Sono arrivato in Zambia trent’anni fa, a metá settembre del 1977. Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel ’70, avevo lavorato a Nigrizia e fatto tanti viaggi in Africa per raccogliere materiale scritto e fotografico per la pubblicazione e gli arichivi della rivista. Poi era finalmente il momento di partire per restare. Certamente nella mente di qualcuno dei miei superiori era un allontanmento, forse una punizione, per essere stato troppo vicino ai movimenti di liberazione qiuelle che erano le colonie portoghesi. La visita ai ribelli della Guinea Bissau, e il libro che ne era seguito, non erano stati accettati da tutti. Almeno inizialmente. Poi, dopo la rivoluzione dei garofani e la caduta di Caetano, quegli stessi superiori in una conferenza stampa si erano fatti belli del libro, dicendo “noi comboniani avevamo visto lontanto e da anni abbiamo fatto opposizione al colonialismo portoghese, come testimonia il libro di padre Kizito…â€. Ma di tutto questo e di come gli altri vedessero le cose non mi importava niente. Finalmente partivo.
Il padre generale di allora mi aveva chiesto quale fosse la mia preferenza. Volevo andare nel Ghana, dove i comboniani era presenti da poco e che aveva bisogno di giovani? O in Kenya , dove si erano rifugiati alcuni dei nostri espulsi dall’Uganda di Amin? Il Sudafrica, che avevo visitato un paio d’anni prima, mi attirava, ma mi aveva intimorito la presenza massiccia di un gruppo di missionari anziani, quasi tutti tedeschi, con i quali temevo non mi sarei sentito in sintonia. Poi padre Agostoni aggiunse, “vorremmo anche aprire delle nuove missioni in Zambia, se te la senti…Saresti il primo comboniano ad andare in quel paeseâ€. Padre Agostoni aveva in mente una grande strategia: i comboniani erano gia presenti in Mozambico da molti anni, e da poco erano in Malawi. Prendendo delle missioni nell’angolo orientale della Zambia, incuneato fra Mozambico e Malawi, si sarebbe creata una zona di presenza comboniana in cui si parlava praticamente la stessa lingua locale pur essendo in tre paesi diversi, rendendo possibile degli scambi di personale in caso di instabilitá politica. L’ occasione di mettere in atto questa grande strategia non venne mai. Se ben ricordo, da allora, é capitato solo una volta che un comboniano si sia spostato dal Mozambico in Malawi, accompagnando i rifugiati, negli anni ’80. Non gli lasciai comunque il tempo di pentirsi per l’ offerta, ed accettai, li dov’ero, nel giroscale della casa generalizia a Roma. Cosi son partito dall’Italia, con stopover ad Abidjan, in Costa d’Avorio, dove la prestigiosa rivista degli intellettuali neri Presence Africaine aveva organizzato un colloquio sul tema “Africa e Chiesaâ€. Arrivai in Zambia con l’incarico di rilevare la missione di Chadiza dai Padri Bianchi che avevano giá cominciato a risentire della crisi di vocazioni che avrebbe coinvolto i comboniani solo qualche anno dopo, e con nel cuore la visione di un Concilio Africano che era stata ufficialmente proposta per la prima volta ad Abidjan.
A Lusaka c’erano giá le suore comboniane, che si chiamavano ancora Pie Madri della Nigrizia, e che avevo visitato due anni prima, in un lunghisssimo viaggio che mi aveva portato in quasi tutti i paesi dell’Africa Australe. Appena arrivato a Lusaka, a metá settembre del 77, andai ad alloggiare nela casa dei Padri Bianchi, che si erano offerti di ospitarmi fino all’aprile successivo. Li risiedeva anche padre Jean Vermeullen, che mi avrebbe insegnato il chinyanja, la lingua locale. Il giorno dopo l’arrivo andai a salutare le Pie Madri, nella parrocchie di New Kanyama, un vasto quartiere popolare alla periferia di Lusaka. Suor Clara, levatrice nel piú grande ospedale pubblico della Zambia – l’University Teaching Hospital – mi suggerà “quale miglior modo di iniziare la vita in Zambia che assistere ad un parto?†Avevo il mio diploma di infermiere generico conseguito all’Ospedale di Gallarate, dove avevo anche visto qualche parto, anche se non era previsto dal corso, perché il dottore responsabile aveva una visione romantica del missionario che doveva essere capace di fare di tutto, e mi aveva doto questa possibilitá. Accettai l’invito di suor Clara, e il mattino del mio terzo giorno a Lusaka, verso le 9, assistei al parto di un maschietto. Non si prevedevano complicazioni, ed il parto avveniva in corsia, il letto separato solo da un paio di tendine. La mamma raggiante, subito dovo aver sentitio il primo pianto, lo volle fra le braccia. Quando, dopo un paio d’ore in giro per l’ospedale, tornai a quel letto, c’era giá un’altra mamma in preda alle doglie del parto, mamma e bimbo che evevo visto nascere erano giá stati dimessi.
Ho pensato spesso a quel bambino. Ormai, se gli é andata bene, e non é diventato un numero nelle statisitiche della mortalitá dovute e malattie infantili, malaria, tubercolosi e AIDS, é un uomo di trent’anni.
Sono stati trent’anni di cambiamenti per la societá e per la chiesa africana. La chiesa, anche se provvidenzialmente ormai ha vescovi e leaders quasi tutti africani, nel suo complesso ha un volto ancora troppo marcatamente europeo, e fa fatica a capire e a tenere il passo con i cambiamneti del continente. D’altronde il processo di appropriazione del Vangelo puó solo essere lungo e faticoso. Io, nei paesi in cui ho vissuto, ho cercato di camminare al passo dei miei fratelli e sorelle della comunitá locale, cercando di non creare ostacoli.
Per quanto riguarda la vita ecclesiale gli anni della Zambia sono stati i piú intensi. C’era allora il fermento delle comuntiá di base, e lÃnculturazione era l’orizzonte teologico entro il quale ci si muoveva. L’ aria fresca che era entrata nella chiesa quando Papa Giovanni si era accorto che la chiesa aveva bisogno di spalancare la finestra sul mondo era ancora in circolazione.
Non ho mai avuto rimpianti. L’Africa mi ha restitutito non cento, ma mille volte, quello che ho lasciato. Ho visto ripetersi mille volte il miracolo del seme che muore e rinasce, e quello del seme piccolissimo dal quale nasce una grande albero. Se alcune delle cose che ho fatto sono cresciute, e’ perche il frutto che dá valore all’albero. Sono grato ai miei amici e fratelli e sorelle africane che hanno fatto frutitficare il lavoro che abbiamo fatto insieme,
In Africa ho approfondito la mia comprensione del senso cristiano della vita. Che i fallimenti sono piú importanti dei successi. Senza gli insuccessi, riconosciuti e direi quasi assaporati, amati, la chiesa rischierebbe di diventare una efficiente multinazionale della caritá. L’insuccesso, la Croce, ci aiuta a vivere nella fede.
Ho imparato anche che la virtú che dá un dolce sapore a tutto, anche agli insuccessi, ai tradimenti di coloro che si pensava fossero amici, é la bontá. La vecchia a volte vituperata bontá, che rende visibile la bontá di Dio sulla terra. Dio é buono, e e noi tutti siamo attratti dalla bonta’. Molte volte, in un ambiente difficile o ostile, la possibilitá di comunicazione e di dialogo é cominciata da un gesto di bontá che ho visto fare da una persona.
E, fra le tante cose, l’ Africa mi ha insegnato che la mia personale avventura umana non ha senso e valore se vista da sola, deve essere capace di dissolversi nel contesto della comunitá. Solo insieme ci possiamo muovere verso gli orizzonti di Dio.
Kizito
Ciao Kizito,
ho incontrato per caso il tuo blog e subito mi ha affascinato leggere, nelle prime due righe del post, che eri un sacerdote missionario in africa… e la cosa mi ha incuriosito assai. Così ho letto tutto il post e mi ha davvero entusiasmato. Un giorno voglio andare anche io in Africa e vorrei aiutare la gente che davvero non ha niente, persone come me ma che sono nate in famiglie povere e in un contesto sociale diverso. Io ho avuto la fortuna, chissà perchè, di fare parte dei ricchi, di quelli che il sabato sera vanno a mangiare al ristorante spendendo e ridendo non meno di 25 euro… ma non mi voglio arrendere perchè la propria vita uno se la costruisce e quando sarò grande, sebbene già adesso abbia 24 anni, quando sarò grande voglio andare in africa. Spero che un giorno questo mio desiderio si concretizzi.
Ti ringrazio per la tua testimonianza e per la tua vita spesa per gli altri e dunque per Dio. Regalata agli altri, regalata a Dio.
Dio ti benedica e ti protegga sempre!
Interessante; ti linko al mio blog. ora so dove abiti.
ciao
M
E’ VERO bisogna aver fiducia nel seme anche se piccolo ma anche tanta PAZIENZA AFRICANA le FIDUCIA NELLE LORO POSSIBILITA’ di crescità e il pizzico di FEDE in un DIO CHE E’ AMORE non guasta…
e spero che oggi i ragazzi di ieri oggi UOMINI di PACE in azione anche adesso a NAIROBI insieme ai ns.bambini di oggi possano continuare a costruirsi una loro IDENTITA’ DI PAESE E DI CHIESA …
nella PIENA KOINONIA universale e nella PICCOLA GRANDE COMUNITA DI KOINONIA (nata in ZAMBIA e con tanti semi sparsi ..)
Buon lavoro e grazie anche di questo servizio che mi e ci permette di continuare il viaggio con te e con gli AFRICANI tutti ….
Un saluto michi .roma . KOINIAMANI