erano poche nuvole. Sono uscito nel grande cortile, e, mentre alcuni dei ragazzi preparavano la colazione per tutti ed altri si mettevano i vestiti della festa per andare a Messa, sulla porta di uno dei dormitori c’ erano tre dei nostri bambini piu’ piccoli che discutevano animatamente. Quando il loro vivace scambio di opinioni si e’ calmato e si son guardati intorno, mi hanno visto e son venuti di corsa a salutarmi.

“Di che cosa stavate parlando?” ho chiesto, incuriosito. Erano imbarazzatissimi ed hanno cercato di tergiversare, e naturalmente mi sono incuriosito ancora di piu’. Owen, che ormai ha diciannove anni, ha sentito la mia domanda e si e’ avvicinato divertito. “Questi tre litigavano perche’ ognuno di loro sosteneva di essere il tuo figlio preferito. Poi Jack ha risolto la questione dicendo che lui e’ quello a cui tu vuoi piu’ bene, perche’ lui vuol piu’ bene a te di tutti gli altri”.

Mi sono sentito davvero importante. Li ho messi in fila e li ho fotografati, come li vedete qui sotto. Sono da sinistra Geshon, Jack e Lavu. Hanno tutti e tre fro i 10 e i 12 anni, Geshon ne ha passati tre o quattro in strada, mentre Jack e Lavu son venuti con noi a Mthunzi direttamente da casa, o meglio dalla baracca, perche’ le loro mamme erano appena morte e loro erano ad alto rischio di finire in strada o in qualche racket di sfruttamente del lavoro minorile.

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La Destra e la Sinistra

Vivo in Africa da trent’ anni e in Kenya da venti. Sono ben consapevole che tempo e eta’ non equivalgono a compresione e saggezza, tuttavia penso di avere un discreto bagaglio di conoscenza ed esperienza che mi aiuta a capire l’ Africa abbastanza in profondita’.

Una delle cose che piu’ mi infastidisce in questi giorni quando leggo da Nairobi i commenti dei mass media internazionali sulla crisi keniana, e’ l’ ingenua applicazione di categorie mentali occidentali alla nostra realta’. Cosi Mwai Kibaki e’ di destra e Raila Odinga e’ di sinistra. Sono etichette che ormai voglion dire poco in Occidente, dove sono nate, ma che sono assolutamente senza significato in Africa. Robert Mugabe dello Zimbabwe e’ di destra o di sinistra? E Yoweri Museweni dell’Uganda? E Salva Kiir del Sud Sudan? E Isaias Afwerki dell’ Eritrea? Secondo me sono semplicemente uomini che hanno dedicato tutta la loro vita ad accumulare potere, senza nessun pensiero guida, pronti a cambiare alleanze secondo le convenienze. E ormai intrappolati dal potere, perche’ se lo lasciano i loro avversari li distruggono.

Kibaki e Odinga sono a capo di due delle famiglie piu’ ricche del Kenya, famiglie che si sono arrichite attraverso il potere politico. Il loro programma politico e’ quasi indistinguibile, se non fosse che Odinga tre mesi fa s’e’ inventato il “majimboism”, una specie di sviluppo separato espresso in termini grossolani, che piu’ che ad una devolution lo fanno assomigliare all’ apartheid sudafricano o alla repubblica della padania. E’ questo che lo fa di sinistra?

The Documentation Team

All’ inizio della crisi keniana, Koinonia ha attivato un gruppo che ha la responsabilita’ di raccogliere documentazione, foto, video. Come al solito, non abbiamo prestato nessuna attenzione alla composizione etnica del gruppo, solo dopo ci siamo accorti che appartengono alle quattro comunita’ etniche che sono state aizzate l’ uno contro l’ altra.
Chi volesse mandare un aiuto economico agli sfollati, segua le indicazioni del sito web di Africa Peace Point.
Da sinistra: Victor Shamwana, Ndugu Mdogo Video, Luhya; Cosmas Musyoka, The Big Issue Kenya, Kamba; Daudi Nganga, Koinonia, Kikuyu; Francis Owino, Ndugu Mdogo Video, Luo.

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Perche’ il Kenya si e i Nuba no?

Venerdi 11. A Nairobi i negoziati continuano. Il progresso e’ lento, l’ opposizione ha annunciato nuove manifestazioni per la prossima settimana, ma intanto non si uccide.

Ne approfitto per qualche semplice considerazione sul perche’ di un intervento tanto rapido di quel misterioso animale che abbiamo preso l’ abitudine di chiamare “comunita’ internazionale”. Perche’ la “comunita’ internazionale” ha impiegato mesi e mesi prima di accorgersi cosa succedava in Darfur, ed ha lasciato che la situazine si incancrenisse prima di intervenire in quello che e’ diventato un genocidio? Perche’ la stessa comunita’ si e’ mossa per il Ruanda dopo tre mesi, per i Nuba dopo dieci anni e per la Repubblica Democratica del Congo dopo tre anni e due milioni (secondo le stime piu’ conservatrici) di morti? In confronto a queste situazioni l’ intervento e l’ azione di contenimento che si e’ attivato in Kenya e’ stato di una prontezza senza paragoni per una crisi africana. Perche’? Provo a fare un elenco, certamente incompleto e senza ordine d’ importanza.

La posizione geopolitica del Kenya ne fa un paese chiave per l’ Africa. Dall’ indipendenza e’ sempre stato un fedele alleato/dipendente di Gran Bretagna e USA. Per molti anni la “vetrina dell’ Occidente in Africa” e poi una base sicura per le multinazionali e per le operazioni militari e umanitarie – che molto spesso vanno insieme – nei paesi vicini. Il Kenya non possiede grandi risorse naturali, ma per oltre quarant’anni e’ stato un paese che, se pur sempre con problemi interni (per oltre due decenni governato dalla brutale dittatura di Daniel Arap Moi con il pieno supporto delle suddette potenze) e’ rimasto stabile ed ha giocato un ruolo chiave, dal logistico al politico, nelle crisi dei paesi vicini. L’ unico altro paese con cui il Kenya confina e che e’ rimasto stabile in questi quarant’ anni e’ la Tanzania, non molto simpatica all’ Occidente per le velleita’ di “socialismo africano”. Gli altri paesi confinanti Uganda, Sudan, Etiopia e Somalia, sono stati, e alcuni sono ancora, in preda a crisi gravissime. Altri paesi che gravitano dal punto di vista logistico ed economico sul Kenya sono oggi Rwanda, Burundi e l’ Est della Repubblica Democratica del Congo. E anche qui le crisi passate e presenti sono gravissime. Instabilita’ in Kenya vuol dire non poter intervenire e controllare tutta l’ area

Il Kenya e’ l’ unico paese del Terzo Mondo – usando ancora questo termime, per indicare quella che di fatto, lo vogliamo ammettere o no e’ la parte piu’ importante ed il futuro del mondo – che e’ sede di agenzie internazionali delle Nazioni Unite. Oltre all’ UNEP, che ha la sede principale a Naiorbi, gli uffici delle Nazioni Unite a Nairobi sono una realta’ importante che da’ lavoro a migliaia di persone da tutto il mondo e dal Kenya. Ne il governo del Kenya, ne gli impiegati delle Nazioni Unite deisiderano che le Nazioni Unite se ne vadano altrove, anche se Nairobi e’ considerata “sede disagiata’, il che vuol dire un bonus addizzionale per i dipendenti – che possono essere incontrati ogni sera, in caso non fossero disponibili nei loro uffici durane il giorno, nei piu’ costosi locali della citta .

L’ Unione Africana sta disperatamente cercando credibilita’. In questi giorni a Nairobi abbiamo visto oltre a Kufour, Presidednte del Ghana e dell’ Unione Africana, altri quattro venerandi capi di stato, fra i pochissimi ex capi di stato africani che non sono morti, non sono in esilio, non sono in prigione o sotto processo. Si prevede anche un’ apparizione di Koffi Annan. L’ unico vero grandissimo leader africano, e probabilmente uno dei piu’ grandi leade mondiali del secolo scorso, Nelson Mandela, e’ inabilitato dall’eta’. Anche se questa sfilata di ex-Presidenti e notabili contera’ poco o niente per risolvere i problemi del Kenya, e’ significativo che sgomitino per apparire sulla scena. La crisi Kenyana e’ una buona opportunita’ per farsi fotografare.

C’e’ una East African Community, che al momento comprende oltre al Kenya anche Uganda, Tanzania e da poco Ruanda e Burundi, ed e’ una vera, effettiva speranza per l’ inizio di un mercato comune africano. Questa crisi la sta rimettendo in discussione. I capi di stati dei paesi in questione cercano di tenere un atteggiamento diplomaticamente neutro, ma sono toccati in profondita’ dalla crisi. Non solo perche’ le loro economie stanno andando in tilt a conseguenza della crisi Keniana, ma anche perche’ la reazione della “comunita’ internazionale” puo’ essere un; indicazione di come la stessa comunita’ reagirebbe di fronte ad una simile crisi nel loro paese.

Un altro elemento di primaria importanza per come la crisi Keniana ha assunto rilevanza e’ il fatto che i maggiori mass media internazionali hanno a Nairobi una sede, spesso l’ unica o la piu’ attrezzata sede di tutta l’ Africa. Anche la maturita’, e i limiti, del giornalismo locale hanno giocato un ruolo importante. Fra i limiti e’ da segnalare che alcune radio locali, se ne avessero avuto l’ opportunita’, non avrebbero esitato ad una coperttura molto parziale dei fatti, col rischio di una “propaganda dell’ odio” simile a quella che e’ avvenuta a suo tempo in Ruanda. E che i mass media internzaionali e locali determino il modo in cui una crisi e’ percepita dalla popolazione locale e’ un fatto fuori discussione. E che necessita di approfondimento.

Anche la posizione della comunita’ islamica e delle chiese cristiane e’ un aspetto che dovrebbe essere analizzato piu’ a fondo. Ma indubbiamente e’ una delle ragioni dell’ attenzione degli osservatori piu’ attenti. Non bisogna infatti dimenticare il memorandum d’ intesa che Raila ha firmato con i capi della comunita’ islamica. Basti dire per il momento che certamente la posizione di entrambe le comunita’ religiose non e’ stata al di sopra delle parti, come hanno tentao di far credere, e che, prima delle elezioni, non hanno contribuito a creare un’ atmosfera distesa, anche se poi, doverosamente, sono state capaci di internvenire per richiamare alla nonviolenza e si sono attivate per l’ aiuto alle vittime senza alcuna distinzione.

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